22 settembre 2007
Tutta sola verso un cielo nero nero s'incamminò...
Au revoir...

("Solo un idiota si mette fra Achab e la sua balena."
Gregory House)

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postato da la Parda Flora alle 20:35  

 

“E’ un dovere non rispettare, per dovere, un dovere etico”?
“E’ un dovere non rispettare, per dovere, un dovere etico”?
Jacques Derrida, “Donare la morte”
Jaca Book, 2002

Ho letto una affermazione che mi ha colpito molto, dato che c’è in essa qualcosa, nell’ultima frase, che proprio non mi convince: “Allora, cosa voglio dire? Semplicemente questo: non si può mai, e sottolineo mai, astrarre un comportamento dal suo contesto. La pederastia greca era possibile (e non solo era possibile, ma era anche buona e giusta) proprio perché era la società ad incoraggiarla, e non veniva avvertita da nessuno come violenza”.
E’ ovvio, mi pare, che ogni situazione debba andare contestualizzata: culturalmente, storicamente, antropologicamente...
Però, quando leggo “era buona e giusta”, penso, chessò? che perlomeno per lo stato maggiore di Hitler e le SS, e credo anche per una parte del popolo tedesco, era buona e giusta la Soluzione Finale. E per le soldataglie francesi che sciamarono in Italia a cavallo fra Medioevo ed epoca Moderna, era cosa buona e giusta saccheggiare e stuprare tutto ciò che trovassero sul proprio cammino, tanto che un diplomatico della Serenissima si sentì in obbligo di sporgere formale protesta (la Repubblica di Venezia fu la prima, storicamente, a dotarsi di un corpo diplomatico stabile presso le altre corti europee) alla corte francese, dato che mai prima d’allora s’era concepita la guerra in quei termini!
Forse allora sarebbe più corretto dire: era ritenuta cosa buona e giusta.
Quindi credo vada posta la necessaria attenzione, anche se solo nell'esprimersi, per chiarire bene che si sta esponendo una valutazione che era quella contemporanea al fatto o comportamento presi in esame, altrimenti si corre il rischio di essere ambigui e di far credere che se le cose sono culturalmente accettate in un determinato contesto, allora sono automaticamente accettabili in assoluto, e qui si aprirebbe tutto un altro filone di discussione, sempre pericoloso quando si ceda alla tentazione di applicare giudizi etici propri di una cultura ad un’altra, anche se questa è una operazione che spesso si è costretti a fare, anche per una banale questione di sopravvivenza della propria identità.
Molti di noi sono contrari alla pena di morte, per esempio, e questo rispetto per la vita ci pare un valore naturale, piuttosto radicato e generale, al di là dell’educazione etc, ma non è affatto così: esso è circoscritto a determinate fedi religiose, molto recente e molto ideologico, almeno nel diritto. Però, per rendere eclatante ciò che voglio dire, ricorderò che il popolo Maya trovava buono e giusto sacrificare migliaia di esseri umani per poter così garantire la sopravvivenza del mondo stesso, e dal suo punto di vista aveva pure ragione. La realtà è che l’unica uccisione alla negazione della quale ogni cultura aderisca, è la propria: anche quando sacrifica volontariamente gli elementi più deboli, come vecchi e bambini, per garantire la sopravvivenza della tribù, o come la si voglia chiamare.
Per fare un altro esempio, le donne cinesi hanno accettato per secoli, sino all’avvento del maoismo, il dolore e la deformazione permanente del piede di giglio, come componente essenziale dei requisiti della bellezza della loro cultura di appartenenza, ma non credo che, pur essendo orgogliose della loro particolare camminata, che trovavano buona e giusta perché così era loro imposto culturalmente dalla componente più forte della società, le bambine alle quali fasciavano i piedi per plasmarli in forme non esistenti in natura non piangessero disperate lacrime di dolore... eppure, parrebbe proprio che le madri o le nutrici che martoriavano quei piedini, non si percepissero affatto come autrici di un atto di violenza.

Storicamente ci sono molte cose che per noi ora sono obbrobriose, così come immagino il futuro troverà obbrobriose caratteristiche della nostra epoca, ma tutte facevano parte dei modelli culturali di una realtà contingente e venivano vissuti come normali: la citata pederastia greca, che in genere interessava dal 12 anno di età il fanciullo ed era appannaggio solo della classe sociale più elevata, che in genere primitivamente era stata quella dei guerrieri, era declinata in modo anche molto diverso nelle varie polis della Grecia, e la componente erotica e sensuale che noi siamo abituati (temo con un po’ di pruderie) a vedere come aspetto prevalente di questa tradizione educativa, in realtà molto sottolineata soprattutto ad Atene (la critica Platone), in assoluto parrebbe essere invece minoritaria, in una istituzione che presumibilmente rappresentava la sopravvivenza di più antichi rituali di iniziazione all’età adulta, attraverso l’apprendimento di nozioni e abilità virili, quali il combattimento e la caccia. La presenza però di aspetti quali il ratto rituale del fanciullo prescelto, a mio avviso, possono lasciare intravedere originari aspetti violenti successivamente inciviliti (Licurgo, per esempio, legiferò in materia) nei quali però l’opinione e il vissuto emotivo del fanciullo rimarranno per noi sempre oscurati da un cono d’ombra, tanto più che raramente era presa in considerazione l’eventuale soddisfazione del fanciullo rispetto alla situazione o al mentore che gli fosse capitato in sorte: necessariamente, il protagonista era solo l’adulto.
D’altra parte, per quel che ci insegna l’antropologia, la conquista dell’età adulta passa sempre attraverso l’esperienza del dolore, fisico e psicologico, e della paura.
Quindi anche certe situazioni della classicità, secondo me sarebbe bene non venissero mitizzate, ma guardate con un minimo di spirito critico
, anche perché le testimonianze che abbiamo provengono tutte dal mondo adulto, che la psicologia ci insegna, non è quasi mai il miglior testimone, o se si preferisca, il più imparziale, della propria infanzia. Rimane comunque un gesto socialmente imposto (e come tale testimoniato) dal più forte sul più debole, e nessuno potrà mai sapere se davvero il soggetto più debole non lo abbia mai avvertito come prevaricatore e violento, e non come cosa buona e giusta, come gli veniva richiesto ed imposto dalla cultura dominante: senza poi tenere conto che in queste situazioni, in genere, non è culturalmente concesso neppure il mettere in dubbio la giustezza o la bontà di atti e modelli comportamentali socialmente “dovuti”, per così dire, quindi è chiaro che chi li subisca se li deve far andare bene.
Per quanto riguarda la psiche poi, per esempio, sin dall’Alto Medioevo il figlio di un guerriero, veniva allontanato dalla sua famiglia, che forse non avrebbe mai più rivisto, all’età di otto/dieci anni, per essere inviato a casa dello zio materno, o di un nobile di maggior importanza che non il padre, per essere introdotto al mestiere delle armi, e magari a 14 anni era già un adulto a tutti gli effetti, nemici uccisi compresi. Un po’ come i “bambini soldato” dell’Africa, che guardiamo con orrore per l’infanzia che viene loro rubata, o quelli reclutati per la strada dalla malavita. Eppure tutti appaiono orgogliosi di questo essere promossi anzi tempo allo status di Adulto, cosa che spesso fa sì che i pedofili siano davvero convinti di dare amore e di non ferire le loro vittime: ma le vittime, quali elementi reali, non filtrati dall’adulto, hanno in mano per poter giudicare autonomamente della propria situazione? Nessuno. E se si guardi bene, tutto ciò accade sempre e solo in condizioni di grave disagio sociale, quindi fuori da una norma abbastanza generale, direi, che in un modo o nell’altro, tende a tutelare i cuccioli della specie, almeno sinché la sopravvivenza stessa della specie non sia in un pericolo tale, che a quel punto, biologicamente gli elementi da tutelare divengono quelli fertili in grado di rimpiazzare i cuccioli uccisi.
Oggi non sappiamo nulla di quali fossero i veri sentimenti che i bambini allontanati dalla famiglia per diventare scudieri provassero, perché nessuno ce lo ha raccontato ovvero ha ritenuto importante farlo, anche se la classica tesi di Ariés circa la negazione di particolari legami affettivi familiari verso i più piccoli, è da tempo storiograficamente superata.
Conosciamo però l’allucinante processo di Gilles de Rais, per l’assassinio efferato di almeno 80 fanciulli (il numero esatto non fu mai potuto stabilire, ma parrebbe sfiorare le duecento vittime) essendocene pervenuti gli atti - proprio lui, gran soldato, valente compagno d’arme di Giovanna d’Arco, che pedofilo e stupratore lo era di sicuro, e conosciamo sempre da quegli atti il legame ambiguo (tipo sindrome di Stoccolma, che immagino esistesse anche prima che le si desse un nome) che lo univa in particolare a un ex bambino da lui a suo tempo molestato, poi divenuto suo valletto, complice e paraninfo, e in tutto questo di accettabile culturalmente, all’epoca non ci trovarono nulla, visto come finì il processo, e non solo per la imperante cultura cattolica che condannava la pederastia, così come l’omosessualità: de Rais, in una società che vedeva di norma la violenta prepotenza nobiliare imperare impunita, oggettivamente fa impallidire i produttori di snuff movies pedopornografici attuali! Al punto che i giudici si rifiutarono di mettere agli atti i passi più violenti e sadici della sua testimonianza.
Ma la cosa interessante per questo discorso è l’educazione ricevuta da de Rais dal nonno, che lascia immaginare che scenari di abuso potessero essere frequenti, e anzi parte integrante della educazione guerriera (quanto di più vicino la cultura occidentale dell'epoca aveva concepito alla paideia, in un sia pur distorto sincretismo tra tradizioni barbariche tribali e vestigia della cultura classica), quando un bambino si trovava catapultato nel mondo adulto dei cavalieri, che in genere condividevano una sala d’armi/dormitorio, per così dire, nel castello del senior e che nonostante gli sforzi della Chiesa per penetrare in quelle stanze, sappiamo con ragionevole sicurezza che culturalmente erano ancora molto più vicini ai cerimoniali e allo spirito dei propri antenati di origine germanica e pagana, che non a quella dei monasteri.
Barbara Frale, ricercatrice e Ufficiale dell’Archivio Segreto Vaticano, è arrivata, per esempio, a ipotizzare con argomenti quanto meno suggestivi, che tutte le strane cerimonie sino al limite della blasfemia - sodomia compresa - delle quali furono accusati i Templari nel famoso processo intentato contro di loro da Filippo il Bello, al di là dell’esagerazione calunniosa, non fossero altro che l’equivalente di una sorta di “nonnismo” (i Templari sono il primo vero esercito permanente, ovvero che non si scioglieva in inverno per permettere ai suoi componenti di tornare alla propria casa) nei confronti delle reclute, anche probabilmente per prepararle a quel che poteva loro realmente accadere nel caso venissero catturate. E il “nonnismo” sopravvive ancora nelle comunità chiuse maschili (pensiamo ai college inglesi, che tanto hanno fatto parlare sino a pochi anni fa, quando vennero abolite, con una certa indignazione diffusa, le punizioni corporali, e dove le prepotenze sui più piccoli erano tacitamente tollerate come parte dell’educazione ad una precisa visione della virilità) perché, cosa per me incomprensibile, ma evidentemente meccanismo umano molto diffuso, se mi è stato fatto qualcosa che non ho gradito, invece di rifiutare la logica che ha generato quell’atto, appena posso a mia volta mi rivarrò su qualcun altro anche se completamente estraneo, perpetrando la consuetudine - che come sappiamo, può addirittura divenire, col tempo, legge - per vendicarmi o per ribadire l’appartenenza ad un gruppo o per il motivo che ciascuno può scegliere di darsi, e nel compiere quell’atto, riterrò di fare cosa buona e giusta, spinto a ciò dall’approvazione della comunità alla quale appartengo (da quanto tempo si è realmente iniziato a parlare di cosa accadeva nelle caserme alle “spine”?).

Così spesso sopravvivono all’interno di determinati gruppi sociali atteggiamenti tollerati, ma non per questo oggettivamente buoni e giusti, né privi di violenza, almeno per una delle parti in causa - la più debole, quella che in genere tace e subisce, non avendo diritto di far sentire la sua versione dei fatti.
Comunque, usavo l’esempio di Gilles de Rais, anche perché criminologicamente non è vero che di norma il pedofilo ammazza la sua vittima per paura di farsi scoprire, come è stato erroneamente scritto nel post all’origine di questi pensieri sparsi: invece lo fa il sociopatico, come era certamente sociopatico de Rais, forse il primo serial killer del quale abbiamo notizia storica, perché ciò che lo fa godere è il possesso e il totale controllo su di un altro essere umano, e chi più adatto di un bambino, magari appartenente a una gruppo sociale privo di ogni minima tutela legale - all’epoca del barone de Rais, i figli di poveri e mendicanti; oggi, a credere alle molte denuncie, che hanno coinvolto anche istituzioni ecclesiastiche, niños de rua e simili - bambini che spesso non si sanno rendere neppure conto di cosa gli stiano facendo?
Perché non tutti i pedofili sono necessariamente sadici e violenti, e comunque non sono in genere così cretini, quando hanno trovato un giocattolo, da romperlo e buttarlo via in quattro e quattr’otto. Se tutti i bambini vittime di abusi e molestie fossero stati ammazzati, hai voglia che statistiche avremmo...

E questo dimostra come sia facile, anche in buona fede, cadere nel luogo comune, quando si parli di mondi che ci siano estranei, per un motivo o per l’altro, e secondo me l’argomento una riflessione serena la meriterebbe, perché è applicabile a svariati altri ambiti, nei quali talvolta, più della cattiveria parla l’ignoranza...
Ovviamente, non difendo assolutamente i pedofili, se però una cosa non è corretta, resta tale e la noto, anche se il soggetto di tale errore è un criminale, o un malato psichiatrico (ognuno scelga la versione che preferisce, o trova più rassicurante).

Forse, ogni società cerca un suo modo codificato per tutelare se stessa, e cioè l’ordine e l’autorità, di riffa o di raffa appartenenti sempre agli elementi più forti della collettività: nella nostra, paradossalmente giacché la si vorrebbe evoluta, senza più quei riti iniziatici di passaggio (non è più obbligatorio neppure il servizio di leva) che sancivano il confine fra l’indeterminatezza dell’infanzia, e i diritti e doveri sociali dell’adulto; con un sempre più fallimentare ruolo della famiglia, e ormai assente quello del Maestro, l’adulto estraneo che guidava nel Mondo al di fuori della sicurezza familiare il ragazzo nella sua maturazione, il branco (o l’indifferenza) si sta sostituendo alla tribù o al clan, e l’autodistruttività e la violenza gratuita alla dimostrazione di coraggio, che invece non era mai fine a se stessa.
Neppure i barbari crescevano i loro figli così, ma sinceramente, della grandezza dell’Ellade e della sua paideia, pur ricca di quei pericoli manipolatori, dei quali avvertiva Socrate, al di là del mito del benessere fisco a tutti i costi, quanto ci è ormai rimasto?
Civicamente e civilmente, assai poco, direi...
La società attuale incoraggia e tollera, direttamente o indirettamente, talmente tanti comportamenti che assumersi la responsabilità di affermare, per questo, che ne avvalli automaticamente la bontà, mi pare operazione intellettuale assai pericolosa, oltre che spericolata.
Ma se accettiamo per buona quell’ultima frase, che continua a lasciarmi perplessa e dalla quale siamo partiti, è proprio a questo che si arriva; e di comportamenti oggettivamente violenti, anche dal solo punto di vista psicologico, ma soggettivamente non percepiti come tali dalla nostra società e quindi non socialmente riprovevoli, ce n’è una marea. Soprattutto nei confronti dei più fragili, e lo dimostrano un disagio palpabile e un diffondersi di patologie, psichiatriche e non, un tempo sconosciute al mondo dei bambini e degli adolescenti.
E in questo, di buono e giusto perché socialmente accettato, non riesco a vedere proprio nulla: perciò, ho scelto di aderire alla provocazione destabilizzante un ordine generale assoluto del filosofo francese Derrida - Kierkegaard, a modo suo, avrebbe probabilmente detto che “l’istante della decisione è una follia, soprattutto rispetto all’istante della decisione giusta”!

Come non cedere al fascino di questa follia?

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postato da la Parda Flora alle 11:57  

 

16 settembre 2007
La casa delle libertà c'est moi!
"Due cose mi erano assolutamente necessarie: un gran lavoro personale; la scelta di un gran numero di persone che lo potessero assecondare [...]
Quanto alle persone che dovevano assecondare il mio lavoro, decisi innanzi tutto che non avrei avuto un primo ministro; e se vorrete darmi ascolto, figlio mio, e dopo di voi tutti i vostri successori, questa carica sarà per sempre abolita dalla Francia, nulla essendo più indegno che il vedere da una parte tutti i poteri e dall’altra il mero titolo di re (vi fa ricordare, sì, qualcosa della riforma costituzionale che si voleva attuare? nota della Parda).
A tale scopo, era necessario che io ripartissi la mia fiducia e l’esecuzione dei miei ordini, senza concederle per intero a nessuno, assegnando alle diverse persone compiti diversi secondo le loro diverse capacità, e il saper fare questo è forse la prima e più qualità dei principi (e anche dei capi della CdL, nota della Parda).
Decisi anzi di più: per poter meglio riunire in me solo tutta l’autorità sovrana, sebbene vi siano, in ogni sorta di questioni, particolari ai quali di solito le nostre occupazioni e la nostra stessa dignità non ci permettono di scendere, presi la risoluzione, dopo aver scelto i miei ministri, di occuparmi talvolta (tipo reggere contemporaneamente più di un ministero “ad interim”? nota della Parda) anche di quei particolari con ciascuno di essi, e quando meno se lo aspettasse, perché capisse che avrei potuto fare altrettanto su altre questioni e in ogni momento ( ve li ricordate anche voi certi alleati periodicamente basiti per dichiarazioni circa le quali parevano non sapere una benamata minchia? nota della Parda).”


E mi fermo qui, ma ormai lo abbiamo scoperto, il libro da comodino di qualcuno: le “Memorie di Luigi XIV”, redatte per suo ordine fra il 1666 e il 1671, perché servissero all’educazione all’esercizio del potere da parte del Delfino. Solo che altro che Delfino: qui se ne è impadronita una scimmia urlatrice calva, o quanto meno berciatrice di peluche, che alligna in vasti territori (stranissimo, lo so, ma non dimentichiamoci che siamo nel Bel Paese, ovvero nel Paese delle Meraviglie) comprati sottocosto con il vecchio gioco delle società ungitrici a scatole cinesi, nella ridente isola sarda.
E un bel pernacchione ai vari ambientalisti: si comprino un pedalò per raggiungere Ostia e costruirsi un bell’anfiteatro romano di sabbia! in attesa della promessa donazione (campa cavallo, e va a pascolare altrove, che qui l’erba se l’è già tutta pappata qualcun altro...)

La ...Storia poi ci racconta, ma inutilmente, come finì questa corsa all’assolutismo: con un inarrestabile declino e un bel po' di teste tagliate, nobili e ignobili, dopo circa un secolo e un bel po’ di guai per tutto il resto dell’Europa. Che è poi la fine che fanno, prima o dopo, tutti gi assolutismi. Ma tanto, di come finisce la storia a chi gliene frega niente. Ognuno è convinto di essere eterno, e di non avere il proprio destino che gli respira sul collo.

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postato da la Parda Flora alle 18:29  

 

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