11 settembre 2008
9.11.2001
Potrei cercarli io, ma così faccio prima...con un piccolo furto...

Per il resto - no comment, se non per pensare che, ammesso ne avessimo avuta una, fra le cose perse per sempre, da tutti, in questi anni , c'è di certo l'innocenza.

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09 settembre 2008
"buena Vista" spy social network ...magari partecipa anche SUPER PIPPO.
Chissà il mondo come prenderà l’incredibile notizia del neonato social network fra intelligences USA per meglio combattere il terrorismo internazionale dopo l’esperienza dell’11 settembre (2001! faccio notare ai distratti che siamo a fine 2008 - alla faccia della burocrazia, se il problema è stato quello).

Secondo me, uno normale, oltre a essere giustamente sconvolto dal fatto che ne esitano circa una quindicina, di servizi segreti americani, visto che ognuno ha il suo: l’FBI ha il suo, la marina ha il suo, l’aviazione ha il suo, la DEA ha il suo,immagino che persino i rangers dello Yellowstone National Park ne abbiano uno, la Cia non ne parliamo, etc etc etc.... si stupirebbe che non abbiano pensato un po’ prima a una mossa così astuta, imprevedibile e geniale come coordinarsi e condividere informazioni - per dire, lo fanno col Mossad, e con la NSA no? ma per favore...
insomma, più tempestivi di Fratel Coniglietto, e più astuti di Sorella Volpe, potremmo dire, ma chi sono io per giudicare queste menti eccelse?

Comunque la notizia a me è parsa così cretina che non so ancora se giudicarla proprio per questo vera (mai sottovalutare il cretino), o così cretina da essere una solenne bufala (e intanto qualche bravo travet di Langley segnalerà, con Echelon: in Europa c’è un codice per Cia, Mossad e terrorismo, signore - che emozione! monitoreranno questo post, mentre noi discutiamo ancora sulla privacy del nipote di Prodi!).
Comunque, anche se è vero che hacker che sostengono di aver violato Lan di enti governativi americani ce n’è parecchi, ma hacker lo abbiano fatto davvero, secondo quello che in questo momento è tra i due o tre hacker più bravi al mondo, è tutt’altro paio di maniche (anche perché per la prima elementare legge della sicurezza, i dati che vuoi davvero sicuri non li metti di certo su un pc connesso in Rete: ma non se sei la Cia, manco se sei la Coca Cola, che abbiamo visto la loro formula segreta come se la nascondono bene, altro che network internet...), resto comunque affascinata dalla genialata che d’ora in poi, tutte le spie americane comunicheranno (con dei fire wall alti settanta metri, mi auguro)
:-P
ma comunque comunicheranno via internet. O sono davvero scemi, e pensano che ce la beviamo, o sono davvero scemi e lo faranno davvero.
Comunque sia, sono scemi, e pensare che il destino del mondo è in mano a questa gente è realmente inquietante.
Bourne, aiutooooo!

f.

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08 settembre 2008
Lettere da Iwo Jima
Non so bene perché, ma finisco sempre per vedere film di guerra o di spionaggio. Se accade a qualche altra signora, mi divertirebbe scambiare opinioni e confidenze - come dire: a volte non ne posso proprio più, soprattutto per tutta la sofferenza che vedo esposta e non può lasciarmi indifferente: son l’unica?

Di recente mi sono riassaporata il duplice film di Clint Eastwood del 2006, che come regista più invecchia e più gli voglio bene, accidentaccio! perché è proprio bravo, indipendentemente dalle opinioni politiche che ha o che gli vengono attribuite, soprattutto con Lettere da Iwo Jima, che si rifà al reale ritrovamento nel 1995 delle lettere, scritte ma mai spedite, degli eroici soldati giapponesi che difesero come fosse il giardino della patria, questo schifoso, arido e polveroso angolo vulcanico dell’arcipelago giapponese, che tanti morti costerà a entrambe le parti in causa, e spesso cedendo alla passione per il fanatismo che forse, al di là dell’apparente creazione di un esercito proprio per questo quasi imbattibile, mostra anche le follie e i punti deboli di questo tipo di scelta culturale e quindi il suo destino finale di fallimento - solo accelerato dall’orrore di Hiroshima (6 agosto 1945) - mentalità che in qualche modo, non ci illudiamo, appartenne anche alla nostra cultura, ma a quella di quasi mille anni fa. Insomma, se aguzziamo lo sguardo, abbiamo l’occasione rara di vedere un esercito medievale scontrarsi, col il suo senso dell’onore e della guerra, con un esercito del XX secolo: cosa non da poco.. E’ anche interessante ricordare come in fondo, della guerra del Pacifico che fu così aspra per gli Usa, noi concentrati sui maledetti guai del D-Day, delle Ardenne, di Bastogne, della necessità di aprire un fronte occidentale per alleggerire la pressione pluriennale dell’assedio su Stalingrado, dalla necessità di giungere a Berlino, non è in genere che ci si pensi (almeno che io abbia riscontrato) granché. Anche se fu certamente lì che gli USA pagarono il prezzo più alto - “per riportare tutti i ragazzi a casa!” (Franklin Delano Roosevelt).

Mia figlia, appassionata come tanti giovani, di manga e sicuramente di cibo giapponese (il cibo giapponese è indiscutibilmente quanto, con buon pace dei bravi cristiani - ma forse i gesuiti in Giappone, duramente condannati dal papa nel XVI secolo per il rispetto e l’attenzione riservati alla cultura giapponese e a come poterla in qualche maniera onorevole avvicinare a quella cristiana, mi avrebbero capito - è quanto si avvicini di più nella mia esperienza di vita a una emozione mistica), mi ha raccontato una cosa: quando suona la campana che annuncia, a Capodanno, l’arrivo del nuovo anno, i giapponesi si recano a pregare in un tempio. Un tempio qualsiasi, indipendentemente dalla loro fede, non importa se scintoista (ancora la religione più diffusa) oppure buddista o animista o altro. Questo è irrilevante: ciò che conta è il rito da rispettare. E questo dal suo punto di vista era splendido, mentre io vi vedo solo il declino di una cultura priva ormai di veri punti “forti” di riferimento. E me lo raccontava infatti come questo non fosse quello che a me appare un chiaro segno di decadenza di un popolo che non sa più, dopo lo sconquasso culturale profondo creato dalla seconda Guerra mondiale, trovare qualcosa di prima mano nel quale credere realmente, che è già di per sé quello che fa realmente la differenza fra un popolo e un’accozzaglia mista di esseri umani vari ed eventuali.... o, come se questo fosse un segno di tolleranza, concetto che sbaglierò, ma credo culturalmente assai diverso dal senso che noi diamo a questo termine. E la cosa con la battaglia di Iwo Jima c’entra eccome, visto quanto il senso dell’onore guerriero e il culto per l’impero vi sono ancora fortemente vivi.
Per questo, nell’azione degli ufficiali che difendono al di là del prevedibile l’isola di Iwo Jima, primo lembo di territorio autenticamente giapponese messo in pericolo, passando dalla decisone onorevole di suicidarsi per punire il proprio fallimento militare nel non riuscire a mantenere le posizioni strategiche assegnate loro, sino all’ordine disperato del generale Kuribayashi, che saggiamente ricorda che ogni soldato vivo, pur se ha ripiegato abbandonando posizioni non più sostenibili (“Siete stati bravi!” dirà sinceramente ai pochi soldati sopravvissuti che lo raggiungeranno, secondo un suo sensato ordine messo in discussione dagli ufficiali suoi subalterni ancora acriticamente impregnati da un senso dell’onore guerriero che, sospetto, avrebbe incantato Yukio Mishima!), è pur sempre un soldato che continua a combattere, ed è immensamente meglio di un soldato morto per rispettare il proprio senso dell’onore - il che pare di capire appartiene sincretisticamente alla mentalità americana militare e strategica che Kuribayashi ha conosciuta ed esaminata con attenzione intelligente un pochino più in gioventù e ne è stata chiaramente contaminato, è meglio dirlo chiaramente, almeno nell’opinione di Eastwood, incrinando quell’”auto-ipnosi” ossessiva, pericolosissima per l’onore e la tradizione a tutti i costi, che acriticamente conducono larga parte dell'eercito e della marina giapponesi all’auto-annientamento. Sterile e inutile, ma così corrispondente all’allora Giappone ancora così medievale, da farci provare un brivido a metà fra ammirazione e rabbia, per tanto spreco di vita umana!
E la via scelta dal regista per farci comprendere che forse, il nemico siamo noi, e viceversa, e senza poi quelle grandi differenze che ci vorrebbero fra credere, persino con una cultura così differente come quella giapponese, genialmente, è raffigurata da semplici parole: quelle di una madre americana nella lettera al proprio figlio combattente, caduto prigioniero e curato inutilmente dai giapponesi. Parole esattamente uguali a quelle del barone Nishi, che col suo amato cavallo ha partecipato alle Olimpiadi in California ed è intelligente e acuto luogotenente del generale Kuribayashi, uno fra i pochi a capirne l'intelligenza emotiva, otre che strategica, segno di tempi nuovi che sia pur con fatica, si affacciano all'orizzonte del mondo, sceglie per accomiatarsi, ormai spacciato, dai suoi uomini: “Fai sempre e solo quello che è giusto, perché senti che è giusto, e non perché ti dicono che è giusto!”
Quale miglior viatico per affrontare guerre per chi sempre più, e soprattutto ai giorni nostri, che guerre ancora ne vivono con apparente indifferenza dovuta all’abitudine, così tante, pare aver confuso irrimediabilmente il confine che separa giusto e ingiusto?
E se vi va, vi auguro buona visione.

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