08 settembre 2007
Caso Politkovskaja: il giorno delle porte aperte
Dunque, eravamo rimasti, dopo un delizioso intermezzo semi comico di VVP, al fatto che dieci persone erano state arrestate per l'omicidio nell’ottobre 2006 della giornalista russa Politkovskaja (che visto che negli ultimi anni, i giornalisti ammazzati o comunque fatti sparire, soprattutto - toh! che sorpresa... - se non di regime erano 14, che è sempre un bel numero, anche in una "Moscovia" ridotta nei suoi territori post caduta del muro di Berlino, sufficiente a smuovere qualche sussulto di coscienza professionale anche nei colleghi di paesi ove la libertà di stampa è viva e vegeta, e anzi vi manda a salutare tutti: forse perché si prepara ad emigrare in lande a lei più consone... specifico - era una battuta: volesse mai il cielo che qualcuno mi prenda sul serio!).

Già all’epoca dei fatti, oltre alla ovvia pista cecena, di ipotesi sui mandanti ce n’erano più d’una, ma ripeto, dopo la dovuta notizia di qualche giorno fa, circa quegli arresti, che alla pista cecena appunto si rifacevano, sul caso è ricalato il silenzio.
Così, per stupirvi e spiazzarvi un po’ (ah mondo crudele: perché non sei semplice e limpido come tutti vorremmo, così da poter passare la vita di fine esate fra quel che resta della “Paranza” e gli ultimi gossip sulla Ventura), ecco qua, dalla Novaja Gazeta n. 66, 30-08-2007, con la consueta e indispensabile complicità di Miru e degli amici di Tlaxcala, un’altra puntata di questo giallo, che magari, lo ammetto, fa meno scalpore dell’assassinio Poggi, ma che vi assicuro, una certa attenzione, magari meno morbosa e più consapevole, lo merita decisamente anche lui.


Caso Politkovskaja: il giorno delle porte aperte

Novaja Gazeta n. 66, 30-08-2007

Sono state arrestate dieci persone sospettate di complicità nell'omicidio di Anna Politkovskaja. Al proposito è stata fatta una dichiarazione ufficiale: il crimine è stato risolto.
Non è così.

In primo luogo, i responsabili della morte di Anna non sono stati tutti arrestati.
In secondo luogo il coinvolgimento dei fermati va ancora dimostrato. La nostra indagine indipendente ci permette di supporre che ciascuna di queste persone è, in diversa misura, implicata nel delitto, ma la procura ha ancora davanti un lungo lavoro di routine: interrogatori, confronti, ulteriori indagini. Il processo non è destinato a svolgersi né domani né quest'anno.
In terzo luogo la questione del mandante rimane aperta.
C'è anche un quarto punto, ed è il più importante: la fuga di notizie organizzata sui mezzi di comunicazione da qualcuno che desiderava trarne profitto o da qualcuno che voleva intralciare le indagini, impedendo che chiarissero le circostanze dell'assassinio su commissione della giornalista e di tutta una serie di altri crimini.
Di fatto, dal 27 agosto, dichiarato giorno delle porte aperte nell'ufficio della procura generale, nell'MVD [il Ministero degli interni, n.d.T.] e nell'FSB [il Servizio di Sicurezza Federale, n.d.T.], è emerso tutto: cognomi, circostanze degli arresti, precedenti, collegamenti, versioni... Sorge perfino un sospetto diabolico: non saranno stati il mandante e coloro che lo proteggono a dare il via a tanto clamore?
Fino al 27 agosto, giorno della conferenza stampa del procuratore generale e delle dichiarazioni dei servizi speciali, gli arrestati non sapevano ancora chi fosse stato fermato oltre a loro. La "lista" non era nota neanche ai criminali rimasti in libertà, che ora possono capire quale sia il filone principale dell'indagine e sono messi nella condizione di potersi nascondere. I primi arresti sono cominciati il 13 agosto, erano stati preparati a lungo e attentamente, senza alcuna fuga di informazioni: gli inquirenti intendevano ricorrere a interrogatori, identificazioni e confronti inaspettati. Agli avvocati degli arrestati era stato intimato di non far trapelare i dettagli dell'indagine. Ora appare evidente che tutte queste misure precauzionali erano inutili. Evidentemente qualcuno voleva tracciare una riga sulla lista di criminali. E questo come prima cosa. E impedire che fossero rivelati altri crimini che, secondo noi, le persone già arrestate avrebbero potuto commettere. Perché la lista dei complici di questi altri crimini avrebbe potuto riservare delle sorprese. E questo come seconda cosa.

Durante la conferenza stampa il procuratore generale è stato molto cauto, se si escludono le sue frasi sul mandante e le allusioni sul coinvolgimento nell'omicidio di membri della polizia e dell'FSB. Il primo a svelare i dettagli segreti dell'inchiesta, quello stesso giorno, è stato il direttore del Dipartimento della sicurezza personale dell'FSB, Kuprjžkin, che ha fatto il nome di un arrestato, il colonnello Pavel Rjaguzov.

A nostro parere questa è una delle figure più curiose emerse nell'indagine sull'omicidio di Anna Politkovskaja e, sembrerebbe, non solo di questo crimine. L'ultima supposizione deriva dalle dichiarazioni degli stessi funzionari dell'FSB: hanno assicurato che il colonnello Rjaguzov era tenuto d'occhio da tempo, e non era il solo. Da quanto tempo, verrebbe da chiedere? E per quale motivo? Per quanto ci consta, i primi riferimenti all'ufficiale dell'FSB Rjaguzov risalgono al 2004 e riguardano un sospetto abuso d'ufficio. A quel tempo era già in buoni rapporti con Sergej Chadžikurbanov, della sezione etica dell'UBOP [il Direttorato per la lotta al crimine organizzato, n.d.T.], il cui cognome è apparso nella lista degli arrestati per il caso Politkovskaja pubblicata il 28 agosto, mente i dettagli sono stati resi noti il 29. Chadžikurbanov è stato condannato per l'appunto nel 2004. I quattro anni di carcere sono stati ridotti a due dalla Corte distrettuale di Zamoskvoreckij e nell'agosto del 2006 Chadžikurbanov è tornato in libertà.

Quando è stato reso noto il cognome dell'agente dei servizi speciali le notizie hanno cominciato a dilagare: sui siti internet sono state pubblicate varianti della lista degli arrestati, identikit del sospetto killer, i fotogrammi ripresi dalle videocamere di sorveglianza installate all'ingresso della casa sulla Lesnaja e le fotografie del capo della squadra investigativa Pëtr Garibjan. Sono stati violati il segreto istruttorio e la presunzione di innocenza degli arrestati: in breve, è stato fatto il possibile per intralciare l'indagine e per fornire agli avvocati dei sospetti una buona linea difensiva.

In 10 mesi non c'era stata alcuna grave fuga di notizie, e questo è un fenomeno francamente raro nella pratica attuale. Il capo della squadra investigativa ha mantenuto scrupolosamente il riserbo, e così abbiamo fatto anche noi. Perfino i giornalisti che rappresentano gli interessi dei servizi speciali in varie pubblicazioni erano stati costretti a limitarsi alle supposizioni. Ma non appena i risultati preliminari dell'indagine sono finiti sui tavoli dei tanti capi civili e militari è risultato impossibile mantenere il silenzio.

Invece tutte le informazioni sarebbero dovute restare rigorosamente segrete: i collegamenti di Chadžikurbanov e di Rjaguzov sono troppo vasti, queste persone fanno troppo parte del "sistema". Consultando i dati resi pubblici dall'MVD si possono osservare strane coincidenze: per esempio, cosa ci faceva il numero di telefono di servizio di Chadžikurbanov nell'agenda di un noto criminale? Che collegamento ha con le persone arrestate per l'omicidio di Anna Politkovskaja il numero di telefono "evidenziato" nell'inchiesta sull'esplosione al McDonald's? Chi ha chiesto agli agenti dell'apparato centrale dell'FSB di localizzare l'abitazione di Anna Politkovskaja e che rapporto hanno con questo gli ufficiali del GUBOP [Direttorato centrale per la lotta al crimine organizzato, n.d.T.]?

Sono solo quattro domande, alle quali potremmo non ricevere mai risposta a causa della massiccia fuga di notizie che si è verificata: purtroppo l'intenzionale diffusione dei materiali dell'inchiesta ha già causato conseguenze irreversibili per l'accertamento della verità. Proprio quello che serviva, dopo l'insuccesso del tentativo di ostacolare le indagini nella loro fase iniziale.

Attorno all'indagine e ai giornalisti della "Novaja" per tutto questo tempo si è aggirata una folla di strani personaggi: un torbido e cupo assortimento di provocatori professionisti, di ex e attuali agenti dei servizi speciali, di informatori e di delinquenti. Molti di questi sono poi diventati le "fonti" principali di altri clamorosi casi: Kovtun, Žarko... Altri mettevano insieme false versioni. C'era la sensazione di trovarsi di fronte a un'operazione speciale ben pianificata: a onore dell'indagine, va detto che si è rivelata inutile. Adesso però abbiamo l'impressione che questa operazione speciale sia passata a un'altra fase: il piano B, quello di riserva.

La pratica dei servizi speciali, adottata ora attivamente anche dall'MVD, è questa: gli agenti compromessi vanno immediatamente congedati prima che venga presentata l'imputazione. Di regola sono gli stessi agenti, che devono conformarsi ai "principi dell'etica corporativa", a presentare rapporto per il congedo. In questo caso è stato detto che Rjaguzov prestava servizio attivo nell'UFSB di Mosca e della regione di Mosca (e noi aggiungiamo: nella sezione "etica" dell'UFSB). L'FSB consegna i suoi uomini solo quando infrangono le regole: Rjaguzov non voleva essere un "ex" agente poiché era convinto di poter dimostrare la propria innocenza? Poco probabile, perché non è un bambino. Aveva un "asso nella manica" e pensava di poter vincere? Più vicino alla realtà: era possibile trattare. Dopo tutto è meglio riconoscere la presenza di qualche "anomalia" qua e là, per usare l'espressione del procuratore generale, piuttosto che scavare tra i suoi contatti, non è così?

Noi non vogliamo giocare con le teorie del complotto. La ragione per cui si cerca di affondare le indagini non va cercata in un complotto: è semplicemente la corruzione, la totale connivenza tra il sistema di tutela dell'ordine pubblico e la criminalità.

È proprio questo che ha mandato dietro le sbarre gli agenti del GUVD [Dipartimento Centrale per gli Affari Interni, n.d.T.] di Mosca sospettati di complicità nell'omicidio di Anna Politkovskaja. Tre persone, oltre all'"ex" Chadžikurbanov. Grazie alla conferenza stampa dei nostri servizi di sicurezza ora tutto il mondo sa che in Russia oltre alle "intercettazioni" illegali (il caso dell'alto funzionario del MUR [il Dipartimento di Indagini Criminali di Mosca, n.d.T.] Orlov, ora in tribunale), in Russia esistono anche le "sorveglianze" illegali. Naturalmente si sapeva già da molto tempo: chi ne aveva bisogno se ne serviva, anche a un prezzo accessibile, 100 dollari all'ora. E intanto l'amministrazione poteva lamentarsi di essere a corto di uomini che sorvegliassero i criminali...

Analizzando le circostanze della morte di Anna ci siamo fatti un'idea di massima sull'omicidio. Probabilmente gli intermediari ricevettero l'ordine nella primavera-estate del 2006; cominciarono a seguire da vicino la Politkovskaja all'inizio di ottobre e prima di allora ricorsero ai mezzi dei servizi speciali per stabilire il suo vero indirizzo (aveva traslocato da poco nell'appartamento sulla Lesnaja). Sorvegliarono dal mattino alla sera la sua auto e l'ingresso della sua casa. Generalmente, tenendo conto di tutte le minacce esplicite o velate che riceveva, Anna era molto prudente: informava sempre la redazione di tutte le "stranezze" che succedevano a lei e ai suoi familiari.

Ma alla fine di agosto e in settembre non è stato così: sua madre era ricoverata all'ospedale, c'erano stati i funerali di suo padre, e il percorso di Anna, diversamente da quello dei giorni di lavoro, era praticamente sempre lo stesso. La mattina portava fuori il cane, poi andava a fare la spesa e a trovare sua madre, il pomeriggio rincasava, portava fuori il cane, verso sera tornava all'ospedale. Quando ci sono problemi con le persone care si presta meno attenzione a se stessi... Sebbene Anna si fosse lasciata sfuggire un accenno alla gente strana che incrociava sulle scale di casa.

Quelle persone, o più probabilmente quell'uomo, ci sono effettivamente andati. Riteniamo che il killer sia entrato nell'atrio più di una volta (al minimo due), praticamente insieme alla Politkovskaja, per fare una ricognizione prima di sparare cinque colpi di pistola contro Anna (che era appena entrata nell'ascensore) alle 16 e 1 minuto del 7 ottobre 2006. Due colpi l'hanno raggiunta alla testa: il secondo era il cosiddetto colpo "di controllo", per verificare che fosse morta. Una pistola Iž modificata e munita di silenziatore fu abbandonata sulla scena del crimine, stabilendo così la sua "biografia". Era "pulita", cosa che non si può dire delle sue sorelle gemelle, anch'esse convertite dalla pistola Makarov. L'assassino uscì di corsa dall'atrio del condominio (all'epoca qualcuno passò anche queste immagini ai giornalisti, ostacolando seriamente le indagini), salì su un'auto e si allontanò dal luogo del delitto.

Come potete capire, dietro a questa cronologia del crimine (che è lungi dall'essere completa) si celano molti dettagli che riteniamo di non dover rivelare. È ancora necessario spiegare perché abbiamo taciuto per tutto questo tempo?

Gli arresti finora effettuati e (noi tutti lo speriamo) quelli futuri, ci permettono di fare alcune osservazioni. In primo luogo, l'indagine ha portato sia la procura generale sia noi a due (come minimo) bande criminali che collaborano "fruttuosamente" tra loro, in quella connivenza tra forze dell'ordine e crimine organizzato di cui Anna aveva scritto spesso, quella stessa permissività che spinge ufficiali e sottufficiali ad abusare dei propri poteri. Ci preme sottolinearlo: anni e anni di affari comuni, basati su crimini gravissimi. Se si cominciasse a sbrogliare questo groviglio si potrebbero svelare le circostanze di molti casi criminali finora irrisolti. A giudicare dagli ultimi fatti, però, faranno di tutto per impedirlo.

In secondo luogo l'assassinio della Politkovskaja è stato preparato scrupolosamente: hanno agito dei professionisti che avevano già esperienza nella "soluzione di problemi simili".

In terzo luogo, tutto questo è stato costoso. E quest'ultima osservazione ci porta, naturalmente, alla questione del mandante. Per ora la lasciamo senza risposta: non perché non abbiamo niente da dire al proposito, ma perché è prematuro parlarne.

C'è un grande pericolo nelle operazioni speciali pre-elettorali attorno alle circostanze dell'assassinio di Anna Politkovskaja, come ha dimostrato anche la conferenza stampa del procuratore generale quando ha praticamente citato il presidente della Federazione Russa, che a tre giorni dall'omicidio ha indicato alla procura generale la linea di indagini da privilegiare per trovare il colpevole: "Delle forze che si trovano all'estero e sono interessate a destabilizzare la situazione in Russia".

Di quelle "forze" si conosce il cognome. L'assistente del presidente Šuvalov ne ha parlato in modo più trasparente, e neanche il presidente ceceno Kadyrov ne ha fatto mistero: Berezovskij. (Né Šuvalov, né Kadyrov sono stati ancora interrogati, anche se dovrebbero esserlo d'ufficio, visto che sanno qualcosa). Tra l'altro, l'oligarca "esiliato" fa tutto il possibile per confermare questa versione agli occhi dell'opinione pubblica: a volte si ha l'impressione che qualcuno si sia messo d'accordo per sincronizzare azioni e dichiarazioni. L'appello alla rivoluzione giunto da Londra è praticamente coinciso con la conferenza stampa in cui il "rivoluzionario" è stato accusato di coinvolgimento in omicidi su commissione.

Non escludiamo la possibilità di un coinvolgimento degli "oligarchi fuggiaschi", come di tutta una serie di altri personaggi: ci sono diverse ipotesi sul mandante dell'omicidio della Politkovskaja; noi per esempio abbiamo l'impressione che il mandante non abbia lasciato la Russia. Ma parlarne è prematuro: vorremmo disporre di prove inconfutabili. E sarebbe meglio porre fine alle speculazioni sul mandante: finché da un lato le indagini sono circondate da giochi politici e mosse propagandistiche, e dall'altro gli ufficiali corrotti dei servizi e delle forze dell'ordine mettono in atto i loro depistaggi, non ci sono garanzie che i nomi dei reali mandanti finiscano sotto processo.

Abbiamo ripetuto più volte che non abbiamo alcuna pretesa nei confronti di chi indaga sull'assassinio della giornalista della "Novaja". Noi collaboriamo e lo facciamo in modo molto fruttuoso. Vogliamo essere sicuri che niente disturbi questo lavoro congiunto. Il risultato è ovvio: bisogna accertare l'identità degli assassini e dei loro mandanti, che dovranno essere processati e scontare la loro condanna.

Spesso sentiamo questa domanda che è anche un rimprovero: perché così tanto tempo?

Per quanto riguarda i tempi, ricordiamo che Anna Politkovskaja aveva pubblicato sulla "Novaja" più di 500 articoli. Quasi ciascuno di essi può fornire una causa o un movente. E non si tratta solo di articoli legati alla Cecenia, perché la geografia si amplia a includere il Daghestan, l'Inguscezia, la Kabardino-Balkaria, Astrachan', la Baškiria, San Pietroburgo, Mosca... Per questo all'inizio sono state fatte molte ipotesi. Una delle prime riguardava il possibile coinvolgimento di Lapin (soprannominato Cadetto), ufficiale dell'OMON di Chanty-Mansijsk, che aveva già minacciato la Politkovskaja e che è ora sotto processo in Cecenia. I suoi complici, il maggiore Prilepin e il tenente colonnello Minin, anch'essi ufficiali dell'MVD, erano ricercati dai federali: dovevano essere interrogati anche per l'omicidio della Politkovskaja. Mentre li cercavano la notizia è stata diffusa dalla stampa, con il risultato che ne hanno trovato solo uno, a Nižnevartovsk: non pensava nemmeno a nascondersi, era rimasto a casa e continuava a prestare servizio con le stesse mansioni e gli stessi gradi. Si chiarì che non avevano alcun collegamento con l'omicidio Politkovskaja. Per tutto il resto fu scritta una relazione separata della procura generale. Tutto il resto è quello da cui siamo partiti: l'assoluta incontrollabilità e corruzione delle forze dell'ordine e dei servizi speciali.

Poi c'è stato lo scandalo dell'omicidio dell'ex ufficiale dell'MVD della Cecenia e agente dei servizi speciali Bajsarov. Durante l'autunno dello scorso anno venne nella nostra redazione il sindaco di Groznyj Bislan Gantamirov. Disse che a Mosca erano operativi tre gruppi di killer. Uno voleva ucciderlo, l'altro dava la caccia a Bajsarov, il terzo "lavorava" alla Politkovskaja. Fece dei nomi e disse che uno dei gruppi si trovava nelle mani dell'UVD di Chamovničesk.

Si chiarì che queste persone non avevano alcuna relazione con l'omicidio della Politkovskaja. Ma si chiarì anche che tre ceceni, agenti dell'MVD della repubblica, erano stati in effetti trattenuti dal Direttorato degli affari interni di Chamovničesk, senza istruzioni né incarichi ma con un "equipaggiamento da killer" nel bagagliaio che comprendeva fucili a cannocchiale di grosso calibro per sparare a veicoli con un livello di blindatura standard. Un ufficiale dell'apparato centrale dell'FSB, il capitano Bažanov, tentò di salvarli senza riuscirci. Fu avviata un'ulteriore indagine, che secondo le informazioni in nostro possesso non ha portato a nulla. Gli uomini fermati stavano preparando un'azione fuori Mosca e forse anche fuori della Russia.

È vero, tutto questo non aveva alcuna relazione con l'assassinio di Anna Politkovskaja. Però Bajsarov è stato comunque ucciso, a una settimana dalla visita in redazione di Gantamirov, alla quale presenziarono su nostra richiesta anche gli ufficiali dell'apparato centrale dell'MVD.

In generale molto di ciò che è uscito durante l'inchiesta (sia la nostra, sia quella ufficiale) - i provocatori che tentavano di depistare e di spiegare quello che era già noto e di confondere le tracce; i profittatori che miravano alla ricompensa offerta dall'azionista del giornale Aleksandr Lebedev; e le minacce - tutto questo fornisce ulteriori particolari che non hanno attinenza diretta con il caso ma gettano luce sulla struttura del mondo dei servizi speciali e i loro legami con la criminalità. Di questo parleremo poi, quando l'obiettivo principale sarà stato raggiunto.

E perché sia raggiunto noi facciamo il possibile. In particolare, al contrario del vertice della procura generale e dell'FSB, tacciamo sul gran numero di circostanze che ci sono note: troppi casi criminali vengono svelati sulle pagine dei giornali, troppo pochi arrivano fino al verdetto.

È in tale contesto che è proseguita l'indagine. E questo risponde alla domanda "perché così tanto tempo". Un lavoro di buona qualità esige tempo (e si è trattato di un lavoro di buona qualità e di grande professionalità). Bisogna dunque aspettare ancora, quanto serve per arrivare a un verdetto che sia, nonostante gli espliciti tentativi di intralciare le indagini, indiscutibile e rispondente alla verità. Sempre che si permetta agli inquirenti di arrivare a una conclusione del caso, e che non venga stretto un qualche genere di patto con i colpevoli.


L'articolo è stato scritto con la collaborazione di Vjačeslav Izmajlov, Dmitrij Muratov e Il'ja Politkovskij

(Originale: http://www.novayagazeta.ru/data/2007/66/00.html
Versione inglese: http://tlaxcala.es/pp.asp?reference=3673&lg=en)

Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte.

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07 settembre 2007
Callas forever...
Oggi, alla Mostra di Venezia era in programmazione un documentario sulla vita di Maria Callas; ieri l’altro, per motivi assolutamente casuali, ho rivisto stralci di “Callas forever”, film del quale non mi va di parlare, se non per notare il rincorrersi di casualità e coincidenze nella vita.
E’ evidente che entrambi i fatti - quello privato e quello pubblico - non hanno alcun voluto legame con la notizia della morte del tenore Luciano Pavarotti, che come Callas aveva da un po’ iniziato a fare i conti con il declino fisico che aveva incrinato la sua famosa voce, e che era spietatamente stato sancito da quella stessa critica newyorchese che lo aveva portato al trionfo per quei “do di petto” nella “Figlia del reggimento” che chiunque abbia letto un giornale o seguito la televisione ieri, ha sentito osannare sino alla noia.
Solo che Callas aveva appena 53 anni, quando morì, dopo una vita non facile, credo anche per i mitici rigore e disciplina che imponeva, innanzi tutto, a se stessa, frutto, secondo il regista Kohly, di una infanzia da brutto anatroccolo, sotto tutti i punti di vista.
Ma 53 anni sono davvero pochi per morire...
Tant’è vero che all’epoca della sua morte qualcuno insinuò un, mai confermato da nessuna prova, suicidio. Semplicemente, Callas, che non aveva goduto sin da bambina di una buona salute, ha dovuto probabilmente soccombere proprio a quegli inflessibili rigore e disciplina che hanno fatto di lei la voce angelica che tutti ricordiamo. Non per essere banali, ma la prima volta che ascoltai “Casta diva” da Norma, camminai una spanna da terra per una mezz’oretta buona...
Premetto, per onestà: non sono né una grande amante dell’opera lirica, soprattutto nella forma del melodramma; né una particolare esperta della materia. Tuttavia, ho sempre trovato la figura del cantante lirico particolarmente metaforica, emblematica di ciò che significhi vivere. Mi spiego.
C’è chi ama il canto, ma nasce stonato: per lui, restano solo la cabina doccia e la rassegnazione ...cose che in genere sono accettate con sufficiente saggezza, a parte casi singoli nei quali la totale incapacità di accettare la propria mancanza di talento, non superabile neppure dallo studio e dalla dedizione più profondi, diviene un tormento così profondo e lacerante da non trovare sollievo, o forse meglio sarebbe dire - guarigione. Eppure, la voce ci deve essere: ed è un dono che ci si ritrova oppure no, ammesso pure sia un dono, dato che tutto ciò che prevede un prezzo, spesso salato, da pagare, per definizione dono non è. Anche se al momento non mi viene in mente un altro modo di definirlo.
Ma poi, anche ammettiamo che la voce ci sia, una bella voce di tenore piuttosto che di baritono o di basso, è con esse che si fanno i conti: mentre le si esercita, e mentre si partecipa a concorsi e selezioni e ci si costruisce una carriera. Ché se nasci con la voce di baritono, potrai solo sognare Don José: la natura ti ha concesso, anche se sei bravo, di poter essere solo il torero Escamillo.
E la vita è così: ti dona a volte un talento, ma quello che aggrada a lei, e con quello devi saper fare i conti, per non impazzire. E quando gli anni, la malattia o il dolore ti iniziano ad appannare quel dono, che hai dovuto accettare e coltivare per quel che era, è - immagino - come sentirsi strappare via i visceri.
Anche se con una certa, a tratti, ridondanza fastidiosa, la Fanny Ardant di Callas Forever è secondo me proprio di questo che parla: della decadenza e della morte, e dei rimpianti che possono, nel loro avvicinarsi anche ai privilegiati dalla sorte, far nascere; e dell’immortalità dell’arte su chi la eserciti, dato che, come cerca invano di far comprendere il suo impresario, vi sono livelli di ascolto che vanno oltre l’inascoltabile... (e un po’, a questo punto, viene in mente S1mOne, di Niccol, satira non so bene se più sul divismo o sulla stupidità del pubblico, dove la finzione diviene più vera del reale, proprio per la disperata volontà di avere solo divi perfetti dei quali innamorarsi e ai quali non perdonare di essere umani, nel loro doloroso e inevitabile sfiorire, quasi potessero così salvare l’intera umanità dal proprio destino mortale.)
Pavarotti aveva saputo, dopo concerti non eccelsi, ritagliarsi comunque oculatamente spazi di visibilità e presenza, che avevano reso meno direttamente palpabile il suo declino; forse, da buon modenese, con accanto una giovane moglie e molti figli, aveva anche saputo guardare alla vita con occhio meno tragico di quello di una greca, americana di prima generazione, abbandonata dagli affetti più profondi e dal suo mirabile dono, al quale aveva sacrificato cose apparentemente banali, ma che riempiono la vita dei comuni mortali, ritrovandosi da sola con un grande passato alle spalle che probabilmente coincideva con la sua stessa essenza vitale.
D’altra parte, Callas appartiene a un altro mondo rispetto a Pavarotti: muore nel 1977!
L’immagine, a volte più della sostanza, si prepara a consumare la sua rivincita mediatica: Maria se ne va appena in tempo, lasciando solo la purezza cristallina di una voce che definire miracolo non è certo esagerato.

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postato da la Parda Flora alle 16:52  

 

06 settembre 2007
Si torna a scuola!
Visto che in questi giorni prossimi alla riapertura delle scuole si sta molto parlando di riforma della scuola dell’obbligo e dell’università, nel tentativo di riportare in linea con gli standard europei la scuola italiana massacrata dalla infame Riforma Moratti!, vorrei dire anch’io la piccola opinione che mi sono formata, sull’insegnamento, rifacendomi alla mia esperienza diretta di genitore di un’allieva di liceo. E di un liceo considerato a livelli molto prossimi all’eccellenza, si badi!
Due dei professori di mia figlia, per un totale di quattro materie, non trovano testi, nella spropositata produzione editoriale per la scuola, che li soddisfino, e ciò nonostante ogni anno le spese per i testi scolastici assommino a parecchie centinaia di euro - poco male, è successo anche a me: i miei professori che non erano soddisfatti dei testi editi, in particolare rispetto a determinati argomenti più che ad altri, (e in quel caso, oltre a scegliere comunque quello che a loro giudizio era il meno peggio come “testo - base” al quale comunque fare riferimento, dato che un manuale di base, oltre che doveroso, è previsto persino nell’insegnamento universitario), preparavano, a seconda degli argomenti, su vari altri testi, compresi manuali per l’Università, fotocopie e appunti che, opportunamente fotocopiati, venivano distribuiti fra gli studenti come traccia, ad integrare le lezioni tenute rispetto alle quali si prendevano appunti.
Ma questo, gli insegnati di mia figlia non lo fanno. Immagino sia più faticoso che non lamentarsi e mugugnare a vuoto... visto poi anche il livello qualitativo delle cose insegnate...
Non credo poi di essere di parte affermando che, per materie, soprattutto scientifiche e tecniche, nelle quali l’allievo abbia difficoltà, la concreta possibilità di prendere appunti validi come unico strumento per studiare e colmare lacune sia piuttosto fragile, anche ricorrendo all’aiuto di compagni più abili.
Ma niente: non ci sono testi soddisfacenti, né è ben visto, di fronte alla difficoltà di approcciare una materia senza gli opportuni strumenti, il ricorrere da parte delle famiglie alle ripetizioni, che sì, si fanno, ma solo di nascosto, perché se il professore sa che vengono utilizzate, si impermalosisce! Anche perché, come accade con la professoressa che da un anno e mezzo dà (e la terza persona del verbo dare, con buona pace di tutti, insegnanti compresi, nella grammatica italiana prevede l’accento per distinguerla così da altre forme grammaticali, come per esempio preposizione o avverbio rafforzativo!) “segretamente” ripetizioni a pagamento (neanche tanto modico) a mia figlia, qualche perplessità sulle doti didattiche del professore in causa sono emerse, e neppure tanto immotivate, mi pare. Che sia per quello che il prof in questione non vuole altri a fare ripetizione: teme il giudizio, non necessariamente lusinghiero, di suoi colleghi rispetto alle sue doti teorico-pedagogiche?
Non lo so, fatto sta che vedendo gli appunti del primo della classe, a un certo punto da lei richiesti, la professoressa di ripetizione di mia figlia, laureata a pieni voti al Politecnico e insegnante di ruolo in un liceo statale, è un po’ caduta dalle nuvole, per le...vogliamo definirle stranezze? seguite dal programma e dalla tecnica d’insegnamento del professore di mia figlia.
Ma tiremm innanz!
Il professore di storia e filosofia pretenderebbe che gli allievi preparassero le sue materie sulla sola base di un atlante geografico e delle sue opinioni personali ( per carità, legittime, ma opinabili e ben lontane dall’insegnamento della storia e della storia della filosofia, che sono cosa ben diversa dall’insegnamento delle opinioni del professore al riguardo, essendo oltre tutto, guarda caso, proprio la storia delle varie discipline, e non le opinioni personali, l’oggetto del programma ministeriale! ma il professore, castrato nelle sue velleità, si lamenta di questa scellerata pretesa ministeriale di voler insegnare a tutti i costi la storia delle discipline: storiografia, storia della filosofia, storia dell’arte, storia della letteratura etc.! che noia... ), ma qui, mi rendo conto, scendiamo nel personale, e alcune affermazioni di chiaro stampo anticostituzionale lasciamole fuori dall’oggetto principale del post ...per quanto...
Anche l’insegnante di letteratura italiana, preferisce ammannire le proprie opinioni personali, permettendosi di saltare o minimizzare autori importanti sulla base delle sue antipatie personali, che per esempio per me sono decisamente discutibili, piuttosto che aderire alla, a questo punto ritengo davvero “assurda” pretesa ministeriale, di insegnare agli allievi Storia della letteratura italiana, anziché “La letteratura italiana che piace a me!”.
Per non parlare poi di insegnanti cronicamente in ritardo di 15/30 minuti sull’inizio delle lezioni, dato che si barcamenano fra vari istituti; professori che sotterraneamente si fanno la guerra per ribadire la preminenza o meno del loro ruolo/insegnamento all’interno del collegio docenti, ed altre cose altrettanto sgradevoli e, se mi è permesso, infantili. Quindi, ben vengano le misure (se davvero verranno) per sanzionare fannulloni, furbastri e incompetenti!
Dovendo però quest’anno mia figlia affrontare l’esame di maturità, mi auguro che questi signori facciano in larga misura parte della commissione giudicatrice, perché ritengo che la non conoscenza, o la conoscenza smaccatamente tendenziosa, di numerosi argomenti, sia una scusante difficilmente compresa tra quelle accettate dai commissari esterni.
Leggo spesso difese accorate (ed offese) da parte degli insegnanti rispetto alla propria professionalità, alla necessità di aggiornamento professionale e così via: manco fossero gli unici lavoratori che hanno questo tipo di problemi! Tutti coloro che lavorino, soprattutto ad un certo livello e nel mondo dell’impresa privata, ricevono la richiesta di fornire prestazioni di eccellenza e di essere sempre aggiornati, in una perenne rincorsa con un mondo del lavoro che non si ferma mai, e che penalizza chi non si sappia adeguare a questa realtà. In compenso, si lavora 40 ore alla settimana per contratto, ore che ben raramente comprendono il tempo dedicato alla formazione, l’aggiornamento e lo studio istituzionalizzati, che però sono pretesi nei risultati concreti del lavoro. E lo stipendio di un giovane laureato, assunto in una impresa privata, non è certo superiore a quello di un giovane insegnante, rispetto al quale il neo laureato non credo si faccia meno “il culo”, se mi passate l’espressione, dato che sarà dura gestire una classe di trenta allievi, ma, per dire, anche un cantiere con trenta operai non è proprio il paese dei balocchi...
Quindi, sinceramente, non è che i professori lagnosi mi ispirino questa grande solidarietà e comprensione, soprattutto quando sono svogliati, demotivati e noiosi, e le loro lezioni, di anno in anno, sembrano perennemente la copia carbone di quelle dell’anno precedente, e di quello prima ancora, anche se a volte mi sorge il sospetto si siano auto convinti di fare parte di una casta privilegiata, attinente alle professioni dell’ingegno. Come per altro svariati altri lavoratori, dei quali però gli insegnanti paiono evidentemente scordarsi, considerandosi membri di una élite ingiustamente penalizzata..
Probabilmente (o così mi auguro!) ci saranno le doverose eccezioni a quello che ho visto in tutti questi anni, ma una definizione più chiara dei doveri, oltre all’eterno sbandieramento dei diritti, nel disegnare una figura professionale più riconosciuta socialmente, più pagata, ma anche più qualificata e più seriamente impegnata lavorativamente (quanti professori, per esempio, mi chiedo, fatturano regolarmente le ore di ripetizione - pagandoci poi le tasse -ore di ripetizione che fanno nel tempo libero che comunque hanno maggiormente, rispetto ad altre classi di lavoratori: se non un secondo lavoro, quasi?), non più solo sulla base della buona volontà dei singoli, ma bensì su quella di precisi impegni contrattuali standardizzati per l’insegnamento nell’intero Paese, mi pare che tutto ciò non potrebbe che fare bene alla nostra scuola, e alla cultura e formazione civica dei nostri figli, cittadini di domani.
Perché, per esempio, se sempre più le aziende più serie garantiscono le proprie prestazioni con certificazioni di qualità, questo non può avvenire anche per la scuola, garantendo omogeneità di preparazione e serietà sull'intera superficie nazionale?

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postato da la Parda Flora alle 19:28  

 

03 settembre 2007
Beslan
E per chi voglia ricordare l'eccidio della scuola di Beslan, consiglio la letture di questo articolo di Anna Rudnickaja.
(Tradotto dal russo da Mirumir, un membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte.)
Anche perché mi pare l'anniversario sia abbastanza ignorato dai nostri media, tutti infoiati, chi più chi meno, per l'arrivo di una sempre più schelerica ma "conigliesca" ("non si riproducono così anche i conigli?") Jolie sul "red carpet" di Venezia.
Ma tu dimmi...


Where do the children play?

Well I think its fine, building jumbo planes.
Or taking a ride on a cosmic train.
Switch on summer from a slot machine.
Yes, get what you want to if you want, cause you can get anything.

I know weve come a long way,
Were changing day to day,
But tell me, where do the children play?

Well you roll on roads over fresh green grass.
For your lorry loads pumping petrol gas.
And you make them long, and you make them tough.
But they just go on and on, and it seems that you cant get off.

Oh, I know weve come a long way,
Were changing day to day,
But tell me, where do the children play?

Well youve cracked the sky, scrapers fill the air.
But will you keep on building higher
til theres no more room up there?
Will you make us laugh, will you make us cry?
Will you tell us when to live, will you tell us when to die?

I know weve come a long way,
Were changing day to day,
But tell me, where do the children play?

Cat Stevens

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postato da la Parda Flora alle 20:07  

 

Una noiosa domenica sera
"TRISTANO E ISOTTA" di Kevin Reynolds
La natura tragica dell’amore
(2005)

Del fascino della storia originale, che innegabilmente presenta ancora spunti di estrema modernità: la lotta tra dovere sociale e desiderio della scoperta e affermazione della propria individualità e quindi della realizzazione di sé, tragicamente lacerante e insostenibile, pena la pazzia e la perdita della propria umanità, in una società che basava i propri valori sulla omologazione e aderenza a modelli sociali predefiniti, come drammaticamente scoprirà Tristano; il tema del doppio (la doppia Isotta la Bionda: il simulacro che Tristano costruisce ed ama, non potendo avere il vero oggetto del suo amore, e poi l'infelice e mai amata principessa bretone Isotta dalle bianche mani, sempre nella vana ricerca di uno spostamento dell'oggetto amoroso che possa appagare il folle amore di Tristano; la doppiezza di Tristano, comunque traditore del suo re; la doppiezza della regina che tradisce ed escogita arguti escamotage per dire la verità mentendo e sfuggire alla morte che l’aspetta), tema che appare forse per la prima volta nella letteratura europea, e sarà destinato a un grande futuro (facciamo solo l’esempio di due scrittori, che diversamente tra loro e in contesti diversi, hanno fatto del tema del doppio e della doppiezza il fulcro della loro intera produzione letteraria: Robert L. Stevenson ed Hermann Hesse), di tutti i motivi di fascino che hanno reso questa storia così intrigante da renderla popolare e molte volte rivisitata, a partire da una società, quella medievale, che faceva della fedeltà al proprio signore il cardine della propria sopravvivenza - e anche la fedeltà coniugale va intesa in questo senso, essendo la storia, di probabile origine celtica, nata quindi ben prima delle incrostazioni morali cristiane che spingeranno ad inventare il famoso filtro d’amore bevuto per errore, per deresponsabilizzare i due infelici amanti - in questo film non rimane nulla, tranne forse la fugace apparizione del cinghiale - alter ego totemico, nella storia originale, di Tristano, che fugge nella foresta dopo le nozze reali, e impazzisce - che compare nella prima caccia notturna dei cavalieri ed atterra simbolicamente il re Mark ("Nulla di ferito, tranne l'onore!"), così come Tristano lo fa decadere dal suo ruolo di marito.
Non necessariamente un film deve avere il rigore filologico, che caratterizza, per esempio, le trasposizioni cinematografiche di un attore teatrale come Branagh quando si cimenti con regie cinematografiche o di un regista come Ivory, ma almeno il rispetto di ciò che crea il plot narrativo di una storia, si dovrebbe avere, se non altro per astuzia di sceneggiatura.
Qui non ne resta traccia, mentre tutto diviene prevedibile, già visto, piatto, scontato, banalizzato e francamente noioso e a tratti, per anacronismo, ridicolo. Anche i personaggi appaiono insoddisfacenti, monocordi, sbozzati con l’ascia quel minimo per permettere all’azione di procedere quasi meccanicamente, malgrado tutto. Insomma, un film che può far sognare e lacrimare giusto un adolescente di bocca buona e scarsa esperienza di cosa sia la vera, devastante e crudele passione amorosa (della quale nel film non v’è traccia), target per il quale sospetto il film sia nato...
Un gran pastrocchio storico e narrativo, insomma, anche sorvolando su incongruenze quali la ridicola e disinvolta trasposizione nella diruta casa romana, nido d'amore dei due fedifraghi, così per fare "ambientazione", di un famosissimo affresco pompeiano, aggravato da alcune cose francamente incomprensibili (quando l’Irlanda avrebbe dominato sulle sette leggendarie regioni dell’Inghilterra, e non sulla sola Cornovaglia? perché i cavalieri - una eterogenea e poco credibile commistione di celti e germani, che avevano tradizioni e religioni ben diverse e non vedo proprio come potessero condividerle, dal momento che si sono sempre combattuti - usano cavalcare nelle notti di plenilunio? e chi incorona re Mark, un prete o un druido, dato che il suo incomprensibile farfugliare ben difficilmente può essere identificato col latino, e di cristiano non compare nulla nella storia, se non l’accenno all’esistenza di un monastero “della nuova religione” in Irlanda?).
Film francamente inutile, che non vale, a mio avviso, il prezzo del noleggio, né il tempo perso per la visione.

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postato da la Parda Flora alle 10:42  

 

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