09 giugno 2007
Che te ne fai d'un titolo ?
Non ce la fanno,
i belli muoiono tra le fiamme:
sonniferi, veleno per i topi, corda,
qualunque cosa..
si strappano le braccia,
si buttano dalla finestra,
si cavano gli occhi dalle orbite,
respingono l'amore,
respingono l'odio,
respingono, respingono.
non ce la fanno
i belli non resistono,
sono le farfalle
sono le colombe
sono i passeri,
non ce la fanno
una lunga fiammata
mentre i vecchi giocano a dama nel parco
una fiammata, una bella fiammata
mentre i vecchi giocano a dama nel parco
al sole
i belli si trovano nell'angolo di una stanza
accartocciati tra ragni e siringhe, nel silenzio,
e non sapremo mai perché se ne sono andati,
erano tanto
belli.
non ce la fanno,
i belli muoiono giovani
e lasciano i brutti alla loro brutta vita.
amabili e vivaci: vita e suicidio e morte
mentre i vecchi giocano a dama sotto al sole
nel parco

C. Bukowski

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08 giugno 2007
L'amicizia
A volte gira così: periodicamente si vedono delle miserabili, ipocrite, brutte facce riapparire spudoratamente e monotonamente all'orizzonte radar, sapete, di quelle che davanti ti fanno mille moine, ti si fingono "amiche" e comprensive, e appena volti le spalle, ti pugnalano senza nessun pensiero per perseguire loro squallidi interessi, e allora cerco conforto alla barbarie fra i ...barbari.
Eco come recita l'Hàvamàl, l'antico libro della saggezza vichinga, che contiene coi suoi detti, spesso fulminati ed arguti, il più probabile codice etico vichingo giunto sino a noi. L'Hàvamàl era ritenuto, infatti, la raccolta de "Le parole dell'Eccelso" (questo è il significato del titolo), ovvero del dio Odino stesso.

Io ho scelto, per motivi per me validissimii, quelli sull'ipocrisia, l'amicizia (falsa) e la dissimulazione, avendo sperimentato con ...dubbia soddisfazione, tutt'e tre le squallide situazioni. Mi rendo conto che dovrei, per rispettare il consiglio eddico, adulare una persona che considero così bassa da poter tranquillamente passeggiare sotto i tappeti, ma è inutile, non mi riesce di trovare in essa nulla di positivo con la quale ricambiarla della sua falsità. E poi, francamente, chi è migliore forse è anche più disposto a passare per fesso, restandosene zitto, ma senza dimenticare né perdonare... perché poche cose sono più difficili da dimenticare e perdonare, dell’"amicizia" spudoratamente tradita, e per cosa poi? Captatio benevolentiae per patetici innamoramenti, squallidine storie di letto, temo neppure andate a buon fine...che miseria dietro tanta compiaciuta spocchia!
"Chi siamo noi, per rovinare il gioco di chi dal mondo ha avuto molto poco?"
;-)
Via, via, certe persone squallide e meschine meglio perderle che trovarle: come l'Aids, se le conosci, le eviti!


Ipocrisia
Prendere in giro
altrui mai si deve
quando ci si incontra.
Saggio si ritiene
chi evita la prova
e porta i panni asciutti.



L'amicizia
Tortuosa è la strada
verso un cattivo amico,
benché abiti sulla strada maestra.
Ma verso il buon amico
agevole è il cammino
benché remoto abiti.



Dissimulazione
Se hai un amico
del quale non ti fidi
e sospetti i suoi pensieri
adulalo
ma in malafede:
così si ricambiano i doni.


(E Mina canta uno splendido testo di Ricky Gianco)

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06 giugno 2007
Il bollente menù di Putin
Preso atto che la situazione interna della Russia è, non solo intricatissima, ma anche piuttosto ignorata dai comuni mezzi d'informazione, a parte le sparate...a freddo, sulla Guerra Fresca, nuovo terribile neologismo del "giornalese", aggiungo, senza nessun tipo di valutazione, ma solo come fonte ulteriore di dati, un altro articolo, sempre grazie alla traduzione e gentilezza dell'amica Mirumir di Tlaxcala, sul cui sito per italiofoni potrete trovare anche altri materiali, altrimenti inaccessibili per la maggior parte degli italiani, che non sempre hanno rapporti indolori con le lingue comunitarie, soprattuto quelle dell'Est Europa.
Ognuno si faccia le opinioni che meglio crede, ma almeno, avendo qualche dato, se le può fare su qualcosa di più solido dell'aere...

Il bollente menù di Putin
I giornalisti dei paesi del G8 a cena con il presidente russo

di
Andrej Kolesnikov

Originale: Kommerssant, quotidiano moscovita liberale fondato nel 1992 [nota della Parda]

Venerdì [scorso]il presidente russo Vladimir Putin ha concesso un'intervista ai giornalisti dei paesi del G8. L'inviato speciale del Kommersant, Andrej Kolesnikov, che era uno dei partecipanti, racconta la drammatica storia della nuotata di Putin nelle acque pericolose dei media internazionali. Adesso ci manca solo la drammatica storia della decisione di Putin di estendere il suo mandato a sette anni.

Il presidente ha ospitato l'incontro con la stampa, organizzato secondo il principio "un giornalista per ogni paese" nella sua residenza di Novo-Ogarevo, nei pressi di Mosca. Il più noto tra i giornalisti era il direttore di Der Spiegel Stefan Aust, che è stato al centro del momento saliente dell'intervista e anche del maggiore problema che si è presentato. Gli altri partecipanti erano Franco Venturini del Corriere della Sera, Bronwen Maddox del British Times, l'inviato del giapponese Nihon Keizai Shimbun Yatsusiko Ota, Pierre Rousselin di Le Figaro, Doug Saunders dell'edizione europea del Canadian Globe and Mail e Gregory White della redazione moscovita del Wall Street Journal.

Abbiamo atteso il presidente per circa due ore, per lo più passate a concordare la data di pubblicazione dell'intervista. Idealmente l'intervista avrebbe dovuto essere pubblicata da tutte le testate contemporaneamente, un'impresa che è apparsa subito quasi impossibile dato che Der Spiegel, per esempio, esce il lunedì e che gli altri giornali avrebbero voluto dare almeno un'anticipazione il sabato.

I membri del servizio stampa del presidente Putin hanno faticato a convincere gli altri partecipanti ad aspettare lo Spiegel. Quando finalmente tutti i giornalisti presenti nella stanza hanno giurato solennemente che l'intervista non sarebbe apparsa prima di lunedì mattina, il signor Aust è stato trattato con una certa ostilità dai colleghi.

Il più indignato per l'accordo era il signor Venturini del Corriere della Sera. In quel momento mi è parso che il tipo non fosse del tutto affidabile. Ha guardato il tedesco come se volesse incenerirlo. Cosa che in un certo senso, come poi si è visto, ha fatto.

Quella sera Vladimir Putin non aveva, per così dire, un aspetto riposato. Quando i giornalisti si sono messi in fila per salutarlo uno per uno, prima di sedersi al tavolo, mi è sembrato perfino un po' turbato, cosa insolita all'inizio di un'intervista. Poi mi sono ricordato che era appena tornato da una visita a Naina Josifovna El'cin, dato che il 1° giugno segnava la fine dei quaranta giorni di lutto per la morte del primo presidente russo.

I giornalisti hanno appoggiato i registratori sul tavolo. La conversazione è cominciata nell'ufficio del signor Putin, al primo piano dell'ala destinata agli ospiti della residenza presidenziale. Tuttavia, molto prima che l'incontro cominciasse avevo intravisto il famoso ristoratore moscovita Arkadij Novikov e avevo capito che la serata non sarebbe trascorsa senza una buona cena fortificante.

Il signor Putin ha tenuto un breve discorso introduttivo, ha risposto a tre domande (i giornalisti avevano concordato anche chi di loro avesse dovuto cominciare), e poi ci ha invitati tutti al piano di sopra a mangiare.

Mentre i miei colleghi salivano le scale mi sono accorto che erano già molto contenti. Anzi, mi è sembrato perfino che tre di loro sarebbero stati soddisfatti se l'intervista fosse finita lì. Erano quelli che avevano posto le prime tre domande. Salendo siamo passati accanto ai colleghi che erano venuti a dare il loro appoggio morale ai partecipanti all'intervista. Erano seduti al secondo piano, davanti a un monitor che trasmetteva in diretta dall'ufficio del presidente. I giornalisti hanno salutato con gesto dolente i colleghi, come se si trattasse di amici e familiari di condannati ai lavori forzati in Siberia. Ho pensato allora che forse alcuni dei partecipanti all'intervista non escludevano una simile eventualità.

Sul tavolo c'erano solo i menù. Leggendo il mio ho appreso che avremmo consumato "tartara di branzino con caviale nero, gazpacho con granchio, filetto di rombo e risotto con asparagi, petto d'anatra con fave e uva spina e zuppa di fragoline". Ho trovato quest'ultimo piatto particolarmente interessante. Sono stati poi proposti alla nostra attenzione un Tignanello Chianti del 2003 e un Terre Alte Friuli del 2004. All'improvviso non avevamo più alcuna fretta.

La conversazione è continuata, anche se non direi che il signor Putin ne fosse enormemente entusiasta. I giornalisti dovevano porre le domande in senso orario, ma alcuni di loro - evitando accuratamente di incontrare lo sguardo degli altri - hanno colto l'occasione per porre due e anche tre domande alla volta. Il presidente ha soddisfatto metodicamente la loro curiosità, ma nelle sue parole non ho trovato né un occasionale guizzo d'ingegno né un minimo d'entusiasmo. Ho capito che aveva da tempo preparato le risposte a ciascuna di queste domande e che probabilmente si annoiava. Nella successiva ora e mezza si è animato solo un paio di volte.

Però a un certo punto il direttore dello Spiegel ha chiesto al presidente russo se si considera davvero un autentico democratico, come lo ha definito l'ex-cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Questa domanda gli era già stata posta giorni fa al vertice UE-Russia a Samara, e ho pensato che il presidente si sarebbe spento del tutto. Invece abbiamo ricevuto la risposta dell'anno: "Dopo la morte del Mahatma Gandhi, non è rimasto nessuno con cui parlare".

[ e qui, Putin si merita una sosta meditativa per esprimere tutta la mia ammirazione: definire diabolica questa battuta è il minimo.Per me che, come Guccini, per la battuta mi farei spellare, non posso che fare tanto di cappello al signor Putin, che come dice Mirumir, non cammina, ma si reca sul podio a ricever la medaglia d'oro! e tentare, ovviamente, appena posso, di fregagliela riciclandola, perché merita, accidenti se lo merita!
:-D
...nota della Parda!]

Prima di allora il signor Putin, rispondendo, non aveva mai sorriso. Ma pronunciando queste parole ha spalancato gli occhi in modo insolito, cosa che poi ha permesso ai colleghi di parlare entusiasticamente di come avesse affrontato seriamente quella domanda e di quale considerazione abbia di se stesso. Inoltre quello che era stato detto è parso, senza esagerare, di un'ironia diabolica, proprio perché fino a quel momento il presidente non aveva sorriso neanche una volta.

Poi ha risposto alla mia domanda sul divieto d'esportazione di materiali biologici (il Kommersant ne sta scrivendo da diversi giorni). Il signor Putin ha concordato solo sul fatto che il processo non è sufficientemente regolamentato dal punto di vista legale, ed è apparso perplesso a proposito dell'utilità di mandare all'estero campioni di sangue e tessuti per farli analizzare. È stato perfino necessario promettere di fornire delle statistiche, cosa che faremo (tentar non nuoce).

In seguito, dopo l'intervista, ho saputo che il signor Putin era interessato a quell'informazione molto più di quanto avesse lasciato trasparire. Apparentemente le regole per l'uscita dei materiali biologici dal paese verranno elaborate per sua raccomandazione in pochi giorni e non in settimane o mesi come accade spesso per tali questioni.

Nel frattempo però l'intervista era andata avanti per più di due ore, e a un certo punto il signor Putin ha esclamato: "Ma che ore sono? Le 11.30?! Mi state torturando! Bisogna concludere!" Come rendendosi conto di quello che aveva detto, ha aggiunto rapidamente: "O piuttosto sono io che sto torturando voi. Comunque bisogna concludere".

"È d'accordo sul fatto che l'Iran debba possedere armi nucleari?" ha domandato un giornalista.

"Sono completamente d'accordo," ha detto frettolosamente il presidente, dedicandosi alla sua zuppa di fragoline, uno strano ma saporito miscuglio di acqua, fragoline fresche e qualcos'altro che faceva sì che Vladimir Putin trangugiasse avidamente il tutto. Anzi, mentre il presidente rispondeva svogliatamente a una domanda sul destino travagliato dell'Aeroflot, un cameriere ha chiesto se poteva portare via i resti della zuppa, ricevendo il divieto categorico del signor Putin: "La gelatina la lasci qui."

L'entusiasmo del signor Putin per le fragoline era ben più grande di quello suscitato dal fuoco di fila delle domande dei giornalisti, che alla fine si sono dimenticati di ogni regola e hanno cominciato a interrompersi a vicenda, con il giornalista italiano che reggeva sopra la testa con entrambe le mani un foglio di carta con su scritto in inglese "Anch'io ho una domanda!"

Verso la fine dell'intervista il presidente ha annunciato che sarebbe stato "accettabile" estendere il mandato del presidente da quattro a cinque anni, e forse addirittura a sette. Ne ha perfino spiegato il perché, e ha cominciato a lasciarsi andare e a rilassarsi mentre la conversazione volgeva al termine.

Forse era perché si era aspettato altre domande oltre a quella di protocollo sul destino di Andrej Lugovoj, come pure le domande rituali sull'omicidio di Anna Politkovskaja, sulla Cecenia e Beslan. Domande che non sono mai arrivate. I giornalisti erano interessati ad altro. Il collega giapponese si è lamentato che il bando dell'esportazione della polpa di granchio significa che i giapponesi non potranno disporre di polpa di granchio sufficiente per il sushi, anche se il presidente ha dichiarato di preferire di gran lunga il tonno.

Alla fine il signor Putin ha esercitato la propria autorità per portare al termine la conversazione, poco dopo la mezzanotte. Il signor Aust di Der Spiegel è corso dai suoi colleghi al secondo piano, intenti a dettare furiosamente per l'edizione di lunedì le risposte del presidente al loro direttore.

All'uscita tutti hanno nuovamente concordato sull'embargo fino a lunedì mattina, e tutti hanno nuovamente guardato male il signor Aust.

Il giorno successivo, il sito internet di Der Spiegel preannunciava l'intervista, di fatto pubblicando estesamente le risposte del signor Putin alle questioni più calde e violando così l'accordo. Alla mossa tedesca hanno subito reagito i giornalisti del Corriere della Sera, che domenica hanno deciso di offrire la versione completa della conversazione. Alla fine, solo il coraggioso servizio stampa del presidente russo è riuscito a rispettare l'embargo quasi fino a lunedì.



(e vi continuate a beccare "I’m gonna be (500 miles)", perché mi piace, e pare non solo a me...)
;-)

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05 giugno 2007
Porre fine alla Guerra Fredda
Una opinione in più, sulla...Guerra Fresca prossima ventura? Mi pareva interessante sentire più voci sulle ultime vicende che hanno spinto alle recenti dichiarazioni di Putin, con gran riparlare generale della ormai deceduta Guerra Fredda.

Porre fine alla Guerra Fredda
Perché è giusta la decisione di Putin sul Trattato sulle armi convenzionali in Europa


di Vladimir Frolov
7 maggio 2007

Nel suo discorso all'Assemblea Federale sullo stato della nazione il presidente Vladimir Putin ha annunciato una moratoria del Trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE).
Questa decisione ha provocato un'altra ondata di critiche da parte dei politici e dei commentatori occidentali, nonché un'ufficiale espressione di "preoccupazione" da parte del Segretario Generale della NATO e dei governi alleati.

Tali critiche sono fuori luogo. Putin ha detto finalmente quello che tutti pensavano del Trattato sulle armi convenzionali in Europa ma erano troppo politicamente corretti per farlo. Il Trattato ha ormai superato i limiti della propria utilità. Non è che un reliquia della Guerra Fredda. Non è più necessario a garantire la sicurezza all'Europa. Oggi una guerra in Europa tra Russia e NATO è inimmaginabile. Se il trattato cessasse semplicemente di esistere, il mondo se ne accorgerebbe a malapena. Ma in quanto reliquia della Guerra Fredda continua a nuocere alle relazioni della Russia con l'Occidente.

Il trattato perpetua artificialmente le divisioni della Guerra Fredda in Europa e contrappone la Russia all'intera alleanza atlantica in un momento in cui la Russia e la NATO non sono più nemiche. Impone requisiti molto rigidi che limitano la capacità della Russia di reagire rapidamente ai suoi reali problemi di sicurezza; soprattutto, dalla firma della sua versione modificata, nel 1999, non è stato messo in pratica dalle nazioni occidentali, mentre la Russia ha unilateralmente tenuto fede ai propri obblighi.

Il Trattato sulle armi convenzionali in Europa fu firmato da 16 paesi membri della NATO e sei paesi del Patto di Varsavia. Il Trattato imponeva strette limitazioni quantitative all'equipaggiamento militare pesante consentito alle parti firmatarie, secondo una divisione in quattro zone. A ciascuna zona venivano concessi non più di 20.000 carri armati, 30.000 veicoli da combattimento, 20.000 pezzi d'artiglieria, 6800 aerei da combattimento e 2000 elicotteri da combattimento. Il Trattato non riguardava le forze statunitensi nel Nord America né quelle Russe nel lontano Oriente.

Inoltre, limitazioni ancora più severe venivano imposte al dispiegamento di truppe russe nei due nuovi fianchi: il Distretto Militare di Leningrado e il Distretto Militare del Caucaso Meridionale. In pratica, significava che laRussia non poteva spostare le sue forze armate sul proprio territorio senza darne notifica e ricevere il consenso della NATO. Durante la guerra in Cecenia, la Russia non poteva spostare rinforzi nella zona di guerra a causa di queste limitazioni del Trattato.
La fine della Guerra Fredda e la dissoluzione del Patto di Varsavia privò immediatamente di significato le limitazioni del Trattato sugli armamenti. Il Trattato è entrato in vigore nel 1992 e la NATO nel frattempo si è allargata a 26 stati, con l'ingresso di molti paesi dell'ex-Patto di Varsavia. Sia la Russia che la NATO hanno rapidamente diminuito i loro armamenti scendendo ben al di sotto dei limiti del Trattato. Chi ha bisogno di 20.000 carri armati in Europa, oggi?

Per adattare il Trattato alla nuova realtà, nel 1999 le parti hanno firmato una nuova versione, il Trattato CFE adattato, che imponeva nuovi limiti per l'armamento pesante ai singoli stati, non ai blocchi militari e aumentava sensibilmente i livelli di impiego concessi alla Russia nelle zone dei fianchi.
Ma dei 30 stati che hanno firmato la nuova versione del Trattato solo la Russia, la Bielorussia, l'Ucraina e il Kazakistan l'hanno ratificato. I membri della NATO si sono rifiutati di ratificarlo prima che la Russia mettesse in pratica i cosiddetti accordi di Istanbul, in base ai quali la Russia avrebbe dovuto ritirare le proprie forze dalla Georgia e dalla Moldova. La Russia ha ritirato tutte le sue forze dalla Georgia, mentre in Moldavia mantiene una piccola forza di peacekeeping e una guarnigione di guardia a un grosso deposito di munizioni rimasto in Moldova dopo il ritiro delle forze sovietiche dall'Europa.

In breve, la NATO ha usato gli Accordi di Istanbul, che non hanno niente a che vedere con il Trattato CFE, come pretesto per evitare di ratificare e mettere in pratica il Trattato Adattato. Inoltre, quattro nuovi membri della NATO - Slovenia, Lettonia, Estonia e Lituania - si sono rifiutati di unirsi al nuovo Trattato nonostante la NATO si fosse pubblicamente impegnata in questo senso.
Il Trattato non è mai stato operativo ed è servito solo come uno strumento per limitare la libertà della Russia di occuparsi della propria sicurezza senza imporre simili restrizioni alla NATO.

Questa è una situazione che nessuno stato sovrano potrebbe tollerare, ed è esattamente quello che Putin ha affermato. La decisione di imporre una moratoria del Trattato non ha tanto a che fare con la sicurezza europea quanto con l'esigenza della Russia di ottenere un trattamento equo e con la difesa della sua sovranità. La Russia non intende subire un trattamento ingiusto e sottostare a condizioni che le altre nazioni non vogliono ratificare.

Gli Stati Uniti nel 2001 si sono ritirati unilateralmente dal Trattato anti missili balistici (ABM). L'amministrazione ha definito il Trattato ABM una reliquia della Guerra Fredda a ha dichiarato che non era più necessario perché la Russia e gli Stati Uniti non erano più nemici. Ora Washington progetta il posizionamento di intercettori ABM in Polonia e di un radar ABM nella Repubblica Ceca e dice che la Russia non ha niente da temere da questa iniziativa.

Bene. Ma se non siamo più nemici, allora perché lo scandalo a proposito del Trattato sulle armi convenzionali in Europa? La Russia non si è ritirata, ha solo detto che non lo avrebbe messo in pratica finché le altre nazioni firmatarie non lo avessero ratificato. Azione corretta: in affari, le compagnie private non sono tenute a tener fede agli obblighi del contratto se gli altri contraenti fanno mostra di ignorarli.

Con questa decisione sul Trattato CFE, Vladimir Putin ha mandato un semplice messaggio all'Occidente: la Russia non considera l'Occidente un nemico militare, la Russia è un paese normale che chiede un trattamento equo, la Russia esige il dovuto rispetto per il ruolo che ha svolto nel porre fine alla Guerra Fredda.

La Russia non ha perso la Guerra Fredda, come alcuni in Occidente vorrebbero credere. Ha contribuito a porvi fine, e il Trattato CFE faceva parte di quel processo. Ma la Guerra Fredda è finita da molto ed è ora di andare avanti. Se questo significa liberarsi di reliquie del passato come il Trattato CFE, sia pure.

Vladimir Frolov è direttore del Laboratorio Nazionale per la Politica Estera, un think tank con sede a Mosca.Link: http://guardian.psj.ru/text/200705071655.htm

Originariamente pubblicato su Russia Profile.

Tradotto dall'inglese da Mirumir, un membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte.

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La bugia (una fra le tante...) del Cavaliere
Stamane non ho voglia di scrivere, soprattutto del caso Visco, del quale avevo accennato qualche tempo fa qualcosa, in termini di pirateria di piccolo cabotaggio e furfanteria.
Anche se mi ha divertito la risposta della giornalista Lucia Annunziata, che alle insistenze dell'onorevole Fini, con evidente riferimento al caso Guardia di Finanza - Unipol, circa la liceità dell'uso politico dei media per non meglio definite "montature", alla fine ha risposto spazientita che tale uso non è mai lecito, ma ciò non toglie che la CdL ne abbia a suo tempo fatto ampio uso, quando le faceva comodo. Quindi, aggiungo io, giù le aureole! E anche le grida inconsulte "Se lo avessimo fatto noi, ci avrebbero cacciato a calci"! di un signore che ultimamente vedo solo con le mani addosso a qualche rappresentante del gentile sesso, fosse solo per appoggiarvisi in caso si ripresentassero malori... Donna Veronica, a quando un'altra pubblica tiratina d'orecchie?
;-)
Ma per tornare alla sostanza del discorso, ebbene, lo avete fatto tranquillamente anche voi, egregi signori della passata legislatura, e nessuno vi ha smosso di un millimetro! anche se ora strillate per le sempiterne richieste di dimissioni del governo, che fanno venire solo il voltastomaco, per noia e sfacciataggine, e questo credo a prescindere da quale sia la posizione politica dell'elettore corretto. Un onorevole che mente, pubblicamente, sapendo perfettamente di farlo, è infatti un disonore per il Parlamento intero, per chi lo ha eletto e anche per il Paese che dovrebbe servire, servire e non usare, per interessi economici o per manie di potere, poco importa.
Così stamane mi affido alla penna di Carlo Bonini de La Repubblica, che mi pare avere memoria più brillante e a lungo termine del collega Panebianco del Corriere della Sera, che placidamente dimostra i limiti della sua memoria,(voglio pensare solo di questo si tratti...) sostenendo non esserci mai stati precedenti nei terremoti, ad opera di un ministro, all'interno della Guardia di Finanza.
Come se ciò non fosse stato fatto a suo tempo da Tremonti...
Ma leggete l'accurata ricostruzione di fatti che magari (la memoria, è una cosa buffa, soprattutto quando si parli di politica, dove spesso il bianco è nero, e il nero bianco e comunque io non ho mai parlato di colori, caro lei!) lì per lì, qualcuno aveva magari scordato.


ROMA - Per fulminare Romano Prodi e la sua evanescente maggioranza sul caso Visco-Speciale, per rendere nitida la gravità di un brutale tentativo di spoils system nella Guardia di Finanza, Silvio Berlusconi ha usato un argomento di indubbia efficacia: "Io mi domando se fosse successo a noi...". Bene. E' successo. Cinque anni fa. Quando - ministro dell'Economia Giulio Tremonti - venne prima rimosso in ventiquattro ore il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, perché ritenuto politicamente inaffidabile, e quindi avvicendata l'intera catena di comando delle Fiamme Gialle a Milano: il comandante regionale, il comandante provinciale, il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria. Non si levò un fiato. Nessuno ebbe a indicare inopportuni incroci con le allora indagini sui diritti tv di Mediaset, né che tra i promossi ai nuovi incarichi vi fosse l'aiutante di campo del ministro Tremonti. Non ci fu il tempestivo e preoccupato intervento dell'Avvocatura Generale per verificare la limpidezza professionale degli ufficiali che venivano messi alla porta. Non furono sollecitate lettere allarmate alla Procura della Repubblica. Non fu chiamato in causa il capo dello Stato.
La vicenda non ha nulla di segreto, ha il pregio di mettere a nudo qualche ipocrisia e, per quel che se ne sa, è tra quelle che il viceministro Visco, in questi giorni, ha ricostruito nel suo dossier consegnato a Palazzo Chigi e di cui il senato discuterà domani. I fatti, dunque.

Settembre 2001. Giulio Tremonti è da qualche mese il nuovo ministro dell'Economia. Comandante generale della Guardia di Finanza è il generale di corpo d'armata Alberto Zignani, anche lui nuovo nell'incarico (è stato nominato in marzo). Di fatto, la Guardia di Finanza ereditata dal governo di centrodestra è quella che, per quattro anni (1997-2001), ha governato e riformato il generale Rolando Mosca Moschini, uno dei migliori e più brillanti ufficiali del nostro esercito, apprezzato all'estero, integrato per lungo tempo nei comandi Nato. Mosca Moschini, oggi consigliere militare del Presidente della Repubblica, è fumo negli occhi per il centrodestra. Nella sua lunga stagione di comando in viale XXI aprile ha aggredito un grumo di potere che ha coltivato, con il rancore, voglia di rivincita. Si è liberato di Nicolò Pollari, sostituendolo dopo neppure due mesi con un nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Giovanni Mariella, un pugliese solare, un galantuomo di buon carattere che, di fatto, nel settembre 2001, quando Moschini lascia il comando ne raccoglie l'eredità.

Mariella dura poco. Alla fine di settembre del 2001, il centrodestra se ne libera in ventiquattro ore, sostituendolo con il generale Nino Di Paolo. Delle ragioni della sua destituzione il comandante generale Zignani non offre nessuna spiegazione. Né, soprattutto si comprende, perché, una volta avvicendato, Mariella finisca nel magazzino delle scope del Comando.
Per lui non ci sono incarichi di prestigio. Non ci sono poltrone da vicesegretario del Cesis (che, a quanto pare, sono invece un esito di carriera naturale se gli ex capi di stato maggiore si chiamano Nicolò Pollari ed Emilio Spaziante). C'è solo un lungo esilio da comandante interregionale della Guardia di Finanza dell'Italia meridionale. Fino a quando, quattro mesi fa, non se lo porta via una malattia fulminante. Ai suoi funerali a Napoli, lo scorso 24 febbraio, nella basilica di san Francesco di Paola, in piazza Plebiscito, sono presenti sia il comandante generale Roberto Speciale che l'ex comandante Mosca Moschini. Ed è lui a pronunciare un ricordo che convince Speciale a lasciare infuriato la chiesa prima del feretro, per un caffè al "Gambrinus" insieme al suo seguito di ufficiali.

Ma torniamo a quell'autunno 2001. Perché accade qualcosa di più. Contemporaneamente alla destituzione di Mariella, su sollecitazione di Tremonti, viene ridisegnata competenza e gerarchia degli uffici periferici del II Reparto, l'intelligence della Guardia di Finanza (che Mariella, prima di diventare capo di Stato maggiore, ha comandato), stanza di scambio e compensazione con il Sismi, la nostra intelligence militare. Delle informazioni che raccoglieranno sul territorio, i "nuovi" reparti informazione non risponderanno più al Comando generale, ma ai comandi regionali. La "riforma" coincide con l'allontanamento di alcuni dei responsabili del reparto informazioni a Milano, come a Roma. Rende i comandanti regionali centri nevralgici nella raccolta delle informazioni, accrescendone il potere. E annuncia quel che accadrà nell'ottobre del 2002.

In un unico giro di avvicendamenti, viene sostituita l'intera catena di comando della Guardia di Finanza di Milano. Il comando interregionale della Lombardia viene assegnato al generale Emilio Spaziante. Uomo di Pollari, suo luogotenente in una piazza che esprime la nuova classe dirigente politica, i suoi interessi economici. Comandante provinciale è nominato il colonnello Rosario Lo Russo. Ma, soprattutto, al Nucleo regionale di polizia tributaria arriva il colonnello Stefano Grassi. L'ufficiale è aiutante di campo del ministro Tremonti. Ha lavorato al ministero dell'economia insieme a Marco Milanese, capo della segreteria del ministro, altro brillante ufficiale della Finanza che ha avuto quale suo compagno di corso Dario Romagnoli, poi passato allo studio tributario di Milano dello stesso Tremonti.

Gerardo D'Ambrosio, allora procuratore della Repubblica di Milano, oggi senatore dei Ds, ha un ricordo sfumato di quegli avvicendamenti. Sicuramente non prese carta e penna per redigere lettere allarmate. "Perché - dice - la legge stabilisce che il procuratore della repubblica e il procuratore generale non hanno alcun potere di intervento sui trasferimenti di ufficiali al vertice della catena di comando locale della Guardia di Finanza a meno che non si tratti di ufficiali di polizia giudiziaria. Perché in questo caso, non solo devono essere informati ma è addirittura necessario il loro consenso. Sicuramente, nessuno in quell'occasione, al contrario di come mi pare sia invece accaduto nel caso Visco, venne a sollecitare un mio interessamento a quel che stava accadendo". Aggiunge l'ex Procuratore: "La verità è che da questa storia ho tratto delle convinzioni che, domani, proverò a comunicare all'aula del Senato. Un ufficiale come il generale Speciale è pericoloso innanzitutto per la Guardia di Finanza. Se le cose fossero andate come lui dice, un anno fa avrebbe dovuto prendere la porta e denunciare Visco alla competente Procura di Roma per poi dimettersi un minuto dopo. Non mi risulta lo abbia fatto. Perché?".


Carlo Bonini
da La Repubblica, 5 giugno 2007

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04 giugno 2007
I’m gonna be (500 miles)
I’m gonna be -500 miles

When I wake up yeah I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who wakes up next to you
When I go out yeah I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who goes along with you

If I get drunk yes I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who gets drunk next to you
And if I haver yeah I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who's havering to you

But I would walk 500 miles
And I would walk 500 more
Just to be the man who walked 1000 miles
To fall down at your door

When I'm working yes I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who's working hard for you
And when the money comes in for the work I'll do
I'll pass almost every penny on to you

When I come home yeah I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who comes back home to you
And if I grow old well I know I'm gonna be
I'm gonna be the man who's growing old with you

But I would walk 500 miles
And I would walk 500 more
Just to be the man who walked 1000 miles
To fall down at your door

When I'm lonely yes I know I'm gonna be
I'm gonna be the man whose lonely without you
When I'm dreaming yes I know I'm gonna dream
Dream about the time when I'm with you.

But I would walk 500 miles
And I would walk 500 more
Just to be the man who walked 1000 miles
To fall down at your door


(Sono The Proclaimers , cliccando si vede il video della canzone, dall'album Sunshine on leith; roba vecchia, ma è il mio modo di festeggiare un incontro molto molto speciale... e qui vi regalo una deliziosa chicca cinefila!)
;-)

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postato da la Parda Flora alle 08:56  

 

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