19 agosto 2006
Il diavoletto della Tebaide
Credo che porre le opere malvagie (e di questi tempi non ne mancano certo) come frutto del maligno abbia parecchie ricadute, teologiche e non, rischiose assai: crea un alibi ai "deboli", deresponsabilizzandoli, ne rosicchia parecchio il libero arbitrio e, infine, ammette l'esistenza di una Entità così potente da tener testa al bene che comunque per lo meno se ne frega - o non sente i lamenti o finge di non sentirli. (ed ecco riapparire un pochino di pensiero gnostico).
Una curiosità metaforica: quando in informatica riesci a introdurre un programma pirata che ti consenta il controllo dell'altro Pc, esso viene chiamato demone, e il meccanismo che utilizza per sfuggire alla sua individuazione, cattura e distruzione funziona come uno specchio per l'utente. Risponde infatti ad ogni domanda con una domanda logica che in realtà comprende una risposta che fornirà materiale per la prossima domanda e così via all'infinito. La scelta del nome di questa categoria di programmi intrusivi mi ha sempre affascinato, e testimonia che la concezione del demonio vi è ancora, si è solo adatta, evoluta, rinfrescato il look. Il demone del pc infatti esiste (é un programma scritto) e provoca danni veri. Ruba dati, crea malfunzionamenti del pc etc. Eppure, per distruggere un demone informatico basterebbe rispondergli in una lingua diversa o in un linguaggio informatico diverso da quello usato dall'"invasore"... un po' come, al contrario, il diavolo tenta di ingannare Cristo facendolo proprio. Temo di aver sproloquiato, ma vorrei ricordare un delizioso racconto di Hesse dedicato a un diavoletto della Tebaide, al tempo dei Padri della Chiesa, quando le creature pagane sono cacciate sempre più a fondo nel deserto. Ma il diavoletto è curioso, vede un santo eremita e lo spia, ne spia la frugalità di vita, vede con stupore il corvo che gli porta il cibo ogni giorno e decide di fermarsi accanto a quell’uomo misterioso. Si trova una grotta e inizia a imitare i gesti e le preghiere dell’eremita, anche se non li comprende.
Passano gli anni e per l'eremita giunge l’ora di ricongiungersi a Dio. E il Diavoletto? Triste e disperato, non sapeva che quella sua fede, cieca e totale, tanto da indurlo a votarsi a un Dio del quale non conosce neppure il nome, lo ha salvato, facendogli seguire ancora una volta l’eremita anche nell’altra vita.
Ecco, ho sempre preferito questo diavoletto all’eremita, e forse mi ha insegnato più cose lui del suo santo.
postato da la Parda Flora alle 10:17  

 

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