02 giugno 2007
Ad Atene noi facciamo così
Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui - ad Atene - noi - facciamo così!

Paolo Rossi da Pericle

(Un vecchio spettacolo, e delle antiche considerazioni, ma ancora così tremendamente attuali, da fare persino un po' paura...)

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01 giugno 2007
Dell'autoconformismo
In un blog che leggo regolarmente, stamane (quasi miracolosamente, perché Splinder era in una delle sue regolari fasi di manutenzione, e chiunque abbia scelto tale piattaforma era in pratica irraggiungibile) ho trovato una riflessione sul conformismo - auto conformismo, ovvero, direi io, sull'incapacità di uscire da schemi mentali, alla cui formazione e successiva cristallizzazione contribuisce anche la linguistica. E' (molto in soldoni) il concetto della mappa mentale neurolinguistica, intuita dal sovietico Vigotskij, che affermava che "il pensiero non si incarna nella parola, ma si conclude nella parola", e quindi sottintendendo un passaggio complicato e complesso del pensiero nel linguaggio esteriorizzato. Da qui parte poi il suo connazionale Lurja, psicologo che di problemi di neurolinguistica e di comunicazione verbale si è interessato a fondo, rappresentando una pietra miliare per chi si occupi di questi argomenti. Il concetto che egli elabora di mappa mentale, sottintende l’esistenza - non espressa e sovente non riconosciuta dal soggetto direttamente interessato - di alcuni assunti illogici ed errati nel pensiero pensato, ma non in quello espresso verbalmente o concretizzato nei fatti. Tali assunti sono ormai talmente radicati nel profondo di ciascuno di noi, da spingerci talvolta ad alterare concretamente la corretta percezione del mondo esterno, e di quanto da esso ci provenga, allo stesso tempo distorcendo anche la logicità del nostro modo di pensare noi stessi, il mondo esterno a noi, e i rapporti che intercorrono fra queste due componenti. Argomento del quale mi sono occupata più diffusamente in altre sedi.

Ma per tornare al tema del conformismo - lo ricordate il film “Harold e Maude” di Hal Ashby, un vecchissimo film del 1971, fosse altro che per la colonna di Cat Stevens?
Il quel film, a un certo punto la saggia ottantenne Maude dice:
Io credo che molte sofferenze vengano da chi sa di essere diverso e tuttavia lascia che gli altri lo trattino come un uguale.”

Quasi come in una delle poesie più famose di Sandro Penna...
"Beato chi è diverso,
essendo egli diverso,
ma guai a chi è diverso
essendo egli comune
».

Le cito perché mi pareva meritassero entrambe qualche riflessione, che ognuno può fare da sé, nel loro apparente aspetto giocoso del calembour... e comunque mi riconosco in entrambe, spudoratamente, pur conoscendo molti patetici comuni convinti orgogliosamente di essere diversi.
Sarà che, della mia parte comune, io almeno sono consapevole.
Così vorrei usare, infine, una citazione da Leonard Cohen, poeta e cantautore, perché mi ci ritrovo molto e sintetizza, molto meglio di me, cose che mi piacerebbe riuscire a spiegare... la scrittura; l’aspetto quasi da artigiano di bottega del quale avevo già accennato qualche tempo fa; quell'opus, come l’avrebbe chiamata, singolarmente, anche Zenone protagonista dell’Opera al Nero, che amo molto; il daimon di Platone che ci governa, timido o selvaggio ... e che sono tutto ciò che abbiamo.
"Di solito tendo alla tristezza. Per alcune canzoni ho impiegato diversi anni. Nessuna di essa è stata un parto facile, dopo tutto questo è il nostro lavoro. Tutto il resto va spesso in malora, in bancarotta totale, e così quel che rimane è il lavoro, ed è quello che faccio per tutto il tempo, lavorare, creare l'opus della mia vita. Il nostro lavoro è l'unico territorio che possiamo governare e rendere chiaro. Tutte le altre cose rimangono confuse e misteriose".


(Un giovane Cohen dalla voce ancora aspra, priva di quelle rotondità pastose e ricche che la caratterizzano ora, con una vecchia canzone, The partisan, per ricordare che giorno è domani, dal momento che se esiste la Repubblica, oltre che di chi votò, il merito è anche di tutti coloro che contribuirono a liberare l'Italia dalla dittatura fascista, e dalla guerra nella quale tale dittatura l'aveva trascinata...)

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30 maggio 2007
VVP e l'Altra Marcia dei Dissenzienti
VVP e l'Altra Marcia dei Dissenzienti

Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin e il vice capo della sua Amministrazione Vladislav Jur'evič Surkov percorrevano i corridoi del Cremlino rinfrescati dall'aria condizionata.
- E allora, che c'è ancora? - disse Vladimir Vladimirovič™. Aveva voglia di andarsene a casa, da sua moglie, a bere il tè.
- Ci sarà un'altra Marcia dei dissenzienti, - rispose Vladislav Jur'evič, - Questa volta a Voronež.
- Beh, e voi? - domandò Vladimir Vladimirovič™.
- Al solito, - Vladislav Jur'evič si strinse nelle spalle, - Abbiamo autorizzato la manifestazione, purché non in centro, ma da un'altra parte.
- E loro? - domandò Vladimir Vladimirovič™.
- Al solito, - Vladislav Jur'evič si strinse nuovamente nelle spalle, - Hanno detto che andranno lo stesso in centro.
- Adesso spiegami una cosa, - Vladimir Vladimirovič™ si fermò di scatto, - Perché fate così?
- Per dimostrare che infrangono le leggi, - rispose Vladislav Jur'evič, - Noi lo sappiamo, che loro andranno lo stesso in centro. E lì troveranno la polizia.
- Ma ovvio che andranno in centro! - esclamò Vladimir Vladimirovič™, - Devono dissentire! Fanno la marzia dei dissenzienti! Ovvio che non sono d'accordo sul posto che gli date. Ma si possono fare le cose con più delicatezza! Non occorre mica arrivare alla polizia.
- E come? - domandò con interesse Vladislav Jur'evič.
- È molto semplice, - rispose Vladimir Vladimirovič™, - Permettete loro di marciare dove vogliono.
- E perché? - si stupì Vladislav Jur'evič.
- Perché loro rifiuteranno! - disse Vladimir Vladimirovič™ con convinzione, - Sono dissenzienti! Non possono essere d'accordo con le autorità!
- Allora facciamola ancora più facile, - Vladislav Jur'evič afferrò la palla al balzo, - Li invitiamo noi, alla Marcia dei dissenzienti.
- Giusto! - annuì Vladimir Vladimirovič™, - Telefona subito a Lužkov. Che conceda alla Marcia dei dissenzienti il patrocinio del sindaco e del comune di Mosca. E vedrai quanti di loro verranno.
- Nessuno, verrà, - rispose Vladislav Jur'evič, - Sono dissenzienti, dissentiranno.
- E noi questo vogliamo! - disse Vladimir Vladimirovič™, - Bene bene, a questo punto io me ne andrei a casa...
E Vladimir Vladimirovič™ si allontanò frettolosamente lungo il corridoio del Cremlino.

dall'originale: vladimir.vladimirovich Grazie alla preziosa traduzione di Miru, mglio conosciuta come: il Capo
;-)

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