28 ottobre 2006
Come fu che Carlo il Semplice cadde a terra
“(Il vichingo) Rollone reso furibondo da tale sconfitta e dalla morte di molti suoi soldati, incita i rimanenti alla persecuzione dei Francesi, e li incita ad ogni sforzo per demolire o piuttosto per sterminare la patria per il flagello degli alleati. Come lupi della sera i pagani vengono alle cose di Cristo, le chiese sono distrutte, le donne sono prese prigioniere, la popolazione viene trucidata, tutto fu in comune per tutti. A questo punto i pagani oppressi da questa calamità si rivolgono con lamentose grida a re Carlo (il Semplice) gridando all’unisono che il popolo cristiano veniva stroncato dalle incursioni dei pagani per la sua (di Carlo) incapacità. Il re rimasto fortemente colpito da tali lamentele, mandando in fretta a Rollone l’arcivescovo chiamato Francone, (dicendogli di riferire che) se (Rollone) si fa cristiano Carlo è disposto a dargli in cambio la regione costiera che va dal fiume Epte fino ai confini britannici, e sua figlia di nome Gisla. Prese su di sé questa ambasceria Francone, compiuto il cammino, espone con chiarezza tutte queste proposte al comandante pagano. (Rollone) accogliendo volentieri per consiglio dei suoi uomini le sue parole, concede una tregua di tre mesi dalla devastazione pagana: affinché sia stabilito in questo spazio di tempo tra di loro un solido atto di pace. Al momento stabilito vengono al luogo prescelto, che è detto Saint-Claire, il re con Roberto duca franco su una riva del fiume Epte, e Rollone dall’altra parte, protetto dai suoi uomini disposti a triangolo. Corrono qua e là da una riva all’altra i messaggeri, viene stabilita fra loro con il favore di Cristo la pace, Rollone giurando con giuramenti fedeltà al re, il re donandogli con la figlia la terra suddetta; fu anche aggiunta per supplemento di introiti tutta la Bretagna, i principi di quella regione Berengario e Alano, giurarono fedeltà a Rollone. Infatti la terra costiera, che è chiamata Normandia, a causa degli attacchi dei Pagani cresciute da ogni parte foreste, era troppo dura per l’aratro e il vomere. Il re aveva pensato prima di dargli, perché ci vivesse, la provincia di Fiandra, ma quello non volle accettare per l’impedimento delle paludi. Non volendo Rollone baciare il piede del re nell’atto di ricevere da lui il ducato di Normandia, i vescovi gli dissero: chi riceve tale dono (cioè chi diventa vassallo del re) deve baciare il piede del re. E quello: non mi inginocchierò mai davanti a nessuno e non bacerò mai i piedi di nessuno. Poi spinto dalle preghiere dei Franchi , ordinò ad uno dei suoi di baciare il piede del re. Costui afferrando il piede del re lo portò alla sua bocca e restando in piedi gli diede un bacio, e fece cascare il re. Da qui sorsero nei presenti grandi risa e grandi schiamazzi. Alla fine re Carlo, Roberto duca dei Franchi e i conti e gli aristocratici, i vescovi e gli abati giurarono col giuramento della fede cattolica al patrizio Rollone (di salvarlo) nella vita e nelle sue membra e l’onore di tutto il regno, sulla terra (da lui) dominata per tutto il tempo che egli la tenesse e possedesse, e la tramandasse agli eredi, e si mantenesse la successione dei nipoti per il passare degli anni e fosse continuata di progenie in progenie. Condotto tutto ciò nobilmente a termine, il re lieto torna a casa sua, e Rollone con il duca Roberto raggiunse le mura della città di Rouen."

Tratto dalla
Historia Normannorum di Guglielmo Calcolo o Guglielmo Geneticense

Etichette:

postato da la Parda Flora alle 18:56  

 

27 ottobre 2006
Nove - Il fallimento del piano di spartizione UNSCOP
Dopo l’episodio dell’Exodus, nonostante tutti i sotto distretti della Palestina avessero una popolazione in maggioranza ebrea, la dirigenze araba invece di far forza su questi argomenti puntò a rifiutare il principio di partizione in sé, apparendo, a fonte delle recenti sofferenze patite dal popolo ebraico, portare motivazioni meschine che non potevano che alienare simpatie alla causa araba. Ma la dirigenza araba contava, nella sua strategia, sull’appoggio inglese, che in effetti aveva evidenziato con chiarezza e ufficialmente la sproporzione di territorio a scapito degli arabi.
Lamentele si ebbero anche da parte ebrea, comprensibilmente in relazione alla clausola relativa a Gerusalemme: sia per motivi religiosi, sia perché i sobborghi occidentali della città erano estremamente popolosi. Tuttavia, per i leader sionisti, che avevano lavorato duramente in tal senso, la spartizione era assolutamente prioritaria: eventuali riserve sulla sua estensione dovevano necessariamente essere per il momento accantonate.
Il piano proposto dall’UNSCOP venne esaminato dall’Assemblea delle Nazioni Unite, ricevendo subito il sostegno dei tre voti dell’URSS. Questo appoggio non poteva restare ininfluente sulle altre nazioni, anche se per la diplomazia occidentale si trattava solo di una mossa finalizzata ad allontanare dall’area l’influenza inglese, anche se - e i sovietici lo sottolinearono - chi aveva raggiunto per primo i campi di concentramento e visto con i propri occhi la realtà della Shoa erano stati proprio i soldati dell’Armata Rossa. Tuttavia, la posizione decisiva sarebbe stata quella scelta dagli Stati Uniti, i quali però si limitarono, tramite il segretario di stato Marshall, a comunicare di “dare gran peso” alla proposta dell’UNSCOP. In realtà, tale dichiarazione poco impegnativa nascondeva le fortissime pressioni operate su Truman da parte dei leader sionisti, tanto che pare il presidente, piccato, giungesse a ricordare agli ebrei che le parti in causa erano due, e che molti negli Stati Uniti iniziavano a riflettere seriamente su questo fatto.
D’altra parte, per gli USA mantenere buoni rapporti coi Paesi arabi produttori di petrolio era una necessità concreta, sottolineata particolarmente dal ministro della Difesa Forrestal, quindi sostenitore delle richieste arabe.
Tuttavia la capacità di pressione da parte dell’elettorato ebraico era tale da non lasciare una reale libertà di decisione a Truman, nel verosimile rischio di alienarsi le simpatie non solo di una fetta importante dell’elettorato ma anche l’appoggio di importanti uomini politici, quali il presidente del partito democratico nazionale, Hannegan, o il presidente del partito democratico di New York, Fitzpatrick. L’esito di questa lotta politica, in gran parte sotterranea, si ebbe il 10 ottobre 1947 con l’annuncio dell’appoggio degli USA al piano di spartizione dell’UNSCOP, a patto che venisse mantenuta la disponibilità alla collaborazione da parte degli inglesi, che avrebbero sovrinteso militarmente alla creazione dei due stati prima di concludere il proprio mandato, e a condizione anche che venisse ridotta la popolazione araba nei sotto distretti ebraici.
Ne risultò il trasferimento di Giaffa allo stato arabo.
Il piano elaborato dall’UNSCOP non era soddisfacente, soprattutto per la parte araba, e non godeva dell’approvazione di numerosi paesi facenti parte delle Nazioni Unite, tuttavia, il 25 novembre, sottoposto a voto, venne approvato con 25 voti a favore, tre contrari, 17 astenuti e due assenti.
La fragilità di questa votazione parla da sé, e per i sionisti era vitale rafforzare il più possibile la propria posizione, cosa che riuscì solo in parte, quando Weizmann facendo appello alla sua vecchia amicizia con Léon Blum, ottenne il cambio del voto francese.
Ripresero le pressioni sugli USA, e il 27 novembre i leader sionisti telegrafarono a Truman, chiedendogli di assicurare alla loro causa i voti di Honduras, Cina, Grecia, Haiti, Ecuador , Liberia , Paraguay e Filippine; nonostante la secca smentita dell’amministrazione Truman, è certo che pressioni, anche intimidatorie, vennero esercitate dagli Stati Uniti presso le capitali degli stati citati.
In questo modo, che definire discutibile è il minimo, il 29 novembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite raggiunse finalmente i due terzi necessari, e il piano di spartizione UNSCOP venne approvato.
Ma tale risultato, voluto con tutte le forze e ottenuto con tutti i mezzi disponibili, leciti o meno, dalla leadership sionista, segnò solo l’inizio della reazione araba all’innegabile torto subito. E i festeggiamenti ebraici che salutarono la votazione positiva provocò sin da subito tumulti nel mondo arabo, così come aveva previsto il portavoce della comunità araba, Jamal Husseini, che aveva avvisato le Nazioni Unite che le linee di spartizione non sarebbero state altro che linee di fuoco e sangue. Come per altro ancora possiamo constatare.
Era l’annuncio, neanche tanto velato, dell’inizio di una guerra civile che non vede ancora via d’uscita.
L’Alto Comitato Arabo programmò per il 2 - 4 dicembre 1947 uno sciopero generale in Palestina, con l’assicurazione all’Inghilterra, che non vi sarebbero stati episodi violenti. Ma la tensione era troppo alta per mantenere quella promessa, ammesso fosse in buona fede, e durante il primo giorno di sciopero si ebbe l’incendio di un’area commerciale a Gerusalemme.
Inoltre, gli inglesi erano lungi dal voler mantenere l’impegno preso di attuare la spartizione prima della fine del proprio mandato previsto per il maggio del 1948: i militari inglesi in Palestina non avevano nessuna intenzione di sacrificare anche un altro solo uomo in una questione nella quale non ritenevano di aver più alcun interesse. Ovviamente, tale scelta non fece altro che innalzare il livello di tensione e ferocia dello stato di guerra civile, così che anche la Commissione per la Palestina, voluta dalle Nazioni Unite per costituire i due stati e la loro unione economica, fallì ancor prima di diventare realtà. Gli inglesi impedirono ai membri della Commissione di entrare in Palestina, e l’intervento dell’URSS impedì la concessione, da parte del Consiglio di sicurezza, di una scorta armata che si opponesse all’ostruzionismo anglosassone.
Era la fine - quale che sia la valutazione sulla sua effettiva bontà politica - ingloriosa e colpevole, del piano di spartizione e del tentativo di risolvere diplomaticamente il problema del ritorno, dopo quasi duemila anni, degli ebrei in Palestina, tentando al contempo di rispettare anche i diritti dei numerosi abitanti arabi.

Etichette:

postato da la Parda Flora alle 15:32  

 

25 ottobre 2006
Radici ?
Da dove sei?
Cio' da dove sei?
Ti, da dove sito, ti?
Da dove situ, cio'?
Cio' da'ndove 'se' che te si?
Cio' da 'ndove 'se' che'el 'se' da 'ndove?
Lu 'ndo le'e' che' el'e' lu, cio'?
Cio', da 'ndo l'è lu?
Da 'nde' ch'el vien, cio'?
Da onde vienlo, cio'?
Cio', da dove 'selo elo?
Da dove ti vien, cio'?

Etichette: , ,

postato da la Parda Flora alle 12:01  

 

24 ottobre 2006
Intervallo
Da dove sei?
Cio' da dove sei?
Ti, da dove sito, ti?
Da dove situ, cio'?
Cio' da'ndove 'se' che te si?
Cio' da 'ndove 'se' che'el 'se' da 'ndove?
Lu 'ndo le'e' che' el'e' lu, cio'?
Cio', da 'ndo l'è lu?
Da 'nde' ch'el vien, cio'?
Da onde vienlo, cio'?
Cio', da dove 'selo elo?
Da dove ti vien, cio'?

Etichette: , ,

postato da la Parda Flora alle 07:23  

 

23 ottobre 2006
Le ore - Michael Cunningham
Per non dimenticare la rivoluzione d'Ungheria:
Solidali con il movimento polacco, studenti, intellettuali, operai e in genere la popolazione di Budapest si riunì il 23 ottobre 1956 davanti al Parlamento della città, inascoltati dai membri del Comitato centrale del Partito Comunista, chiedendo democrazia, il ritorno del governo Nagy (che dopo un paio d'anni venne assassinato segretamente,)la fine della dittaura stalinista e la libertà. La notte fra il 23 e il 24 ottobre 1956, Andropov, allora ambasciatore URSS a Budapest, sollecitò l'intervento dell'Armata Rossa.
Il 24 ottobre, Budapest si risvegliò già invasa dai carri armati sovietici.
Questo evento, che si inquadra nel più ampio fenomeno della Guerra fredda in atto fra USA e URSS, fu traumatico anche per il PCI - ricordiamo le dimissioni dal partito di Giolitti e di Calvino, Sapegno, Silone e molti altri, politici ed intellettuali...
L'azione sovietica venne invece appoggiata dal futuro Presidente della Repubblica Napolitano, salvo, nel suo viaggio ufficiale a Budapest di 50 anni dopo, rendere ufficiale omaggio ai 3000 caduti, ormai sdoganati dall'imbarazzante qualifica di "fascisiti", e alla tomba di Nagy.
Una piccola nota edificante.
L'America, come Pilato, si lavò le mani del sangue di questi "giusti"..."Non guardiamo a queste nazioni (l'Ungheria e le altre del Patto di Varsavia) come a potenziali alleati militari" affermò il Segretario di Stato dell'amministrazione Eisenhower, Dulles.
Dal trentatreesimo anniversario di quella data, e cioè dal 1989, il 23 ottobre è la festa nazionale ungherese.


----------------------------------------------

Le ore - Michael Cunningham



“Non ho tempo per descrivere i miei piani.. Dovrei dire una quantità di cose su “Le ore” e la mia scoperta, su come scavo delle belle caverne dietro i miei personaggi: credo che dia esattamente quello che voglio, umanità, umorismo, profondità. L’idea è che le caverne siano collegate, e ciascuno venga alla luce nel momento presente” Virginia Woolf, diario, 30 agosto 1923

“Le ore” rincorrono il tempo.
Quel tempo soggettivo, emotivo, che si dilata e si contrae nell’anima dei suoi personaggi, così come nella nostra: il tempo dell’attesa, della riflessione, dell’inquietudine, della gioia, del dolore e della disperazione. E’ il tempo che, nella precisa scelta tecnica di Virginia Woolf, doveva contenere nell’arco di una giornata l’intera vita del suo personaggio: Clarissa, quella Signora Dalloway protagonista di uno dei suoi libri più belli. Dietro i gesti alto-borghesi, apparentemente banali e frivoli di Clarissa, che deve organizzare una festa ed inizia la sua giornata fra la figlia e la scelta dei fiori, camminando per quella Londra così amata dalla Woolf, doveva esserci, secondo la scrittrice, un modo “personale” di ritrovare il tempo e donare spessore anche al semplice gesto quotidiano, uno spessore che appunto trascendesse l’attimo, rincorresse le ore passate e quelle a venire, in una ricerca anche di tecnica scrittoria che consentisse al romanzo di renderle al lettore. Nel trattare il suo personaggio, talvolta tirannicamente, Virginia inizierà così a scavare quelle che chiama gallerie, anfratti talvolta solatii, più spesso muscosi e tinti di nostalgia, dai quali emerge il passato di Clarissa e il suo modo di percepire, nella propria vita, gli altri esseri umani che si intrecceranno nelle ore della sua giornata.
Nel suo libro, Cunningham parte da qui, inventandosi una sua personale Clarissa Vaughan newyorchese, indaffarata a preparare i festeggiamenti per il premio prestigioso ricevuto da un caro amico poeta, Richard, al quale la lega un rapporto profondo, ma non privo di ambiguità, anche sentimentali ed erotiche. E a partire dalla disperata volontà di Clarissa di opporsi alla morte di Richard, ammalato di AIDS, nche attraverso le miopi vanità del mondo, Cunningham cerca un ulteriore modo nel quale le ore possano rincorrere e vincere il tempo: intreccerà così tre piani temporali, ciascuno simboleggiato dalla giornata di tre donne - la signora Dalloway, la signora Brown e la signora Woolf - giornate a loro modo sfaccettate o immobili, legate fra loro da un destino di ricerca e di insoddisfazione esistenziale. E forse di solitudine.
Sicuramente di morte: non a caso il libro si apre con l’asciutto, straziante racconto del suicidio di Virginia, le tasche piene di pietre, terrorizzata dalla guerra, terrorizzata dalla propria malattia, terrorizzata dalla possibilità di non essere nulla, non una scrittrice ma “solo una stravagante dotata”. E’ il 1941: Virginia esce da Monk House a Richmond per trovare “pace contro uno dei piloni del ponte a Southease.”
L’ombra dell’autodistruzione sfiora anche la signora Brown, in quegli Anni Cinquanta che videro in un’America all’apparenza ordinata (ordinaria?) e perfetta, il massimo uso di psicofarmaci come cullanti e rassicuranti madri di un popolo in apparenza felice e perfetto, nella sua fasullità. Madre e sposa intrappolata nella asfittica dimensione del suo ruolo, Laura Brown, lettrice della Signora Dalloway, sceglie dapprima di annientare se stessa, e poi di cercare salvezza nella fuga, accollandosi il più grande rimorso possibile per una madre - quello di abbandonare i figli.
Il dipanarsi della storia ci farà scoprire che uno di quei figli è proprio il malato Richard.
Ma ci deve sempre essere una vittima, un agnello espiatorio, per dare dimensione alla vita, riflette Virginia con la sorella Vanessa, alla quale parla del suo nuovo romanzo, che avrebbe dovuto chiamarsi Le ore, dopo aver celebrato coi nipoti il funerale di un tordo morto trovato in giardino. Ma non è Clarissa la sposa della morte.
Nel libro di Virginia, la vittima sarà l’ex soldato Septimus Warren Smith, che s’incammina verso la follia sino a suicidarsi poco prima della festa di Clarissa.
Nel libro di Cunningham, il suo posto di vittima sacrificale sarà preso da Richard, che a una morte ineluttabile, ma lenta e indecente preferirà il suicidio, di fronte allo sguardo raggelato e disperato di una Clarissa sin qui apparentemente anodina, che forse finalmente capisce e accetta i prodromi del dolore che da ore bussano inutilmente alla porta della sua anima.

Scrissi queste righe dopo aver visto il film dell'inglese Stephen David Daldry (banale pensare che un americano non avrebbe potuto affrontare il mostro sacro della letteratura anglosassone del Novecento?). Il libro di Michael Cunningham lo avevo letto prima: raro caso nel quale il film non delude il lettore, anzi, o almeno per me fu così. Ora, ripensandoci, forse quando Virginia, che probabilmente subì in età adolescenziale molestie da parte del fratellastro maggiore, ed era gravemente ammalata di sindrome bipolare, parla con la sorella di vittima sacrificale, almeno nell'intento dello scrittore, si riferiva in realtà a se stessa. Ma non lo sapremo mai. La sua limpida, consapevole voce, la voce di chi è abituato a combattere coi draghi ogni giorno, non resse alla malattia e il 28 marzo 1941 si spense per sempre.

Etichette: ,

postato da la Parda Flora alle 09:55  

 

22 ottobre 2006
Metti un Putin a cena
Io non dico niente, però secondo me è da prima della seconda guerra mondiale che alla Finlandia gli girano le balle.
Ma come dice il saggio cinese: siedi sulla riva del fiume e pazienta...

Etichette: ,

postato da la Parda Flora alle 20:17  

 

Le ore -
Cerco un senso alla mia vita. Forse lo attendo - attendo che una qualche epifania, della quale però inizio a disperare, visti gli anni passati, mi mostri il senso della mia vita.
Il momento nel quale ci sono stata più vicina fu, credo, molti anni fa, distesa sul prato dietro casa, all’ombra di un pero troppo piccolo per poter dare ancora frutti, in compagnia del mio gatto bianco e nero, il mio compagno di giochi prediletto. Guardavamo insieme le nuvole come aruspici, anche se naturalmente non lo sapevamo, e per un breve sfolgorante attimo io sentii che qualcosa si apriva, si disvelava in quelle rune celesti in perenne movimento. Ma poi l’attimo passò, e restai sola con un gatto soffice stretto fra le braccia.
Nonostante chi mi conosce bene sappia che sono una persona ironica, che ama molto ridere, e lo fa con il cuore, il dolore di quest’attesa spesso mi schianta. Vedo l’inutilità del tempo che passa, vedo l’inutilità della mia vita, rispetto a quell’unico attimo con il gatto stretto fra le braccia, vedo il silenzio diventare gelo. Forse, nella nostra attesa, attendiamo Dio, ovvero attendiamo un senso che vada oltre la piatta logica della biologia. la speranza di non essere ridotti a nulla, la risposta e il senso delle prove superate - la malattia, il dolore, i lutti, lo strappo straziante di coloro che amiamo e non avremo più - Come un viaggio del quale non si conosca la destinazione e del quale ogni notte si tracci un nuovo tratto di cammino. Distruggendo e ricominciando, caparbiamente. E forse il senso della mia vita è proprio qui. Dicevano i vichinghi

Solo lo stupido
pensa che vivrà per sempre
se eviterà la battaglia.
Ma la vecchiaia
non gli dà tregua,
anche se le lance gliela danno.

Etichette: , ,

postato da la Parda Flora alle 12:10  

 

   Chi Sono
   Post Precedenti
   Archivi
   Links

Da "Tango Lesson" di Sally Potter

Vamos a lo de la Parda Flora! 

Esmeralda



Le mie ragazze: Malafemmina

Le mie ragazze: Etta

Le mie ragazze: Anna

Le mie ragazze: Esmeralda

Le mie ragazze: Marisa