19 agosto 2006
Il diavoletto della Tebaide
Credo che porre le opere malvagie (e di questi tempi non ne mancano certo) come frutto del maligno abbia parecchie ricadute, teologiche e non, rischiose assai: crea un alibi ai "deboli", deresponsabilizzandoli, ne rosicchia parecchio il libero arbitrio e, infine, ammette l'esistenza di una Entità così potente da tener testa al bene che comunque per lo meno se ne frega - o non sente i lamenti o finge di non sentirli. (ed ecco riapparire un pochino di pensiero gnostico).
Una curiosità metaforica: quando in informatica riesci a introdurre un programma pirata che ti consenta il controllo dell'altro Pc, esso viene chiamato demone, e il meccanismo che utilizza per sfuggire alla sua individuazione, cattura e distruzione funziona come uno specchio per l'utente. Risponde infatti ad ogni domanda con una domanda logica che in realtà comprende una risposta che fornirà materiale per la prossima domanda e così via all'infinito. La scelta del nome di questa categoria di programmi intrusivi mi ha sempre affascinato, e testimonia che la concezione del demonio vi è ancora, si è solo adatta, evoluta, rinfrescato il look. Il demone del pc infatti esiste (é un programma scritto) e provoca danni veri. Ruba dati, crea malfunzionamenti del pc etc. Eppure, per distruggere un demone informatico basterebbe rispondergli in una lingua diversa o in un linguaggio informatico diverso da quello usato dall'"invasore"... un po' come, al contrario, il diavolo tenta di ingannare Cristo facendolo proprio. Temo di aver sproloquiato, ma vorrei ricordare un delizioso racconto di Hesse dedicato a un diavoletto della Tebaide, al tempo dei Padri della Chiesa, quando le creature pagane sono cacciate sempre più a fondo nel deserto. Ma il diavoletto è curioso, vede un santo eremita e lo spia, ne spia la frugalità di vita, vede con stupore il corvo che gli porta il cibo ogni giorno e decide di fermarsi accanto a quell’uomo misterioso. Si trova una grotta e inizia a imitare i gesti e le preghiere dell’eremita, anche se non li comprende.
Passano gli anni e per l'eremita giunge l’ora di ricongiungersi a Dio. E il Diavoletto? Triste e disperato, non sapeva che quella sua fede, cieca e totale, tanto da indurlo a votarsi a un Dio del quale non conosce neppure il nome, lo ha salvato, facendogli seguire ancora una volta l’eremita anche nell’altra vita.
Ecco, ho sempre preferito questo diavoletto all’eremita, e forse mi ha insegnato più cose lui del suo santo.
postato da la Parda Flora alle 10:17  

 

18 agosto 2006
The UK Terror plot: what's really going on?
"Questa è, credo, la verità.
Nessuno dei presunti terroristi aveva costruito una bomba. Nessuno aveva comprato un biglietto aereo. Molti non possedevano neppure un passaporto, e se teniamo conto dell'efficienza dell'Ufficio Passaporti del Regno Unito questo significa che non avrebbero potuto compiere un attentato su un aereo per un bel po' di tempo.

In assenza di bombe e di biglietti aerei, e in molti casi di passaporti, potrebbe essere piuttosto difficile convincere una giuria oltre ogni ragionevole dubbio che questi individui intendevano mettere in pratica degli attentati suicidi, per quanto possano essersene vantati nelle chat in rete.

C'è dell'altro: molti degli arrestati erano sotto sorveglianza da più di un anno, come migliaia di altri musulmani britannici. E non solo musulmani. Come me. Da quella sorveglianza non era emerso niente che indicasse la necessità di un arresto.

Poi un interrogatorio condotto in Pakistan ha rivelato i dettagli di questo incredibile piano per far esplodere vari aerei, complotto che molto stranamente non era mai emerso in un anno di sorveglianza. Naturalmente gli uomini del dittatore pachistano hanno i loro metodi per farti cantare come un canarino. Come ho potuto vedere con i miei occhi in Uzbekistan, in questo modo si possono ottenere le più straordinarie informazioni. Il guaio è che le persone tendono a dire tutto quello che si vuole che dicano, e anche di più, nel tentativo disperato di far cessare o di evitare le torture. Quello che non si ottiene è la verità.

Il signore che è stato 'interrogato' era scappato dal Regno Unito perché ricercato per l'omicidio dello zio alcuni anni fa. Si potrebbe pensare che questo metta in dubbio la sua affidabilità. Si potrebbe pensare anche che in questi rapporti ci siano di mezzo fattori non esclusivamente politici. Si è anche parlato molto del trasferimento illecito di ingenti somme di denaro. Cosa non troppo insolita nella comunità musulmana britannica, e anche se si tratta di un'attività criminale ci sono molte possibilità che non abbia niente a che fare con il terrorismo.

E poi abbiamo Bush e Blair che nel finesettimana discutono dei possibili arresti. Perché? Penso che la risposta sia semplice. Entrambi alle prese con una situazione politica interna disperata, avevano bisogno di un 'altro 11 settembre'. Le informazioni dal Pakistan, per quanto dubbie, hanno fornito loro un nuovo 11 settembre da vendere ai mezzi di informazione. E i mezzi di informazione hanno comprato all'ingrosso tutta quella spazzatura.

Poi abbiamo la spaventosa propaganda politica di John Reid, il ministro degli interni, che ci ha messo in guardia contro il male spaventoso che ci minaccia e si è rammaricato del fatto che 'alcuni non comprendano' la necessità di abbandonare tutte le nostre tradizionali libertà. Poi, racconta la sua macchina propagandistica, è stato in piedi tutta la notte a dirigere gli arresti. Non poteva esserci prova più chiara del fatto che la nostra polizia è diventata un semplice strumento politico. Come in tutti i migliori regimi, i colpi alla porta sono arrivati nel cuore della notte, alle 2.30 del mattino. Tra gli arrestati c'era la madre di un neonato di sei settimane.

[...]

Non sapremo mai se qualcuno degli arrestati avrebbe poi costruito una bomba o comprato un biglietto aereo. La maggior parte di loro non rientra nel profilo psicologico del 'solitario' che ci si aspetterebbe - una ben piccola percentuale di terroristi suicidi ha matrimoni felici e figli piccoli. Visto che si trovavano tutti sotto sorveglianza, e sicuramente erano sulle liste di sicurezza degli aeroporti, non si sarebbero corsi molti rischi lasciando che maturassero di più le loro eventuali intenzioni; con l'IRA lo avremmo sicuramente fatto.

In tutto questo, la sola cosa di cui sono certo è che la scelta dei tempi è profondamente politica. Si tratta più di propaganda che di complotto. Degli oltre mille musulmani britannici arrestati in base alle leggi antiterrorismo, solo il 12% viene accusato formalmente di qualcosa. Si tratta quindi semplicemente di vessazione di musulmani, su vasta scala. L'80% degli accusati viene prosciolto. La maggior parte di coloro - pochissimi, solo più del 2% degli arrestati - che vengono incriminati non è accusata di terrorismo ma di reati di poco conto nei quali la polizia si è imbattuta setacciando le vite devastate di queste persone.

Siate scettici. Siate molto, molto scettici".

Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan
Ripreso da The Guardian

come al solito, grazie a Miru e Tlaxcala, rete di traduttori per la diversità linguistica.

...e intanto un giudice federale di Detroit,Anna Diggs Taylor, su ricorso dell'American Civil Liberties Union (Aclu), dichiara anticostituzionale il programma della National Security Agency (Nsa) e ne ha anche ordinato l'immediata interruzione. Ricordo che l'Nsa consentiva l'intercettazione segreta e senza mandato di un giudice , di telefonate e e-mail di cittadini americani, negli USA e all'estero.
Niente meglio del terrore per uccidere la libertà.
postato da la Parda Flora alle 11:35  

 

17 agosto 2006
Uri Grossmann
A Davìd Grossmann devo un essere che ho molto amato e purtroppo non c'è più: non potevo ignorare il suo lutto, al di là delle mie posizioni in politica estera, che sono fatti miei e basta. A Uri e Momik e al piccolo ulivo, che continui a crescere sul mio terrazzo.


GERUSALEMME - Mio caro Uri, sono ormai tre giorni che quasi ogni pensiero comincia con "non". Non verrà, non parleremo, non rideremo. Non ci sarà più questo ragazzo dallo sguardo ironico e dallo straordinario senso dell'umorismo. Non ci sarà il giovane uomo dalla saggezza molto più profonda di quella dei suoi anni, dal sorriso caloroso, dall'appetito sano. Non ci sarà quella rara combinazione di determinazione e delicatezza. Non ci saranno il suo buon senso e l'assennatezza del suo cuore.

Non ci sarà l'infinita tenerezza di Uri e la tranquillità con cui placava ogni tempesta, non vedremo insieme i Simpsons o Seinfeld, non ascolteremo con te Johnny Cash e non sentiremo il tuo abbraccio forte e rassicurante. Non ti vedremo camminare e parlare con Yonatan (il fratello maggiore ndr) gesticolando con foga, abbracciare Ruti (la sorella più piccola ndr), a cui volevi tanto bene.

Uri, amore mio, per tutta la tua breve vita abbiamo imparato da te. Dalla tua forza e dalla determinazione di seguire la tua strada, anche quando non avevi possibilità di riuscita. Abbiamo seguito stupefatti la tua lotta per essere ammesso al corso di comandanti di tank. Non ti sei arreso ai tuoi superiori, sapevi di poter essere un buon comandante e non eri disposto a dare meno di quanto potevi. E quando l'hai spuntata, ho pensato, ecco un ragazzo che conosce semplicemente e lucidamente le sue possibilità. Senza pretese, senza arroganza. Che non si lascia influenzare da quello che gli altri dicono di lui. Che trova la forza dentro di sé.
Sei stato così fin da piccolo. Vivevi in armonia con te stesso e con chi ti stava intorno. Sapevi qual era il tuo posto, eri consapevole di essere amato, conoscevi i tuoi limiti e le tue virtù. E davvero, dopo aver piegato l'intero esercito, ed essere stato nominato comandante, era chiaro che tipo di comandante e uomo eri. E oggi i tuoi amici e i tuoi subordinati raccontano del comandante e dell'amico, di quello che si alzava per primo per organizzare tutto e che si coricava solo dopo che gli altri già dormivano.

E ieri, a mezzanotte, ho guardato la casa, che era piuttosto in disordine dopo che centinaia di persone sono venute a farci visita, a consolarci, e ho detto, eh sì, adesso ci vorrebbe Uri per aiutare a sistemare.
Eri il "sinistroide" del tuo battaglione, ma eri rispettato, perché mantenevi le tue posizioni senza rinunciare ai tuoi doveri militari. Ricordo che mi hai raccontato della tua "politica dei posti di blocco", perché anche tu sei stato non poco ai posti di blocco. Dicevi che se c'era un bambino nell'auto che avevi fermato, innanzi tutto cercavi di tranquillizzarlo e di farlo ridere. E ricordavi a te stesso che quel bambino aveva più o meno l'età di Ruti e quanta paura aveva di te e quanto ti odiava, e a ragione. Eppure facevi di tutto per rendergli più facili quei momenti tremendi, compiendo al tempo stesso il tuo dovere, senza compromessi.
Quando sei partito per il Libano la mamma ha detto che la cosa che temeva di più era la tua "sindrome di Elifelet". Avevamo molta paura che, come l'Elifelet della canzone, anche tu saresti corso dritto in mezzo al fuoco per salvare un ferito, che saresti stato il primo a offrirti volontario per portare il rifornimento-di-munizioni-esaurite-da-tempo. E lassù, in Libano, in quella dura guerra, ti saresti comportato come hai fatto per tutta la vita, a casa, a scuola e durante il servizio militare, offrendoti di rinunciare a una licenza perché un altro soldato aveva più bisogno di te, o perché a casa di quell'altro c'era una situazione più difficile.

Eri per me figlio e amico. Ed era lo stesso per la mamma. La nostra anima è legata alla tua. Vivevi in pace con te stesso, eri una persona con cui è bello stare. Non sono nemmeno capace di dire ad alta voce quanto tu fossi per me qualcuno con cui correre. Ogni qualvolta arrivavi in licenza dicevi: vieni papà, parliamo. Di solito andavamo a un ristorante, a sedere e a parlare. Mi raccontavi così tanto, Uri, ed ero orgoglioso di avere l'onore di essere il tuo confidente, che uno come te avesse scelto me.

Ricordo quanto fossi indeciso una volta se punire un soldato in seguito a un'infrazione disciplinare. Quanto per te quella decisione fosse sofferta perché avrebbe scatenato la rabbia dei tuoi sottoposti e degli altri comandanti, molto più indulgenti di te riguardo a certe infrazioni. E infatti, punire quel soldato ti è costato molto da un punto di vista dei rapporti umani ma proprio quell'episodio si è trasformato in una delle storie cardinali dell'intero battaglione, che ha stabilito certe norme di comportamento e di rispetto delle regole. E nella tua ultima licenza mi hai raccontato, con timido orgoglio, che il comandante del battaglione, durante una conversazione con alcuni nuovi ufficiali, ha portato la tua decisione come esempio di un giusto comportamento del comandante.

Hai illuminato la nostra vita, Uri. Io e la mamma ti abbiamo cresciuto con amore. Era così facile volerti bene, con tutto il cuore, e so che anche tu sei stato bene. Che la tua breve vita è stata bella. Spero di essere stato un padre degno di un figlio come te. Ma so che essere il figlio di Michal (la moglie di David Grossman ndr) vuol dire crescere con generosità, grazia e amore infiniti, e tu hai ricevuto tutto questo. Lo hai ricevuto in abbondanza, e hai saputo apprezzarlo, hai saputo ringraziare, e niente di quello che hai ricevuto era scontato per te.

In questo momento non dico nulla della guerra in cui sei rimasto ucciso. Noi, la nostra famiglia, l'abbiamo già persa. Israele ora si farà un esame di coscienza, noi ci chiuderemo nel nostro dolore, attorniati dai nostri buoni amici, circondati dall'amore immenso di tanta gente, che per la maggior parte non conosciamo, e che io ringrazio per l'illimitato sostegno.
Vorrei che sapessimo dare gli uni agli altri questo amore e questa solidarietà anche in altri momenti. È forse questa la nostra risorsa nazionale più particolare. Vorrei che potessimo essere più sensibili gli uni nei confronti degli altri. Che potessimo salvare noi stessi ora, proprio all'ultimo momento, perché ci attendono tempi durissimi.

Vorrei dire ancora qualche parola.
Uri era un ragazzo molto israeliano. Anche il suo nome è molto israeliano, ebreo. Uri era il compendio dell'israelianità come io la vorrei vedere. Un'israelianità ormai quasi dimenticata. Spesso considerata alla stregua di una curiosità. Talvolta, guardandolo, pensavo che fosse un ragazzo un po' anacronistico. Lui e Yonatan e Ruti. Bambini degli anni cinquanta. Uri, con la sua totale onestà e il suo assumersi la responsabilità per tutto quello che gli succedeva intorno. Uri sempre in "prima fila", su cui poter contare. Uri con la sua profonda sensibilità verso ogni sofferenza, ogni torto. E capace di compassione. Una parola che mi faceva pensare a lui ogni qualvolta mi veniva in mente.

Era un ragazzo con dei valori, parola molto logorata e schernita negli ultimi anni. Nel nostro mondo a pezzi e crudele e cinico non è "tosto" avere dei valori. O essere umani. O sensibili al malessere del prossimo, anche se quel prossimo è il tuo nemico sul campo di battaglia.

Ma io ho imparato da Uri che si può e si deve essere sia l'uno che l'altro. Che dobbiamo difendere noi stessi e la nostra anima. Insistere a preservarla dalla tentazione della forza e da pensieri semplicistici, dalla deturpazione del cinismo, dalla volgarità del cuore e dal disprezzo degli altri, che sono la vera, grande maledizione di chi vive in una area di tragedia come la nostra.
Uri aveva semplicemente il coraggio di essere se stesso, sempre, in ogni situazione, di trovare la sua voce precisa in tutto ciò che diceva e faceva, ed era questo a proteggerlo dalla contaminazione, dalla deturpazione e dal degrado dell'anima.
Uri era anche un ragazzo buffo, incredibilmente divertente e sagace ed è impossibile parlare di lui senza riportare alcune sue "trovate". Per esempio, quando aveva tredici anni, gli dissi: immagina che tu e i tuoi figli un giorno potrete recarvi nello spazio come oggi si va in Europa. E lui rispose sorridendo: "Lo spazio non mi attira molto, si può trovare tutto sulla terra".

O un'altra volta, mentre viaggiavamo in automobile, io e Michal parlavamo di un nuovo libro che aveva suscitato molto interesse e nominavamo scrittori e critici. Uri, che allora aveva nove anni, ci richiamò dal sedile posteriore: "Ehi, voi, elitisti, vi prego di notare che qui dietro c'è un piccolo sempliciotto che non capisce niente di quello che dite!".

O per esempio Uri, a cui piacevano molto i fichi, con un fico secco in mano: "Dì un po', i fichi secchi sono quelli che hanno commesso peccato nella loro vita precedente?". O ancora, una volta che ero indeciso se accettare un invito in Giappone: "Come puoi non andare? Sai cosa vuol dire essere nell'unico Paese in cui non ci sono turisti giapponesi?"
Cari amici, nella notte tra sabato e domenica, alle tre meno venti, hanno suonato alla nostra porta. Al citofono hanno detto di essere "gli ufficiali civici". Sono andato ad aprire e ho pensato, ecco, la vita è finita.
Ma cinque ore dopo, quando io e Michal siamo entrati nella camera di Ruti e l'abbiamo svegliata per darle la terribile notizia, Ruti, dopo il primo pianto, ha detto: "Ma noi vivremo, vero? Vivremo come prima. Io voglio continuare a cantare nel coro, a ridere come sempre, a imparare a suonare la chitarra." Noi l'abbiamo abbracciata e le abbiamo detto che vivremo. E Ruti ha anche detto: che terzetto stupendo eravamo, Yonatan, Uri e io.

E siete davvero stupendi. E anche le coppie all'interno del terzetto. Yonatan, tu e Uri non eravate solo fratelli ma amici, nel cuore e nell'anima. Avevate un mondo vostro e un vostro linguaggio privato e un vostro senso dell'umorismo. Ruti, Uri ti voleva un bene dell'anima. Con quanta tenerezza si rivolgeva a te. Ricordo la sua ultima telefonata, dopo aver espresso la sua felicità per la proclamazione all'Onu del cessate il fuoco, ha insistito per parlare con te. E tu hai pianto, dopo. Come se già sapessi.

La nostra vita non è finita. Abbiamo solo subito un colpo durissimo. Troveremo la forza per sopportarlo dentro di noi, nel nostro stare insieme, io, Michal e i nostri figli e anche il nonno e le nonne, che amavano Uri con tutto il cuore - "Neshuma", lo chiamavano, perché era tutto Neshamà, anima - e gli zii e i cugini e tutti i numerosi amici della scuola e dell'esercito che ci seguono con apprensione e affetto.
E troveremo la forza anche in Uri. Aveva forze che ci basteranno per tantissimi anni. La luce che proiettava - di vita, di vigore, di innocenza e di amore - era tanto intensa che continuerà a illuminarci anche dopo che l'astro che la produceva si è spento.
Amore nostro, abbiamo avuto il grande privilegio di stare con te. Grazie per ogni momento che sei stato con noi.

Papà, mamma, Yonatan e Ruti.

(La Repubblica 17 agosto 2006)
postato da la Parda Flora alle 17:28  

 

16 agosto 2006
Doctor Faustus
Lei non sa, Maître, quanto sia tedesca la sua ripugnanza che, se lei mi concedesse di parlare en psychologue, si compone di superbia e di pentimento di infermità, di disprezzo e di paura e direi quasi di risentimento della serietà contro il salotto del mondo. Vede, io sono ebreo, deve sapere: Fitelberg è un nome spiccatamente giudeo. Io ho in corpo l’Antico Testamento, e questo è un fatto non meno serio del germanesimo. In fondo esso crea poca disposizione per il territorio della valse brillante. E’ vero che, secondo un pregiudizio tedesco, la serietà esiste solo in Germania, mentre fuori non c’è che valse brillante; oppure da ebreo sono profondamente scettico di fronte al mondo e favorevole al germanesimo. a rischio di essere preso a pedate per la mia simpatia. Essere tedesco significa sopra tutto essere popolare: e chi vorrebbe credere alla “popolarità” di un ebreo? Non solo non gli si crederebbe, ma gli si darebbero due lattoni sulla testa se avesse l’improntitudine di farne il tentativo. Noi ebrei abbiamo tutto da temere dal carattere tedesco, qui est essentiallment anti- sémitique, motivo naturalmente sufficiente per noi di attenerci al mondo per il quale organizziamo divertimenti o spettacoli, senza per questo essere avventati o sciocchi. Noi sappiamo benissimo distinguere fra il Faust di Gounod e quello di Goethe, anche se parliamo francese... (...) Anche Massenet è affascinante, lui aussi.. Dev’esser stato particolarmente delizioso da pedagogo, quando era professore al Conservatorio. Si sa, gli aneddoti non mancano. Fin da principio spingeva i suoi allievi alla composizione indipendente senza vedere se la loro capacità tecnica era sufficiente a comporre una frase senza errori. Umano, vero? tedesco non è, ma umano sì. Un giovane andò da lui con una canzone composta di fresco: fresca e non priva d’ingegno. Tiens! disse Massenet E’ veramente carina. Di un po’, tu hai già una cara amichetta, vero? Vai a suonargliela, le piacerà di sicuro. Il resto verrà poi da sé.Non si sa veramente cosa si deva intendere per quel resto, probabilmente tutte le cose possibili in fatto di amore e di arte. Lei, Maître, ha qualche discepolo? Costoro non si troverebbero certo così bene. Ma discepoli lei non ne ha. Bruckner ne aveva. Fin dall’inizio aveva dovuto lottare con la musica e con le sue sacre difficoltà, come Giacobbe con l’angelo, e la sua stessa cosa pretendeva dai suoi studenti. Per anni e anni dovevano esercitare il sacro mestiere, studiare gli elementi dell’armonia e della composizione severa prima che fosse loro concesso di cantare una canzone, e quella pedagogia musicale non aveva neanche il più piccolo rapporto con le care amichette. Uno può avere un'anima semplice, infantile, ma la musica è la più misteriosa rivelazione di sublime conoscenza, un servizio divino, e la professione di maestro di musica è una professione sacerdotale... - Comme c’est respectable! Pas précisemente humain, mais extrèmement réspectable. E noi ebrei, che siamo un popolo sacerdotale, anche se facciamo i leziosi nei salotti parigini, non dovremmo sentirci attratti vero lo spirito germanico e lasciare che questo stimoli in noi l’ironia contro il mondo e contro l’arte dedicata alla piccola amica? Per noi la popolarità sarebbe un’impudenza da provocare un pogròm. Noi siamo internazionali, ma siamo filotedeschi, lo siamo come nessun altro al mondo, non foss’altro perché non possiamo fare a meno di notare quanto siano affini su questa terra le sorti del germanesimo e dell’ebraismo. Une analogie frappante... L’uno e l’altro sono ugualmente odiati, disprezzati invidiati, allontananti e allontanati. Si parla del secolo del nazionalismo. In realtà esistono però due soli nazionalismi: quello tedesco e quello ebraico; tutti gli altri sono giochetti in confronto a questi, allo stesso modo che il profondo spirito francese di un Anatole France è pura mondanità di fronte alla solitudine tedesca e alla prosopopea ebraica di credersi il popolo eletto... France è un nom de guerre nazionalistico. Uno scrittore tedesco non potrebbe mai chiamarsi “Deutschland”: Questo è il nome che si dà tutt’al più a una nave da guerra. Dovrebbe accontentarsi di “Deutsch”, ed eccoti che avrebbe un cognome ebreo...- oh, là là!... - Cari signori, questa è davvero la maniglia e sono già fuori della porta. Dico ancora una cosa sola: i tedeschi dovrebbero lasciare agli ebrei di essere filotedeschi. Col loro nazionalismo, con la loro superbia, col baco dell’incomparabilità, con la loro avversione a essere inquadrati ed equiparati, col loro rifiuto di farsi introdurre nel mondo e di aggregarsi alla società provocheranno la loro sventura, una sventura veramente ebraica, je le vous jure. I tedeschi dovrebbero permettere all’ebreo di farsi mediatore fra loro e la società, di fare il manager, l’impresario del germanesimo. Egli è veramente l’uomo adatto per farlo; non bisognerebbe cacciarlo fuori dalla porta poiché è internazionale e filotedesco... Mais c’est en vain. Et c’est très dommage!
Ma che sto a parlare? Sono via di un pezzo. Cher Maître… je suis enchanté. J’ai manqué ma mission, ma sono entusiasta. Mes réspects, monsieur le professeur. Vous m’avez assisté trop peu, mais je ne vous en veux pas.: Mille choses à Madame Schweige-still. Adieu, adieu…

Thomas Mann

prima edizione Stoccolma, 1947

Etichette:

postato da la Parda Flora alle 16:55  

 

   Chi Sono
   Post Precedenti
   Archivi
   Links

Da "Tango Lesson" di Sally Potter

Vamos a lo de la Parda Flora! 

Esmeralda



Le mie ragazze: Malafemmina

Le mie ragazze: Etta

Le mie ragazze: Anna

Le mie ragazze: Esmeralda

Le mie ragazze: Marisa