13 luglio 2007
Una semplice domanda
Tenuto conto che nella Costituzione Italiana, non mi risulta vi sia nessun accenno discriminatorio nei confronti dei voti dei senatori a vita, e cioè, per la Costituzione, i loro voti valgono esattamente come quelli di tutti gli altri loro colleghi (che sennò, tanto valeva investire i loro vitalizi nell'acquisto di qualche cariatide e telamone, che sostenessero il palco del Presidente, che magari erano pure più estetici...), e soprattutto, tenuto conto che quando erano essenziali per le risicate maggioranze del passato governo, la Casa delle Libertà li accoglieva a braccia aperte, anziché ostinarsi a denigrarli e a metterne in dubbio la validità

PERCHE' NESSUN MEMBRO DEL GOVERNO RICORDA TUTTO CIO' AGLI ITALIANI, CHE SI SA SONO NOTI PER LA MEMORIA POLITICA CORTA, DI FRONTE AGLI SBAVANTI AVVERSARI POLITICI?


Mi piacerebbe proprio che qualcuno mi rispondesse, magari il senatore Castelli, per esempio, famoso per la sua indefessa attività di esegeta della Costituzione, manco la Corte Costituzionale avesse chiuso i battenti! oppure il Cavaliere pelato ansioso di risalire in sella, a costo di attaccarsi a qualsiasi scusa, persino criticare i metodi di conteggio dei voti che quando governava lui, erano perfettamente legittimi...
Amo pensare che proverebbero un minimo di imbarazzo, se messi alle strette con la richiesta di risposte precise e non farneticanti o deliranti, ma ne dubito e ovviamente, comunque, non lo saprò mai, perché queste cose nessuno pensa mai di chiederle: meglio litigare fra membri della maggioranza, almeno sinché si può.

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Mnemosine
"La vita dei morti si trova nella memoria dei vivi"
Marco Tullio Cicerone

(magari non originalissimo, ma indubbiamente vero)

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postato da la Parda Flora alle 10:23  

 

12 luglio 2007
Paradise?
Amica mia carissima, sorella dell'anima,
sono pochi giorni che è passato il terzo anniversario della tua morte. Cerco parole nuove per un dolore che non riesce ancora a sopirsi nonostante il tempo, ma non le trovo: ho innaffiato il tuo alberello verde e rigoglioso, sai, quello nel grande vaso sulla tua tomba, e ho carezzato per un attimo le sue foglie, pensando fossi tu, e ho sentito un dolore così forte, un vuoto così grande... ogni primavera tremo all’idea non germogli più, e invece, il piccolo miracolo si ripete, e tu sei un pochino meno lontana... A volte anzi ti sento proprio vicina vicina, ma questa volta invece ho provato la voglia di venire io da te, a trovarti (c’è mancato poco) - e tu sapessi quante parole non dette se ne stanno dietro i denti, ché solo a te le potevo dire!
Cerco parole nuove, ma ritrovo solo le stesse di sempre, come allora, come un anno fa: tu che stavi male da mesi, sempre peggio; il tentativo di cambiare cure, lo sforzo di starti il più vicina possibile, sapendo che te ne stavi andando per sempre, che il tuo momento era arrivato. Eppure, il giorno prima di entrare in coma, hai ancora avuto la forza di stringermi e dirmi il tuo affetto.
Sai, qualche mese fa ho conosciuto sulla mia pelle, quella tua orribile fame d’aria, quella grande stanchezza che ti si leggeva negli occhi, secondo dopo secondo, mentre la malattia ti consumava. Ho conosciuto per qualche attimo quella strana terra di nessuno, nella quale passeggi senza sapere bene neppure tu che fare: restare? oppure andartene? ché a volte sembra così riposante l’idea di lasciarsi andare: lo sa bene il medico del pronto soccorso che mi ha prestato le prime cure.
Io continuo a ricordarti così...
Già quel pomeriggio i tuoi begli occhi erano diventati acquosi, assenti, distanti: io ti parlavo, ti parlavo affastellando tutto quello che volevo tu potessi portare con te, di questi lunghi anni di amicizia, a volte lieti e a volte disperati, nei quali c’eri stata sempre. Io parlavo parlavo, ma chissà se tu mi sentivi? Eri già in coma.
Verso le 11 lo sfinimento delle molti notti in bianco mi ha sopraffatta, appoggiata a un ricovero di fortuna, crollata per la stanchezza e il sonno: poi, alle tre, sveglia di colpo, quasi una voce mi avesse chiamato - ecco che te n’eri andata, silenziosa e discreta come sei sempre stata. Sola.
Nessuno dovrebbe morire solo, e questa colpa me la porterò a lungo con me, anche se è stata probabilmente questione di minuti... tu avevi solo me!
A chi la racconti, una sofferenza che ti strazia l’anima, alle tre del mattino? Unica saresti stata tu, come molte volte avevi fatto, ma non c’eri già più.
Così mi ricordo raggomitolata, a lamentarmi, lamentarmi come un animale, dove non dessi fastidio ad altri, perché il mio non era piangere umano, era dolore che cercava voce.

Sono passati tre anni da allora, tre anni - amatissima amica, amica mia - e ancora se ti penso non riesco a non piangere. Nessun altro potrà mai essere quello che sei stata tu: grazie di esserci stata, e di avermi voluto così bene.

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postato da la Parda Flora alle 11:19  

 

11 luglio 2007
Le velocità della vita
Alla presentazione di Cantando dietro i paraventi (film che a me è piaciuto moltissimo) Ermanno Olmi disse:

"Ho avuto una malattia che mi ha bloccato sei mesi, mi ha lasciato paralizzato a letto. Questa esperienza dolorosissima mi ha permesso di viaggiare da fermo, di soffermarmi sui dettagli, a differenza di quando si va in auto e si vede superficialmente quanto sta intorno. Non faccio l'elogio della terza età, ma è un periodo che consente di ripossedere il passato e le cose che abbiamo amato".

La mia malattia mi ha bloccato per quasi tre anni, e sicuramente mi ha fatto sentire invecchiata, e ancora non se n'è andata del tutto... fra qualche mese controllo dei polmoni con nuova TAC con scintigrafia.
Speriamo che il Maestro abbia ragione, dato che l'unico modo che io conosca per fregare il dolore, è riuscire a trovarci un qualche significato fecondo.

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postato da la Parda Flora alle 10:53  

 

10 luglio 2007
Osservazioni di etologia
I cani, quando s’incontrano, scodinzolano e si annusano il culo per riconoscersi in un rituale virtuale e sociale ben consolidato. Strano a dirsi, ma ci sono anche tante persone che si comportano allo stesso modo: fingono affetti che non provano, e si sbaciucchiano, senza mai appoggiare davvero la gota a quella dell’altro, senza mai entrare in contatto davvero, in un complesso rituale tribale, che in genere mi diverte osservare.
Dopo aver annusato ben bene i culi dei vicini per stabilire con certezza parentele, gerarchie e affinità, i cani iniziano un complesso balletto sociale, per stabilire chi è il maschio alfa e chi invece il giullare della compagnia. Ma quelli che ho visto non son gran combattimenti: ricordano di più le lotte tribali ad insulti dei babbuini, e perciò sono ridicole, e a volte patetiche. C’è un grande esibire di deretani colorati, come a dire il mio è più sfolgorante e abbacinante del tuo, e invece sono solo sederi di scimmie, che non potranno fare altro per tutta la vita che cercare di avere il culo più azzurro del vicino. Così i cani: cercano di essere il capo branco, ma non è mica facile: non basta avere tanta parlantina da istupidire l’ascoltatore al punto che questi si mette a pensare ai casi suoi e vi lascia da soli a blaterare... no, per fare il capo branco bisogna essere disposti ad accettare morsi e lacerazioni, e fin alla morte - tutte cose che non vanno granché di moda ultimamente. Perché un capo branco dev’essere anche disposto a sacrificarsi per i suoi, e io non ne ho ancora conosciuto uno disposto nemmeno a sacrificarsi per i figli. Tanto i figli si rifanno, mentre se il padre muore, la stirpe si esaurisce.
Così continuo a guardare questi branchi di cani un po’ selvaggi, un po’ à la page, che si aggirano per le nostre periferie "intellettuali" senza vergogna, e son convinti di saperla così lunga che nessuno li fregherà mai. E invece piano piano, a furia di rovistare nell’immondizia, torneranno le belve che erano, e le vedremo rapide attraversare la nostra notte coi loro occhi inquietanti.

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postato da la Parda Flora alle 12:18  

 

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