18 agosto 2007 |
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E sempre a proposito di Zen e arti marziali, respiriamo a fondo e assaporiamo questo Zen che potrebbe insegnare parecchio a parecchie personcine.
"Quale è il metodo migliore per opporsi alla forza? Dato che pace e tranquillità sono da preferire alla vittoria, allora è molto semplice la scelta da operare: fuggi immediatamente, comprendi la realtà della natura, vedrai che nessuna forza umana potrà colpirti; non tentare di opporti alla forza affrontandola, evitala. Non c'è bisogno di fermare la forza, è più facile farle cambiare direzione. Impara i metodi per conservare, non quelli per distruggere; evita piuttosto che bloccare; blocca piuttosto che ferire; ferisci piuttosto che storpiare; storpia piuttosto che uccidere; poiché ogni vita è preziosa. In verità esistono due tipi di forze: la forza esteriore che è visibile ma svanisce con l'età e soccombe alle malattie; l'altro genere è il QI (chi), la forza interiore, tutti gli uomini la possiedono, ma è infinitamente più difficile da sviluppare."
Ipotesi: forse il Qi è lo sgurz? Forse...
“Dopo una gara coi carrelli per trasportare i bagagli, vinta da Davide.
Walter: Com’è possibile che ha vinto ancora lui? Avevo anche cambiato le batterie!
Davide: Non è questione di batterie, è questione di sgurz. Ho vinto perché ho avuto un attimo di sgurz.
W:Cos’è?
D: Lo sgurz m’ha colpito all’improvviso. Lo sgurz non si sa che cos’è, comunque c’è, c’è di sicuro. Viene forse trascinato in certe notti di primavera dal vento. Dicono che è un polline che nasce da alcuni fiori che stanno in certe regioni del Borneo misteriose. Arriva all’improvviso, ti travolge e sei costretto a compiere un’azione sgurz. Io sono stato colto dallo sgurz e ho vinto. Una cosa è sicura: o lo sgurz ce l’hai, oppure non ce l’hai.
W: Scusa, ma io ho perso perché non c’ho lo sgurz?
D: No, tu ce l’hai lo sgurz, però hai perso. Lo sgurz non è questione di vincere o di perdere. È un’altra cosa, è diverso.
w: Senti… diciamo che io domani ho una specie di gara. Come potrei usarlo questo sgurz?
D: Vuoi un consiglio sgurz? Ti racconterò un aneddoto.
Aneddoto sgurz Nell’antico Giappone un tempo vi era un samurai, un maestro di arti marziali di nome Cheng, egli era nobile e virtuoso; e c’era un altro maestro di nome Cheng che era volgare e ciarliero. Attaccò il nobile e virtuoso, gli andò incontro agitando la scimitarra in modo volgare e ciarliero. Il maestro Cheng, nobile e virtuoso, colto da un attimo di disgusto, ebbe un momento sgurz, estrasse la spada e ZAC! si decapitò. Chi vinse? W: Cheng!
D: Bravo! Vedi però, non è sempre così drastico lo sgurz. Lui (indicando un altro facchino) ad esempio è stato colto dallo sgurz… prima era un famoso stilista, ora è diventato così. Ricordati però che lo sgurz arriva sempre all’improvviso, quando non te l’aspetti. Assume forme strane, è un’apparizione inconsueta.”
dialogo fra i due facchini della Stazione centrale di Milano, Davide (David Riondino) e Walter Zappa (Paolo Rossi) in “Kamikazen - Ultima notte a Milano” del 1987, secondo film di Salvatores, trascritto con certosina pazienza in un afoso pomeriggio di agosto.
Nota della Parda: secondo me, è più probabile che il nobile Cheng agitasse una katana, anziché una scimitarra ...ma tant'è: questa è la sceneggiatura del film. Per proteste e notazioni, rivolgersi a Salvatores, non a me, grazie!Etichette: esergo e altre perle ai porci |
postato da la Parda Flora
alle 13:59
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17 agosto 2007 |
O-soto-gattari |
Questa breve descrizione nacque qualche tempo fa, dall'osservazione del comportamento dei miei due gatti, fatta assieme all'amico Léon, esperto, a differenza di me, in arti marziali. Quello che ci stupì - o perlomeno stupì me - fu come in effetti le naturali mosse di lotta dei due piccoli animali riproducessero mosse codificate del Jūdō, e quindi di quanto lo Zen delle tecniche di lotta orientali...
"Non ci sono limiti agli straordinari poteri del corpo, come illimitati sono i sistemi con cui possiamo arrivare alla conoscenza. Per disciplinare il corpo i nostri antenati ci hanno insegnato ad imitare tutte le creature viventi e se abbiamo il desiderio di imparare, tutte ci insegneranno le loro virtù. Dalla Gru impariamo la grazia e l'autocontrollo; il Serpente ci insegna la flessibilità e la resistenza, la Mantide religiosa ci insegna la velocità e la pazienza; dalla Tigre impariamo la tenacia e la potenza e dal Drago impariamo a cavalcare il vento."
...davvero nasca anche dall'osservazione della lotta animale.
"Dalla stanza di fianco proviene il consueto rumore di tatami violentemente percosso. Anche se nessun arbitro ha unito le mani e ha lanciato l’hajime, Smilla(Tori) esasperata dal giovane Pangur che le vuole acchiappare la coda, lo atterra con un o-soto-gari, mossa peraltro indicata al suo personalino non proprio esile. Pangur, sfigato uke che presumo al massimo cintura gialla, non ha ancora ovviamente imparato a rispondere con un harai-goshi, e così sviene in posizione di resa. Nuovo ippon per Smilla! che se ne va sdegnosa sculettando a rubare il cibo nella ciotola di Pangur, tanto per ribadire i concetti gerarchici appena chiariti. Il vero problema è che talvolta (spesso) il tatami è il mio letto alle quattro di mattina... "
Oggi, Pangur è un gattone, a tutti gli effetti, anche se di indole tendenzialmente placida, ma i chili e il tempo in più, hanno reso meno scontati gli esiti di queste zuffe, anche se lui continua a cercare, con gesti di sottomissione, le rudi coccole "materne" della più grande Smilla. Chiude gli occhi e allunga la testa, abbassandola, mentre lei gliela lecca ed ispeziona la pulizia di occhi e orecchie, e intanto tutto il corpo del suo giovane allievo trema di piacere infantile...Etichette: etologia domestica |
postato da la Parda Flora
alle 10:29
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14 agosto 2007 |
Il Bene e il Male? |
Vedendo “The Departed - Il bene e il male” di Martin Scorsese (film che, alla sua uscita, immagino abbia fatto tirare un grosso sospiro di sollievo a tutti i fan di questo regista, anche se, nonostante avrei trovato auspicabile qualche taglio più selettivo al montaggio, però avevo apprezzato anche certe innegabili prese di posizione ideologica di Gangs of New York, soprattutto in un momento nel quale il buonismo stucchevole di molto cinema patriottico americano - con una nazione divisa, sotto il doppio shock dell’attentato alle Twin Towers e della guerra in Iraq - ne fa un film spietatamente critico verso una società che pare, secondo il regista, cambiata più nella forma che nella sostanza: ricordiamo l’eloquente sottotitolo: l’America è nata nelle strade... e la icastica definizione che Billy The Butcher dà della politica, che sta introducendo nei Five Points nuove sfumature di significato della parola potere...), vedendo The Departed, dicevo, mi stupisce che nessuno abbia ripensato a un grande film di qualche anno fa. Sempre una gangster-story, anche se vista dagli occhi di un non americano e dedicata più all’ignorato sottobosco della malavita, che alle vicende dei “soliti” grandi boss; sempre una storia di agenti infiltrati in organizzazioni di mafia (poco importa la nazionalità), tese sino all’estremo limite della resistenza psicologica dei protagonisti (in The Departed, se ci fate caso, Di Caprio è sempre sconvolto: il suo viso è irrigidito, anche quando è solo, in una maschera di perenne tensione rabbiosa e quasi terrorizzata, al punto che, senza nulla togliere alla sua innegabile bravura, ci si stupisce che gli altri malavitosi non si insospettiscano al solo guardarlo in faccia. Osserva sconvolto quanto accade attorno a lui, subisce ed è costretto a far subire violenza, convivendo assai difficilmente con uno spirito che scopriremo puro sino all’autodistruttività, nel disegnare la sua figura di ragazzo dei bassifondi, erede di una famiglia di mezze tacche, alla ricerca di un proprio riscatto da un destino di fallimento e mediocrità che, anche nel suo scegliere il Bene del didascalico sottotitolo, lo ricaccia inevitabilmente nel girone del Male, dove domina incontrastato un sulfureo Jack Nicholson, bravissimo, ma che a mio ovviamente sindacabile giudizio, continua da un po’ troppo tempo a recitare se stesso, anche se lo fa da Dio!).
Ma vedere The Departed, che pur è indubbiamente un bel film, che non lascia allo spettatore l’opportunità di riprendere fiato sino all’ultimissima inquadratura, e illustra, per chi ancora si illudesse, come comprendere davvero il mondo, soprattutto quello fuori dalle porte delle nostre confortevoli e rassicuranti case, non sia decisamente alla portata di chiunque (ricordate “La regola del sospetto” di Roger Donaldson, con un Al Pacino in piena forma nel creare e reggere un baraccone di specchi che alterano e distorcono la realtà, degno di quelli dei vecchi luna-park?) come può non ricordare un altro film, mi sono chiesta, un film enorme come indubbiamente lo è “Donnie Brasco” di Mike Newell, un film così bello da far perdonare persino lo scivolone ..potteriano del suo regista?
Se di fronte al finale di The Departed, infatti, si resta con un acre sapore di amaro in bocca, molto simile a quello che spesso la vita fa assaggiare, magari in dosi minori, circa il troppo spesso aleatorio concetto umano di giustizia, di fronte agli intensi occhi castani del primissimo piano che chiude, dopo averla aperta, la vicenda dell’agente speciale dell’FBI Joe D. Pistone, infiltrato nella mafia newyorchese, così calato in questo lavoro che “gli rode l’anima e mangia la vita”, anche per la consapevolezza del costante, lucido tradimento nei confronti di Benjamin "Lefty" Ruggiero che lo ha affiliato, garantendo per lui, e che si è “rotto la gobba per trent’anni” di “onesta” manovalanza malavitosa, senza infamia e senza lode, saremmo tentati di dire, tremando ad ogni cambio di mano, giacché “quando sei convocato, entri vivo ed esci morto, ammazzato dal tuo miglior amico”, senza mai ottenere niente, se non un figlio drogato e la cronica mancanza di denaro, di fronte al finale di Donnie, che coincide anche con la fine della missione sotto copertura dell’agente Pistone, si provano emozioni ben diverse: compassione, e struggimento. Nonostante l’orrore di un massacro con risvolti da bassa macelleria, nonostante la riprovazione che istintivamente sentiamo di dover provare di fronte a questo mondo violento e spietato, che intuiamo così sottilmente, pervasivamente, corrosivamente, nella sua ambiguità, pericoloso e destabilizzante, prima di tutto per il sempre più schizzato agente infiltrato Donnie il Gioielliere (è davvero possibile, vien da chiedersi, per un normale, onesto cittadino, comprendere lo stress devastante di un lavoro come quello sotto copertura? senza garanzie se non forse quella di non invecchiare e, credo, di aver venduto, comunque vada, per sempre un pezzetto di anima al diavolo?). Nonostante tutto ciò, noi vediamo ugualmente la fine del tirapiedi “Lefty” ("Se tu sei un infame, io sono il più grande idota di merda della storia della mafia!"), che per lo spettatore si cristallizza nella dignitossissima consapevolezza di quale sia ormai il suo destino, che lo fa spogliare di ogni bene terreno, lasciato alla moglie in un cassetto ben visibile, assieme a un ultimo pensiero per l’amico Donnie, noi la vediamo, quella morte che il regista ci lascia solo immaginare, con e nel profondo sguardo, distante e distratto, quasi in trance, di Johnny Depp - che regge senza apparente fatica il confronto con la bravura dolente e dimessa, ma immensa, di Al Pacino - di fronte alla propria salvezza, addirittura all’encomio di Pistone: una medaglia e un ridicolo assegno da 500 dollari, oltre alla promessa di una identità e di una vita nuove, ovviamente. Ma Donnie per troppi anni ha vissuto sul filo del rasoio, rischiando di perdere tutto ciò che di umano aveva, ed è ben consapevole di avere ormai oltrepassato il limite che lo faceva “assomigliare a uno di loro” per diventare davvero - uno di loro! Così, mentre la parabola del rapporto malavitoso con Lefty si chiude, dopo i molti, troppi momenti nei quali l’infiltrato Pistone ha temuto per la sua vita accettando di immergersi completamente in un mondo così alieno da non poterne uscire indenne, paradossalmente, dopo la sbrigativa e grottesca cerimonia della medaglia, di fronte a una famigliola che pare più inebetita che orgogliosa di fronte al suo ricomparire nella loro vita quotidiana, dopo anni di assenze ed incontri sempre troppo furtivi e insoddisfacenti per non aver lasciato il segno, il rapporto umano più saldo, più (mi si passi l’ossimoro) ambiguamente vero, appare proprio quello fra Donnie e Lefty, nato sotto il segno del consapevole tradimento usato come arte di vita e sopravvivenza, e finito sotto il segno di una impossibile redenzione, per tutti.
Se in Departed, assistiamo a un gioco di specchi, di riflessi truccati - il Damon dalla bella faccia pulita, qui particolarmente anodina, da bravo ragazzo, sempre padrone di sé e che non fa trasparire niente della sua autentica natura, al quale ci ha ormai in più film abituati; Di Caprio che appare perfetto come teppistello, cerca inutilmente briciole di conforto dalla psichiatra che lo deve seguire nel suo percorso di libertà vigilata, primo passo verso l’infiltrazione, e farà la scelta della legalità sino alle estreme conseguenze, e infine, perché in qualche modo giustizia vi sia, qualcuno dei buoni dovrà decidere di saltare il fosso ed ergersi al di sopra della legge nel difficile e discutibile ruolo di Angelo vendicatore - in Donnie Brasco c’è bel altro in campo: la consapevolezza che, in realtà, buoni e cattivi, forse, non esistono proprio, se non per permetterci di riuscire a dormire la notte: restano solo gli esseri umani e i loro sentimenti, impastati di fango e di amore, e i loro fallimenti e i loro errori e le loro contraddizioni e i mille compromessi ai quali si devono piegare, sperando di non sbagliare troppo, con la sconsolata consapevolezza che non abbiamo altre vere scelte che cercare di fare del nostro meglio, augurandoci che ci sia permesso farlo.
“A tutt’ora, esiste sulla testa di Joe D. Pistone una taglia valida, sino al valore di 500 000 dollari”Etichette: le vite degli altri |
postato da la Parda Flora
alle 17:14
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13 agosto 2007 |
L'impulso |
Togliete i campi e l'aratro, metteteci qualche grattacielo e il cemento e il grigio del fumo... Non finiscono, in realtà, tutti così, gli amori che finiscono, quando donne troppo sole non ne posso più e decidono di voltare pagina? Sono quei bivi nella foresta della vita, che proprio questo poeta americano, ammirato da Pound, rese così famosi...
(LA STRADA NON PRESA Divergevano due strade in un bosco Ingiallito, e spiacente di non poterle fare Entrambe essendo uno solo, a lungo mi fermai Una di esse finchè potevo scrutando Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente E aveva forse i titoli migliori Perché era erbosa e poco segnata sembrava; Benchè, in fondo, il passare della gente Le avesse davvero segnate più o meno lo stesso,
Perché nessuna in quella mattina mostrava Sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo. Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno ! Pure, sapendo bene che strada porta a strada, Dubitavo se mai sarei tornato.
Questa storia racconterò con un sospiro Chissà dove tra molto tempo: Divergevano due strade in un bosco, e io….. Io presi la meno battuta, E di qui tutta la differenza è venuta.)
Quel che trovo straordinario è che a capirlo così lucidamente sia stato un uomo, e per di più di un altro secolo, quando oggi vedo così tanti ometti smarriti che scioccamente non si sanno dare una ragione dei loro fallimenti sentimentali.
L’IMPULSO
Per lei là era troppo solitario e troppo desolato, e poiché erano loro due soltanto, senza bambini,
e il lavoro era poco nella casa, lei era libera e andava dietro a lui che arava campi o tagliava alberi
Si riposava su un tronco, gettava lontano le schegge cadute, e una canzone per sé soltanto aveva sulle labbra.
E una volta che lei andò a spezzare un ramo di nero ontano, così distante si spinse che appena l’intese quando lui la chiamò …
e non rispose, non parlava – né tornava indietro restò ferma, poi corse, si nascose in mezzo alle felci.
Lui non la trovò più, benché cercasse ovunque, e domandò in casa di sua madre se mai là lei si trovasse.
Improvviso e rapido e lieve così si sciolse il loro legame. e lui imparò che c’erano altri modi di finire oltre il morire.
Robert Frost (San Francisco, 26 marzo 1874 – Boston, 29 gennaio 1963)
chissà perché questa poesia mi fa sempre pensare a un film, Lezioni di piano, storia drammatica di una donna raccontata da una donna, e alla sciocca arroganza che, a volte, hanno gli uomini, e alla rude emotiva intelligenza che, a volte, hanno gli uomini...)Etichette: esergo e altre perle ai porci |
postato da la Parda Flora
alle 15:08
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Una risata vi seppellirà! |
"Una risata vi seppellirà...oddio, anche un camion carico di sterco, può fare al caso..."
NOTA:per la realizzazion della fetecchia di questo post, Blogger è stato abbondantemente malmenato! e mo' ci riprovo, dato che salva solo quel che vuole lui, e non quello che scrivo io... >:((
Walter Zappa (Paolo Rossi in "Kamikazen (1987) - Ultima notte a Milano" )così sentenziava di fronte al filosofo-facchino David Riondino, quasi zen, e come dimenticare la sua teoria sullo Sgurz?
"...e come diceva Mao Tze Tong: grande è il caos nell’universo, e anche qui c'è un bel casino!" continuava Paolo Rossi, insistendo realisticamente - facchino alla Centrale, sfigato per profonda e irresistibile vocazione - sul concetto del casino, ché qui a Milano in cerca di fortuna cabarettistica, il pordenonese Paolo Rossi non riusciva a dimenticare il "bel casino!" della sua vita, da autentico e consapevole sfigato, sempre per profonda e irresistibile vocazione...
Ma non scordiamo la fulminante, ancora oggi ATTUALE BATTUTA dallo stesso film: "Una risata vi seppellirà, addio! ...anche se pure un camion carico di sterco può fare al caso!" pronunciata dal comico - "Walter Zappa", al secolo, perlappunto, Paolo Rossi.
Passati un po' di anni, mentre i giovani milanesi quando non sanno cosa fare continuano da andare a Vigevano e noi non vogliamo dimenticare, perché concordiamo che : "Effettivamente grande è il caos del cosmo, ma anche qui a Milano e non solo, c'è un bel casino!" Vorremmo anche inivitare chi di dovere a non esagerare, però... >:-(( che anche lo sterco, alla lunga, stufa...Etichette: esergo e altre perle ai porci |
postato da la Parda Flora
alle 09:58
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