19 gennaio 2008
Incubi notturni
Questo libro sul gatto è un’allegoria, in cui lo scrittore vede passare in rassegna la sua vita passata il forma di sciarada gattesca. Non che i gatti siano marionette. Tutt’altro. Sono esseri che vivono e respirano, ed è una cosa triste quando si stabilisce un contatto con qualsiasi altro essere: perché vedi le limitazioni, il dolore e la paura, la morte finale. Il contatto significa questo. E di questo mi accorgo quando tocco un gatto e mi ritrovo con le lacrime che mi scorrono sul viso”

William S. Burroughs

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16 gennaio 2008
Scienza versus Religione? Ma che sciocchini...
Quanto al papa, non pensavo di doverci tornare ancora sopra, ma i troppi che ho letto affermare superficialmente trattarsi di una guerra fra religione e scienza, dimostrano una conoscenza troppo superficiale della storia della Chiesa e delle sue tradizionali dinamiche, oltre a scarse doti analitiche del quadro politico attuale e delle sue possibile evoluzioni.
E questo mi sconcerta e allarma.

Secondo me non si tratta affatto di uno scontro fra scienza e religione, che possono tranquillamente trovare terreni d'intesa e infatti sovente lo fanno, ma bensì un braccio di ferro fra poteri, come è sempre stato, storicamente, per qualsiasi cosa coinvolga la Curia romana nei suoi rapporti col mondo secolare: in questo caso, il potere ecclesiastico di continuare a influenzare *anche materialmente e secolarmente* la vita politica e sociale italiana, in forza di un concordato mussoliniano ri-ratificato da Craxi e del quale, se non ci fosse necessità di tenere buono l'elettorato cattolico più tradizionalista e neofobo, ci si sarebbe dovuti sbarazzare, modernamente, da un bel po', anche per rispetto per chi credente o cattolico non lo è, pur essendo cittadino italiano che magari aspira a non sentirsi però di serie B; e il potere degli italiani, tra i quali so esserci anche parecchi credenti (credenti veri, non semplici battezzati, dato che facilmente i due dati potrebbero inquinarsi, e non poco, a vicenda), di ricordare al papa che "non di questa terra è il Suo regno", figurarsi quello di un papa con anacronistici rigurgiti neo guelfi!
Tanto, a discuterci, ovvero a confrontarsi su di una materia regolata solo da dogmi - quindi: prendere o lasciare, visto che non se ne può discutere senza cadere nell'eresia e nella scomunica, che parrà pure un’anticaglia medievale, ma ancora colpisce numerose persone- che razza di dialogo si sarebbe sperato di costruire?
La scoperta della geometria non euclidea?

LOL!

Vorrei far notare che per arrivare da qualche parte, a essere aperti al dialogo bisogna sempre essere in due; e dopo una serie di metodiche, arroganti e reiterate chiusure sbattute sul muso, hic et nunc, che si possa anche avere voglia di dire: “grazie, no! ora sono io che non voglio ascoltare te”, credo sia comprensibile, oltre che legittimo. E probabilmente anche salutare per i possibili e auspicabili futuri dialoghi, se è vero che impariamo più dalle nostre sconfitte che dalle nostre vittorie.
Altrimenti, se questo diritto a poter scegliere se e con chi interloquire, è assicurato solo a una parte, significa che solo di quella si tutelano i diritti democratici, e a casa mia questo significa che di quella parte, in realtà, si è servi - non rispettosi - e i servi devono scegliere un solo padrone.

Ad ogni modo, nessuno ha aggredito il papa o gli ha impedito fisicamente di parlare, ha solo espresso il proprio dissenso per la sua presenza. E l'impavido successore di Pietro, vicario di Cristo in terra, ha scelto, SCELTO, di evitare di affrontare un parterre ostile, gelido o fortemente polemico.
Certo, politicamente, un'aula silenziosamente gelida che lo avesse accolto, e poi si fosse alzata lasciandolo a parlarsi addosso, (leggete le allucinanti affermazioni placidamente nascoste nel suo discorso apparentemente innocente) sarebbe stata mossa più astuta e oculata, per l'immagine della sinistra contestatrice, ora “intollerante e violenta”, anche se dubito la manovra sarebbe riuscita, tuttavia alla fine una sacrosanta affermazione del diritto di contestare ciò che non si condivide ha fatto soprattutto il gioco dei baciapile piagnoni.
Però la realtà è e resta questa:
Nessuno ha impedito al papa di parlare, al massimo l'ha fischiato, e il papa ha liberamente deciso di non affrontare la consueta claque osannante alla quale è abituato: vergogna quindi a lui e alle sue scelte di comodo.


E chi ora, perché gli torna politicamente conveniente, strilla all’intolleranza, pensi piuttosto a come gestisce normalmente la comunicazione e il dialogo politico in occasione di comizi, tavole rotonde, incontri televisivi, etc.
Cristianamente parlando, un po’ di sano esame di coscienza in proposito credo potrebbe fare bene a molti paladini raccogliticci di principi che in genere sono i primi a tradire.
Statemi bene.

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15 gennaio 2008
Ratzinger e la sapienza, parte seconda
Ragazzi, propongo d'ora in poi di commemorare questo giorno,
15 gennaio,
come
"Giornata dell'orgoglio laico"!

...così almeno ogni tanto ci ricordiamo di averne un po'.

PS. Caro signor Governo,

ho detto orgoglio, non vergogna!
La vergogna è quando permettiamo al clericalismo di dettare legge a uno stato (straniero e sovrano, in teoria) che pretenderemmo laico e indipendente, e permettiamo a una minus habens di tirare in ballo Dio e i suoi miracoli per l'errore di trascrizione di un articolo di una risoluzione del Parlamento Europeo, solo perché condanna l'omofobia. Che per l'"onorevole" Binetti, evidentemente, se si ammazza a bastonate un omosessuale, è meno grave che se si investe un cane: fa meno male al cuore di Gesù!
Tornasse sulla terra, dove cazzo pensa se ne starebbe Gesù, in Vaticano?
Ma per favore!

L'orgoglio è quando ribadiamo di avere ancora il diritto di poter dire no, almeno quello, che a furia di fregnacce sul pluralismo e il dialogo, mi pare che ci si stia anche raccontando una bella barcata di stronzate degne forse della fantascienza, non della realtà sotto gli occhi di tutti. E se questa ora è divenuta intolleranza, perché ci dobbiamo preparare ad una nuova alleanza politica, allora almeno diciamo che al riguardo abbiamo avuto per secoli ottimi e arroganti maestri.
Ho capito, ci sto arrivando persino io, che dobbiamo sbattere fuori Bertinotti per far spazio a Casini. Ma ogni vergogna ha un limite.

E meno male che ogni tanto ci sono gli studenti de La Sapienza a far fare un piccolo tuffo nella realtà alla gente: ieri Lama; oggi il Papa.

"...capelli corti generale voleva parlarci all'Università
della sorella Ragione che aveva seppellito le asce
ma non fumammo con lui e coi suoi figli di bagasce;

e a un dio fatti il culo non credere mai. "

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Ratzinger e la sapienza
Questo blog, per quel che può valere, è assolutamente solidale con la posizione dei docenti de La sapienza di Roma, che trovano inopportuno e incongruo l'intervento pontificio all'inaugurazione dell'anno accademico di una università laica.
Con tutte le Università cattoliche che ci sono, spazi nei quali il papa si possa muovere gradito e a buon titolo, mi pare abbondino: ne approfitti, dunque.
Altrove invece, abbia l'umiltà (che è una virtù cristiana, come tutti i credenti dovrebbero sapere) di comportarsi da ospite, e non da padrone - visto che nonostante il suo retrivo e arrogante pensiero circa la ragione, Galileo, tardino, ma è stato riabilitato - e provi a sperimentare un'altra preziosa virtù che alla Chiesa cattolica romana, come a molte Chiese, per altro, purtroppo manca proprio tanto, alla faccia dell’ecumenismo sbandierato: quella della tolleranza, che comprende anche il rispetto verso chi la pensi in modo differente.
Virtù la cui cattolica assenza ha provocato guai e morti almeno quanto i guai e i difetti della società moderna oggi stigmatizzati così acutamente dall'istituzione ecclesiastica (che però chiude volentieri un occhio sui propri, di guai e difetti).
Virtù che se santamente esercitata, prevedrebbe anche non imporre a forza e non gradita la propria presenza, forti di un'autorità materiale e assai poco evangelica, che si è comodamente autosancita nei secoli, a furia di bolle e scomuniche.

Sia chiaro, il papa può parlare e dire quel che gli pare, e chi desidera ha tutto il diritto di ascoltarlo, ma questo diritto deve essere garantito e tutelato anche per chi non la pensi come lui e quindi non rientra sotto il suo magistero. E’ una pura questione di rispetto della libertà del singolo, che parrebbe ormai diritto assodato e inalienabile, ma forse non lo è poi così tanto.
Mi pare, la richiesta di questa reciprocità, civile e ragionevole, e assai più tollerante delle continue e indebite ingerenze dell'Istituzione Chiesa (umana, non divina, quindi, ché il Padreterno preferirei non scomodarlo per queste miserie, e forse farebbe bene a seguire la stessa linea di pensiero anche qualcun altro).
E se non erro, provocato volutamente al riguardo, fu il Cristo a ribadire: date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.
Magari servisse a schiarire le idee a qualcuno, il ricordarlo...


E ricordate: sarà sempre un altro mattoncino nel muro.

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14 gennaio 2008
Thinking Blogger Awards
Inaspettatamente, “Steve” mi ha nominato per i Thinking Blogger Awards.
Thinking Blogger Award é un'iniziativa che consiste nel segnalare 5 Blog che in qualche modo hanno solleticato la nostra fantasia, ci hanno fatto pensare o anche solo ci piacciono.
Per chi non lo conoscesse, ecco il regolamento:
- Chi riceve la nomination (solo e soltanto in questo caso può partecipare a sua volta all'iniziativa) deve:
- Inserire il banner del Thinking Blogger Awards,

- Linkare il post originario.
- Infine, e questa è davvero la parte più complicata, stendere la lista dei propri cinque candidati. E’ stata dura, e 5 son pochi, quindi mi scuso con tutti gli altri, ma io nomino, in ordine rigorosamente alfabetico:

- Bucky B. Katt’s blues, perché adoro le sue “fotine”, e adoro anche lui, soprattutto quando è di cattivo umore e graffia: peccato solo abbia troppo poco tempo per farlo più spesso.
- Cineispedixit, perché molte volte gli altri hanno trovato esattamente le parole per dire quel che volevamo, ma non sapevamo di volere, e qui spesso le ho trovate. E meno male che sono tornate!
- Currenticalamo, perché trovo semplicemente che sia uno dei blog più interessanti, raffinati e belli che ci sia in Rete.
- Mirumir, perché il Capo ha una risata contagiosa e bazzicare dalle sue parti è come entrare nel tunnel dell’ammmore! ;-) Fa bene al cervello e anche al cuore.
- Raccoon, perché il Coon è il Coon, e questo basta e avanza, come immagino direbbe Lee Marvin.

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Another brick in the wall...(Un attimo di riflessione)
Mentre la campagna elettorale americana impazza (si fa per dire)
perché non proviamo a riflettere che forse Al Qaeda è tanto comoda, ma non è necessarimente come il prezzemolo?
E' solo una ipotesi di lavoro, ma - io dico - perchè no?

Al-Qaeda in soccorso all'amministrazione Bush
di M. K. Bhadrakumar

Le Cassandre americane prevedono quasi unanimemente che il Pakistan non sopravviverà. In verità, è difficile essere ottimisti. Rimettere ordine in questi tempi difficili va ben oltre le capacità dell'attuale amministrazione statunitense.
L'unico elemento positivo sembra essere il fatto che tra un anno alla Casa Bianca arriverà un'altra squadra e sarà possibile ripartire da zero. Sono disposti ad ammetterlo perfino gli esperti più entusiasti della comunità di sicurezza degli Stati Uniti. Un commentatore di Stratfor, un think-tank vicinissimo alle agenzie di sicurezza, dice: "In questo finale di partita tutto quello che gli americani vogliono è lo status quo in Pakistan. È il massimo che possono ottenere. E da come sta girando la fortuna degli Stati Uniti potrebbero non ottenere neanche quello".

Non è esattamente una questione di "fortuna". In parole povere, nell'inverno del 2001 a Passo Khyber l'amministrazione Bush ha fatto il passo più lungo della gamba. Oggi non ha alcun piano B. Al massimo la Casa Bianca può sperare che il capo dell'esercito pakistano, il Generale Ashfaq Kiani, "possa diventare il nuovo uomo di Washington in Pakistan" (per citare Stratfor). Vale a dire: diamo la colpa dell'assassinio di Benazir Bhutto ad al-Qaeda, andiamo avanti come prima e aspettiamo che passino 12 mesi.

Ma soldati in gamba come Kiani non possono essere tanto stupidi, no? Il clima a Washington è ora dominato da tre tipi di Cassandra. Innanzitutto ci sono gli ADB - "Amici di Benazir". La gente dei media, dei think-tank e del governo stregata da Bhutto (grazie al suo irresistibile fascino personale o alla scaltra opera della sua squadra di pubbliche relazioni) non può concepire un Pakistan senza di lei.

Poi ci sono le legioni americane di esperti in Asia Meridionale, che appartengono a un'epoca precedente e non hanno accettato che l'amministrazione con il suo programma neo-conservatore abbia ignorato i loro consigli sulla linea politica da adottare con il Pakistan dopo il 2001. Si sentono vendicati dal fatto che la linea politica adottata si sia rivelata un tale fallimento.
E poi c'è la tribù degli esperti di terrorismo, che negli ultimi anni si sono moltiplicati e che sono specializzati nella politica del terrore, tanto che alcuni di loro sembrano credere che il nemico fantasma abbia proporzioni cosmiche.

Gli Stati Uniti rimescolano le carte dell'Iran
Ma non ci sono solo le Cassandre. L'ombra dell'assassinio di Bhutto sulla sicurezza regionale ha varie sfumature. Ecco come si fanno già sentire in Iran. Molto rapidamente, quasi dal giorno alla notte, il Pakistan ha preso il posto dell'Iran sullo schermo radar dell'amministrazione Bush. Israele può non gradire quello che sta succedendo, ma il vice presidente Dick Cheney e i suoi non hanno la minima possibilità di resuscitare lo spauracchio dell'Iran in quel che resta del mandato dell'amministrazione.

L'amministrazione Bush non può ignorare che la crisi che cova in Pakistan e in Afghanistan potrebbe rivelarsi molto più grave di tutti i programmi nucleari iraniani e dell'appoggio dell'Iran ad Hamas in Palestina, a Hezbollah in Libano, alla milizia sciita irachena in Iraq, per non parlare della sfida politica rappresentata dalla crescente influenza iraniana nella regione.

Per la prima volta da quando ha esposto la teoria dell'"asse del male", esattamente sei anni fa, - mettendo insieme Iraq, Iran e Corea del Nord - l'amministrazione Bush è costretta a guardare all'Iran mantenendo il senso delle proporzioni. Le politiche dure mirate a destabilizzare il regime iraniano appaiono del tutto irresponsabili nelle mutate circostanze. Un'opzione militare è fuori questione. Cambio di regime a Teheran? Ridicolo.

Ma la "questione iraniana" come tale può non svanire dal Medio Oriente, anche se la retorica - statunitense e iraniana - è sensibilmente calata nelle ultime settimane. Parte del problema è costituito dal fatto che il prossimo marzo in Iran si terranno delle elezioni parlamentari aspramente contestate. Ciononostante, le relazioni Iran-USA sono destinate a mutare corso. L'offerta del segretario di stato Condoleezza Rice di incontrare la sua controparte iraniana Manuchehr Mottaki "in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, ovunque" lo dimostra. A Teheran c'è un cauto ottimismo sulla quarta serie di incontri tra i due paesi sulla cooperazione per la stabilizzazione dell'Iraq.

Una settimana fa Rice ha detto: "Non abbiamo amici permanenti... abbiamo una politica pronta a metter fine allo scontro o al conflitto con qualsiasi paese disposto a venirci incontro in quei termini". Mottaki ha risposto prontamente: "Si può preparare il terreno". Ha valutato positivamente "l'atteggiamento più logico e rispettoso" di Washington nei confronti di Teheran, reso possibile - ha insistito - dal fatto che "[le autorità statunitensi] sono giunte a comprendere meglio il ruolo cruciale dell'Iran nella regione e la sua determinazione a ottenere il riconoscimento dei propri legittimi diritti [di arricchire uranio]."

Gli iraniani sono pragmatici, e dopo l'assassinio di Bhutto devono aver ormai stimato che gli sviluppi in Pakistan non lasciano all'amministrazione Bush altra scelta se non quella di cercare sinceramente di normalizzare le relazioni con Teheran.

Essere o non essere...
L'Iran può ancora una volta dimostrarsi utile, come accadde nel 2001, per le necessità logistiche della "guerra al terrore" di Washington in Afghanistan. Si può supporre che l'Iran potrebbe costituire una rotta sostitutiva se si ostruissero le linee di rifornimento alle forze NATO in Afghanistan via Pakistan. La NATO e gli Stati Uniti non potrebbero avere un alleato più realistico dell'Iran per stabilizzare l'Afghanistan. La collaborazione dell'Iran tornerà utile per ostacolare la marcia dei Taliban in direzione nord, verso la regione di Amu Darya, e nella stabilizzazione dell'Afghanistan occidentale, dove le forze NATO si troveranno minacciate.

L'alternativa per Washington sarebbe di strisciare a Mosca per chiedere corridoi aerei e terrestri verso l'Afghanistan. Sembra che la NATO abbia tastato il terreno al vertice dei ministri degli esteri di Russia e NATO a Bruxelles, il 7 dicembre scorso. Dopo l'incontro, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato: "Abbiamo discusso la situazione in Afghanistan. Gli interessi vitali in materia di sicurezza della Russia e dei paesi della NATO qui coincidono, sia per la minaccia della droga, sia per la persistente minaccia del terrorismo. Vanno combattute unendo le forze".

Lavrov ha aggiunto: "Stiamo [la Russia e la NATO] anche considerando altre opzioni di collaborazione, particolarmente nel supporto logistico all'International Security Assistance Force e nell'equipaggiamento dell'Esercito Nazionale Afgano. Credo che sotto questo aspetto ci sia un buono spazio di manovra in cui trovare forme accettabili di interazione".

In un lungo saggio sulla politica estera russa pubblicato una settimana dopo dalla rivista Ekspert, Lavrov ha dato l'impressione di tornare alle discussioni di Bruxelles facendo un'interessante rivelazione: "Stiamo [a Mosca] anche assistendo a barlumi di spostamenti qualitativi negli Stati Uniti e in Europa nell'analisi della fase attuale degli sviluppi mondiali, anche se per ora solo al livello della comunità degli specialisti. È al contempo ovvio che i nostri partner pensano che il processo di elaborazione sia cominciato. Una delle conclusioni è il riconoscimento del carattere fondamentalmente non ostile della politica estera russa".

Con l'assassinio di Bhutto Washington deve ora affrettare il "processo di elaborazione". Va presa una decisione importante. Sia l'Iran, sia la Russia sarebbero partner ragionevoli nella "guerra al terrore" in Afghanistan. Ma nessuno dei due risponderebbe a un impegno selettivo di Washington. L'amministrazione Bush avrà bisogno dello shakespeariano Shylock per soppesare il vantaggio relativo di ingaggiare l'Iran o Mosca. È qui che il prossimo viaggio di Bush in Israele, nei territori palestinesi e tra gli alleati del Golfo Persico potrebbe tornare utile.

Una cosa è già chiara. La questione nucleare iraniana non se uscirà di scena. Ultimamente può avere avuto una svolta positiva, ma, come ha notato il cinese People's Daily, questo è lungi dall'essere un epilogo. Gli Stati Uniti "dovranno far fermentare nuovi piani ed elaborare nuove strategie in merito alla questione nucleare iraniana sia durante che dopo l'amministrazione Bush... L'Iran potrebbe trarre vantaggio dalla disparità tra le potenze mondiali: potrebbe cercare di ottenere un clima internazionale e una posizione strategica più favorevoli. In conclusione, le parti interessate nella questione iraniana stanno attualmente considerando i propri interessi in rapporto alle condizioni attuali in preparazione di una nuova tornata di confronti strategici".

Punto interrogativo sulla strategia globale degli Stati Uniti
Ma Mosca pone delle difficoltà ancor più fondamentali. Nella fase preparatoria dell'incontro di Bruxelles, in esaurienti commenti riportati dai media, un portavoce del ministero degli esteri russo a Mosca ha sottolineato a dicembre che i rapporti di Mosca con l'alleanza atlantica erano caratterizzati "sia da successi che da complicazioni". Ha detto che il lavoro che li attendeva non sarebbe stato facile.

Tra le aree problematiche, ha elencato le "implicazioni legali internazionali" della trasformazione della NATO come organizzazione politica globale fuori dal controllo delle Nazioni Unite; le strutture militari della NATO che "si avvicinano ai nostri confini"; gli ulteriori piani di allargamento della NATO; le divergenze sul Trattato CFE sulle Forze Armate Convenzionali in Europa; e "lo sviluppo di un terzo sistema di difesa anti-missile globale degli Stati Uniti in Europa e il suo coordinamento con la ricerca e lo sviluppo in materia di difesa anti-missile nell'ambito della NATO".

In altre parole, nello scenario post-Bhutto, è necessario che Washington riveda i propri piani in vista del prossimo summit della NATO a Bucarest, in aprile. La terza fase dei piani di allargamento della NATO era tra i principali punti di discussione a Bucarest. Adesso il Pakistan e l'Afghanistan li faranno inevitabilmente passare in secondo piano.

Washington andrà avanti con i vecchi piani perché la NATO appoggi l'ingresso di Ucraina e Georgia? Nell'attuale situazione di crisi in Afghanistan e in Pakistan, può l'amministrazione Bush permettersi di contrariare il Cremlino? Come ha ammonito un portavoce russo: "Noi [Mosca] siamo convinti che il processo di allargamento della NATO non abbia alcuna attinenza con la modernizzazione dell'alleanza stessa o con la necessità di garantire la sicurezza dell'Europa. Anzi, è un grave fattore di provocazione, che porterà ad altre divisioni e abbasserà il livello di fiducia reciproca".

Il Cremlino si è espresso chiaramente, non sarà soddisfatto neanche se gli Stati Uniti e l'Europa non insisteranno sull'indipendenza del Kosovo, o procederanno al dispiegamento della NATO nella repubblica separatista ponendosi fuori dal contesto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Lavrov ha sottolineato che "La cosa principale è tentare di lavorare insieme su una base di reciproco rispetto, e di rispetto per le altrui analisi delle minacce oggi a noi comuni". Ha enfatizzato il fatto che al summit di Bucarest, se la NATO dovesse andare avanti con la sua politica di allargamento parallelamente alla trasformazione dell'alleanza "[a Mosca] siamo convinti che ciò non contribuirebbe a rafforzare la nostra sicurezza comune o a combattere le comuni minacce". Il monito implicito è che la collaborazione nella "guerra al terrore" potrebbe avere come condizione la rinuncia da parte di Washington alla politica di contenimento nei confronti della Russia.

È ovvio che sia Mosca che Teheran ora giudicano che la crisi in Afghanistan e in Pakistan influisca direttamente sulle strategie globali statunitensi. Se la NATO fallisse in Afghanistan, sul futuro dell'alleanza sorgerebbe un grande punto interrogativo. Come osservava un rapporto compilato in ottobre dal Congressional Research Service degli Stati Uniti, la missione della NATO in Afghanistan è "un test della volontà politica e delle capacità militari dell'alleanza". Ma non è tutto. Quello che i think-tank americani oscurano è che a essere in dubbio è la capacità stessa degli Stati Uniti di mantenere il proprio ruolo di leader dell'alleanza atlantica nell'era post-Guerra Fredda.

Sia Mosca che Teheran hanno da guadagnare da un mondo multipolare in cui la loro influenza regionale possa avere un ruolo maggiore. Se Washington fallisce nella sua strategia post-Guerra Fredda, che consiste nel potenziare la NATO improvvisando ed esagerando l'importanza di un nemico (come al-Qaeda), la strada verso il multipolarismo si appianerà in misura consistente. È significativo che Teheran e Mosca si rifiutino di caratterizzare l'assassinio di Bhutto come opera di al-Qaeda.

La reazione di Pechino è stata ugualmente cauta. Un portavoce del ministero degli esteri cinese ha inizialmente condannato l'assassinio di Bhutto come "atto di terrorismo". Ma il vice ministro degli esteri He Yafei, che il giorno successivo ha fatto visita all'ambasciata del Pakistan per firmare il libro delle condoglianze, non ha neanche nominato il terrorismo, limitandosi a esprimere la speranza che il popolo pakistano "riuscisse a superare l'attuale difficoltà quanto prima, salvaguardando la stabilità sociale e lo sviluppo del paese".

I commentatori cinesi hanno osservato che "la situazione in Afghanistan si è dimostrata molto più complessa del previsto" e che per la NATO era diventato difficile "coprire la posizione imbarazzante delle truppe nel paese". Lo scorso anno un articolo del People's Daily osservava che la sconfitta in Afghanistan, unita al deterioramento dei rapporti della NATO con la Russia e al fallimento dei tentativi compiuti a Bruxelles per assicurarsi un punto d'appoggio nell'Asia Centrale, ha impedito all'alleanza di realizzare il proprio obiettivo in base al quale il 2007 sarebbe dovuto essere l'anno della "trasformazione".

Secondo l'articolo, "l'influsso degli Stati Uniti nella NATO è diminuito e il ruolo transatlantico degli Stati Uniti sta diventando incerto. Si era sperato che il cambiamento di vertici in Germania, Francia e Gran Bretagna potesse iniettare nuova vitalità nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa. Ma è ancora difficile capire se la nuova 'troika' possa portare alla situazione ottimisticamente prevista da Washington".

I tre paesi - Russia, Cina e Iran - condividono apertamente l'interesse a verificare che la Shanghai Cooperation Organization e la Collective Security Treaty Organization abbiano un ruolo significativo nella stabilizzazione della situazione afghana. Nessuno dei tre paesi ha gradito il monopolio degli Stati Uniti (o della NATO) sulla soluzione del conflitto in una regione così importante per la loro sicurezza, anche se appoggiano la "guerra al terrore" in Afghanistan in quanto tale.

Chiaramente con l'assassinio di Bhutto e con il Pakistan sull'orlo dell'abisso, l'amministrazione Bush si trova di fronte alla possibilità che la strategia globale attorno alla "guerra al terrore" e all'"islamofascismo" vada a monte. Una facile via d'uscita consisterebbe nel convincere il Generale Kiani a diventare il "nuovo uomo di Washington in Pakistan", così che la caccia ad al-Qaeda possa continuare.


M. K. Bhadrakumar ha lavorato come diplomatico di carriera nell'Indian Foreign Service per più di 29 anni, ricoprendo posti come quelli di ambasciatore in Uzbekistan (1996-98) e in Turchia (1998-2001).


Articolo originale pubblicato il 4 gennaio 2008
traduzione originale qui
con molte grazie all'autrice per la generosa condivisione.

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postato da la Parda Flora alle 16:27  

 

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