15 settembre 2006 |
Cose di Lèon |
Il dato più esilarante fu l’aplomb della cosa. Nel mio locale gira davvero gente strana, eh... Stralcio di conversazione:
...poi, sai com’è, dopo un po’ che ero lì, scoprirono che ero asmatico e allora, dal servizio attivo mi passarono dietro una scrivania. Ed eri ...(gesto vago con la testa verso occidente)? No, no, scherzi: Timor Est.
(nb. all’epoca, gli indonesiani scorazzavano ancora liberi e allegri a scannar gente, in attesa dell’indipendenza. Anche un certo numero di italiani “non” ci andarono, in quegli anni, per vedere di salvare il salvabile - essenzialmente i civili dalle brigate della morte, così tristemente diffuse in tutti gli stati che cercano la libertà politica. Ma chi manco sa che Timor Est - l’isola delle teste mozzate, com’era soprannominata - esiste?)
Per niente facili uomini così poco allineati li puoi chiamare ai numeri di ieri se nella notte non li avranno cambiati
Per niente facili uomini sempre poco allineati li puoi pensare nelle strade di ieri se non saranno rientrati
Sarà possibile sì incontrarli in aereo avranno mani e avranno faccia di chi non fa per niente sul serio
Perché l'America cosí come Roma gli fa paura e il Medio-Oriente che qui da noi non riscuote nessuna fortuna
Sarà la musica che gira intorno quella che non ha futuro Sarà la musica che gira intorno saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro.
Ma uno che tiene i suoi anni al guinzaglio e che si ferma ancora ad ogni lampione o fa una musica senza futuro o non ha capito mai nessuna lezione
Sará che l'anima della gente funziona dappertutto come qui Sarà che l'anima della gente Non ha imparato a dire ancora un solo sì
Sarà la musica che gira intorno quella che non ha futuro Sarà la musica che gira intorno saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro.
Per niente facili uomini sempre poco allineati li puoi chiamare ai numeri di ieri se nella notte non li avranno cambiati
Per niente facili uomini sempre poco affezionati li puoi tenere fra i pensieri di ieri se non ci avranno scordati
Sarà la musica che gira intorno quella che non ha futuro Sarà la musica che gira intorno saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro.
Al solito, chi sa, capisce, e gli altri, beh, girano ancora: intorno funziona dappertutto come qui e non hanno ancora imparato a dire un solo si. ;-) (Son divertenti le canzoni a scatola cinese, che pare vogliano dire una cosa, e invece parlano di tutt'altro. Un po' come Aida di Gaetano: quanti capirono davvero quella canzone?) |
postato da la Parda Flora
alle 10:09
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14 settembre 2006 |
Sette |
In realtà, il Ministro degli Esteri inglese, il laburista Bevin, irritato dalle prese di posizione di Truman, avevano tentato di coinvolgere negli affari Palestinesi gli americani, tanto che nell’inverno 1945/46 una commissione congiunta si era recata ad esaminare le condizioni economiche, politiche e sociali della Palestina in relazione ai problemi dell’insediamento e dell’immigrazione degli ebrei nel paese e al benessere del popolo che attualmente vi viveva. Tale commissione doveva essere super partes, ma Truman fece in modo che tre dei suoi delegati fossero filo sionisti... I lavori della Commissione furono lunghi e coscienziosi, e in Medio Oriente compresero colloqui con l’Agenzia ebraica, il governo mandatario e l’Alto comitato arabo. I risultati si ebbero nel maggio 1946: 100 000 ebrei dei campi europei avrebbero dovuto essere ammessi in Palestina, anche se solo due membri, i filo sionisti McDonald e Crum, erano disposti ad accettare che lo stato ebraico si formasse con la spartizione, mentre tutti i loro colleghi ritenevano questa una soluzione che avrebbe aggravato la situazione. Per loro la Palestina, Terra santa, non doveva diventare né uno stato ebraico,né uno stato arabo, dato che la spartizione era impraticabile, ma questa “terra speciale” doveva continuare ad esser governata da una trusteeship, cioè da una amministrazione fiduciaria. Insomma, un risultato in grado di scontentare tutti. Nell’estate del 1946, inoltre, Bevin pretese da Truman due divisioni di truppe per contenere i tumulti arabi all’arrivo dei 100 mila profughi ebrei, ma i capi di stato maggiore americano negarono la disponibilità di tali truppe. Nel luglio, il primo ministro britannico Morrison si accordò con lo statunitense Grady (piano Morrison-Grady) per la creazione di province arabe ed ebraiche autonome, sotto la perdurante amministrazione fiduciaria: troppo poche per le aspettative sioniste, e dopo una serie di incontri tumultuosi, il 7 agosto Truman telegrafò a Londra il suo rifiuto. La posizione del protettorato britannico era sempre più fragile, non solo sul piano diplomatico, ma anche su quello militare. Gli inglesi pensarono di reagire isolando Tel Aviv e le principali aree ebraiche di Gerusalemme e Haifa (operazione Agata), catturando i leader dell’Agenzia, con l’eccezione di Ben Gurion che si trovava a Parigi. La risposta dell’Hagana non si fece attendere, con l’attacco il 22 luglio, al quartier generale del governo britannico che aveva sede presso l’hotel King David di Gerusalemme. Una intera ala dell'hotel crollò e vi furono 90 morti, nonostante l'anziano statista Wiezman, che ancora riponeva speranze nella diplomazia inglese, si fosse opposto a tale azione. Alla quale parteciparono invece il clandestino Sneh con l’Irgun (dal quale poi si dimise), e Begin. L’attentato convinse gli inglesi che era più che mai necessario trovare una soluzione politica alla questione ebraica. Tuttavia gli arabi, guidati da Jamal Husseini, rifiutavano dal 1937 l’idea di una spartizione, sostenuti in ciò da Bevin. Meno coerenti al riguardo i sionisti, divisi fra chi la consideravano l’unica possibilità realista e chi la viveve invece come l’infrangersi di un sogno. Tanto che a Parigi, l’Agenzia ebraica vota, ma non unanimemente, di abbandonare il piano del Biltmore (che prevedeva i diritti degli ebrei su tutta la Palestina) per lavorare a una spartizione per la definizione di uno stato ebraico in una area adatta della Palestina, seguita in ciò dagli USA, che si avvicinano alle nuove elezioni (novembre) Così, il 4 ottobre Truman, incapace di sbloccare i famosi 100 mila certificati d’immigrazione, fece la cosiddetta dichiarazione di Yom Kippur, annunciando il sostegno americano alla suddivisione come miglior soluzione, “impegnando così gli Stati Uniti alla costituzione dello stato ebraico e alla spartizione come metodo più adatto a realizzarlo” (Fraser, 1989). Ma quale poteva esser questa “zona adatta della Palestina?” Sia Ben Gurion sia gli inglesi appaiono avere idee poco chiare al riguardo, così, dopo l’ennesimo fallimento di una mediazione, nel febbraio del 1947, il problema viene deferito alla Nazioni Unite.Etichette: storia |
postato da la Parda Flora
alle 00:36
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13 settembre 2006 |
Jack is back! |
E noi, bucanieri, gentiluomini di fortuna e pirati, lo aspettavamo! L'unico film, con "L'ultimo dei Mohicani" di Michael Mann, che mi abbia saputo ridare il sapore dell'infanzia, di quando giocavo agli indiani con un fortino costruito con la legna per il camino, e i pirati percorrevano tutti gli oceani, perché una nave non è solo una chiglia, è anche libertà. Poi da grande scoprii di soffrire il mal di mare, e la mia carriera deviò verso altri destini, ma Jack è mitico, anche se come prevedibile, il primo film era migliore, pur se si può sperare in una evoluzione a spese di Orlando Bloom, il cui unico vero elemento di fascino erano le orecchie a punta. Parola di Parda! ;-)
"Può darsi che nella rara occasione in cui per seguire la giusta rotta sia necessario un atto di pirateria, la pirateria stessa sia la giusta rotta."
(e, satanasso, 666 hanno visualizzato il mio profilo: che sia un segno? :DDDD ) |
postato da la Parda Flora
alle 00:18
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12 settembre 2006 |
Brutti caratteri |
Beethoven dunque, ci fu detto, era in fama di non saper scrivere una fuga, e ora si trattava di veder fin dove questa maldicenza colpisse nel segno. Più volte aveva inserito fughe nella sua musica per pianoforte, e precisamente fughe a tre voci ma (...) sapeva benissimo le regole contro le quali operava.(...) Certo erano poi venute la grande Ouverture fugata dell’op. 124, erano venute le maestose fughe del Gloria e del Credo nella Messa solenne: a riprova dunque, nonostante tutto, che anche nella battaglia con quest’angelo il grande lottatore era rimasto vittorioso, per quanto ne fosse uscito sciancato. Kretzschmar ci raccontò un aneddoto raccapricciante che ci diede un’idea paurosa e incancellabile della sacra gravità di quella battaglia e della personalità del tormentato creatore. Fu nel 1819, al colmo dell’estate, quando Beethoven nel suo ritiro di Mödling lavorava alla Messa, disperato che tutti i tempi riuscissero più lunghi del previsto, cosicché sarebbe stato impossibile finirla entro il termine stabilito, cioè per il giorno di marzo dell’anno successivo in cui l’arciduca Rodolfo doveva essere consacrato arcivescovo di Olmütz - fu allora che, un pomeriggio, due amici e seguaci andarono dal maestro e, appena entrati in casa, trovarono gravissime novità. Quella stessa mattina le sue domestiche se n’erano andate perché la notte precedente verso l’una c’era stata una scena furiosa che aveva fatto balzare dal sonno tutta la casa. Fino a tarda notte il padrone aveva lavorato al Credo, al Credo con la fuga, e non aveva voluto saperne della cena pronta sul focolare presso il quale le fantesche, in vana attesa e sopraffatte dalla natura, si erano finalmente appisolate. Quando fra le dodici e la una andò a chiedere da mangiare e trovò le domestiche addormentate e i cibi rinsecchiti e carbonizzati, il maestro fu preso da una collera violenta che sfogò senza riguardi per l’ora notturna, tanto più ch’egli stesso non udiva il proprio strepito. - Non potete vegliare un’ora con me? - andava ripetendo con voce tonante. Ma le ore erano state cinque, sei e sul far dell’alba le povere ragazze mortificate avevano preso il largo abbandonando a se stesso quel padrone bisbetico e sgarbato; e così egli era rimasto anche senza colazione, e non aveva mangiato nulla dal mezzogiorno precedente. In compenso, lavorava nella sua camera al Credo, al Credo con la fuga - e attraverso la porta chiusa i discepoli udivano come lavorava. Il sordo cantava, gridava, pestava su quel Credo - ed era una cosa tanto commovente e terribile che quei due si sentirono gelare il sangue nelle vene. Ma nel momento nel quale intimoriti stavano per allontanarsi, la porta si spalancò all’improvviso e Beethoven comparve sulla soglia - in quale atteggiamento? Nel più spaventoso! Con gli abiti negletti, i lineamenti così stralunati da incutere terrore, gli occhi penetranti, folli, assenti, li fissò dando l’impressione di essere uscito da una lotta per la vita e per la morte con tutti gli spiriti avversi del contrappunto. Sulle prime balbettò frasi sconclusionate, poi cominciò a lagnarsi e a imprecare contro quell’andazzo di casa sua, perché tutti scappavano e lo lasciavano patir la fame. Quelli tentarono di rabbonirlo, uno di loro lo aiutò a vestirsi, l’altro corse alla trattoria per far preparare un pasto ristoratore... La Messa fu compiuta solo tre anni dopo.
Dal capitolo VIII del Doctor Faustus di Thomas Mann
Akuaduulza akuaduulza ma de un duulz che nissoen el voe beev Acqua stràca e acqua sgunfia sciùscia i remuj e i gaamb di fiulìtt… Lavandèra in soe la riva cul tò ass per pugià giò i genoecc El savòn e la camìsa, sfrèga i pàgn e’l riflèss di muntàgn E quest’unda vagabunda l’è una lèngua che bagna i paròll, lèngua che rànza e lèngua redùnda, prema l’è timida e poe sbròfa tucc…
Akuaduulza akuaduulza troppa vòlta per fàss carezzà Acqua ciàra o spurcelènta, tropa vègia per tràss foe i mudaand, suta el ventru de ogni barca e sura la cràpa de ogni sàss sura el rusàri de ogni memoria…ma sura de te resterà nissoen pàss.. gnanca el suu che te frusta la schèna o la loena che pucia giò i pee, gnanca la spada de ogni tempesta riussirànn a lassàtt un disègn…
Akuaduulza akuaduulza acqua che scàpa e che poe turna indree Acqua vedru e acqua perla prunta per tucc ma che spècia nissoen Gh’èmm una fàcia de tartaruuga e gh’èmm una fàcia de pèss in carpiòn Gh’èmm una fàcia che paar roba tua e urmai te vedum senza vardàtt Quajvoen l’è scapaa da la spuzza dell’alga e poe l’è turnaa per lavàss i soe màn Quajvoen l’ha spudaa in soe la tua unda e poe le turnaa cun ‘na lacrima in pioe
Akuaduulza akuaduulza quanta acqua impienìss questi oecc Acqua negra e senza culpa, acqua santa senza resònn E passa un batèll e passa un invernu e passa una guèra e passen i pèss Passa el veent che te ròba el mantèll e passa la nèbia che sàra soe i stèll Pescaduu che te làsset la spunda ne la brèva che càgna i vestii Rèma i pee soe sta foeja che dùnda cun la canzòn che te voett mai finì. |
postato da la Parda Flora
alle 01:49
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11 settembre 2006 |
11 settembre 2001 |
Ma voi non li uccideste, bensì Dio li uccise.
(Cor. VIII, 17)
Quando poi saran trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, attendeteli in ogni luogo che si presenti per un agguato. Se poi si convertono e compiono la Preghiera e pagano la décima, lasciateli andare, poiché Dio è indulgente e clemente.
(Cor. IX, 5)
I profeti e i santi non compiono forse anch’essi degli sforzi [Jihād]? Il primo sforzo che hanno fatto è stato quello di sopprimere a loro idea concupiscente e di rinunciare ai desideri e alla concupiscenza ed è questa la grande guerra.
Gialālu’d ad-Din Rūmī
Barra in arabo vuol dire più o meno: lascia, va via.
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New York, ore 8.45
"Dite le vostre preghiere"
(You plant a demond seed you'll raise a flower of fire. Come siamo arrivati a tutto questo? Bono - U2) |
postato da la Parda Flora
alle 07:59
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10 settembre 2006 |
Il diavolo veste Prada |
Il diavolo vestirà anche Prada: io, parda, no. Lo trovo eccessivo, talvolta decisamente volgare e quasi sempre brutto. Adatto giusto al cattivo gusto di un’americana. Forse lo avrete capito, sto per scrivere un post frivolo, ma molto molto frivolo (e forse vi stupirò, ma giuro che non mentirò su una sola parola, liberi di crederci o no), e tanto per togliere di mezzo ogni dubbio, gli appunti li ho presi con una Montblanc Kafka, dato che colleziono penne stilografiche. Da mesi ormai siamo importunanti dalle scemenze di Paris Hilton (“Oh, ha detto mamma, facciamo una grande festa!”), perché io non posso parlare delle mie preferenze in ambito di abiti e accessori, mi sono detta? Sono più scema di lei? Non credo, e in fondo, l’abito non farà il monaco, ma personalmente non ho mai aspirato al convento. Ho parlato di tante cose, più o meno interessanti, più o meno allegre o tristi, perché allora, mi sono detta, non posso parlare anche del debole che ho per le ballerine dell’Artigiano di Brera o per Pollini? Quasi tutte le mie scarpe e parecchie delle mie borse e accessori in pelle sono di Pollini, ma in particolare adoro un paio di mocassini di camoscio marrone, comodissimi e traforati come mi sono sempre immaginate le scarpe del genio di Aladino, che uso soprattutto con un paio di pantaloni di Armani molto particolari, un po’ alla turca. Poi da ... viaggiatrice stanziale, mi piace molto anche Prima Classe di Alviero Martini, e infatti ho una quantità di borse borsine, porta trucco e ammennicolini vari da viaggio suoi: quando R. era ancora il capo negozio in Montenapoleone, non mancavamo mai di fare due chiacchiere e di raccontarci dei nostri rispettivi animali domestici (nel frattempo morti entrambi, con gran dolore dei padroni). Un’altra mia particolarità è che non amo i profumi da donna... ormai fanno profumi dolci anche da uomo! Il mio profumo preferito è quindi Navegar, muschiato e legnoso, con limone verde, pepe di Malabar e un pizzico di zenzero, dell’Artisan Parfumeur di Parigi. Non facile da trovare, ma ne vale la pena... talvolta d’estate lo alterno a Mûre et musc, sempre dell’Artisan, oppure mi concedo una deroga al legnoso, con una piccola delizia di una profumeria di Pantelleria, che inebria con l’inconfondibile e indimenticabile profumo dell’uva fragola scaldata al sole d’agosto, che mi ricorda il giardino di mia nonna e la sua pergola. Molto maschile è anche il mio orologio: un grosso Ego in acciaio e brillanti, che credo potrebbe buttare giù un dente a un eventuale ladro. In compenso, da donna amo i gioielli, li amo proprio, senza falsi pudori e senza grosse preferenze fra oro bianco, giallo o platino. E’ un amore che si ispira, direi, a quel certo sapore patrimoniale che spingeva i gentiluomini elisabettiani a portare sempre un pesante orecchino d’oro - estrema ratio per un debito di gioco, o un’avventura finita peggio del previsto: c’è sempre una possibilità di fuga con un paio di orecchini Damiani di brillanti addosso. Concordo quindi con Marilina che i diamanti siano buoni amici delle ragazze, ma non disprezzo il colore: gli zaffiri sul pavé di diamanti di Salvini, per esempio, per me hanno un fascino lussureggiante. Tuttavia i gioielli che preferisco li trovo in un negozio particolare che si ispira a gioielli antichi: i cervi sciti che accompagnavano come animale totemico i morti nell’al di là, le decorazioni dell’antica oreficeria celta, i dischi solari e le onde che ornavano i pochi oggetti vichinghi ritrovati... cose così. Non credo li capisca nessuno, quando li indosso, ma a me risuonano dentro. Una volta qualcuno mi convinse a provare a ritornare alla mia vita precedente - lo presi per un gioco e accettai, così ora dovrei esser la reincarnazione di uno sciamano guerriero vissuto nel V secolo. Non che ci creda, ma a volte mi era capitato di percepire una sorta di corta spada, un po’ come uno scramasax longobardo, sbattere contro le spalle mentre camminavo, soprattutto in un bosco o in montagna, e non sto scherzando. Così, indossando il disco solare ispirato a quello del corredo funebre di una principessa celta sepolta in Svizzera, forse mando segnali ai membri perduti della mia tribù, non avendo ancora perso del tutto la speranza di non essere l’unica sopravvissuta. Ma ancora inutilmente. Nel vestire mi piace l’armonia dei colori, e la mia preferenza va alla tavolozza delle sfumature compresa fra il bianco e il blu, così mi capita di essere in genere mono o , al massimo, bi cromatica. Tuttavia, per le occasioni un po’ eleganti, tipo cocktail, amo usare una strana gonna lunga nera di Armani, a piccoli pois ricamati bianchi e grigi, su stoffa operata ma molto discreta, mi piace accostarci una camicia da smoking da uomo, ovviamente senza papillon ma con i gemelli, fascia da vita e una giacca nera a sette ottavi, sempre di Armani, con un collo alla Direttorio che avrebbe fatto impazzire Robespierre d’invidia... Nero è anche il mio abito da sera di Valentino, un tubino semplice appena appena scivolato con un panneggio sui fianchi, ma con un ricamo importante alla scollatura, accompagnato da una borsetta di camoscio e pelle liscia a creare un disegno di foglie di vite e frutti, con pietre dure, sempre di Valentino. Invece, per esser più informale, i deliziosi completi e i maglioni in cashmere di Radaelli in via Manzoni, così come in via Manzoni amo il negozio dei fratelli Ventilo, francesi (e infatti le loro cose più belle le ho trovate a Cannes) di origine magrebina, che sanno unire in un modo che amo molto l’etnicità all’eleganza: non da farci un guardaroba, sarebbe eccessivo, ma si trovano pezzi davvero incantevoli. Per molti vestire è, oltre che una ovvia necessità, uno status symbol - non vorrei essere fraintesa, e mi rendo conto di essere oggi una Parda Flora un po’ inedita, ma anche questo è parte di me, e scegliere un abito piuttosto che un altro significa ancora giocare come da bambina a travestire la mia anima, perché diventi più visibile e quindi raggiungibile. Insomma, lancio ancora segnali di fumo. Ecco: sarò abbastanza diavolessa anch’io? Di certo non ho i capelli bianchi di Meryl Strip, per il resto boh....
Gh’è un omm che’l parla de par luu, suta l’umbriia de una magnolia, el diis che l’era un sfrusaduu, che i stèll cugnussen la sua storia,
Gh’è un omm che’l parla de par luu e l’è un suldaa senza memoria, un longobardo o un fedayn… urmai fa mea differenza…
Caramadona… semm che col cuu pugiaa in soel muur, una speranza de luserta e un coer crumpaa al mercaa de Lenn…
Caramadona… cui oecc che cambien de culuur.. Semm che in soel fuund de la butèglia come i vermi nel mescal
Gh’è un omm che’l parla de par luu Cui medesèn ne la sacòcia, el diis che’l voeer pioe na’ a ca’ sua che’l g’ha i marziani in del bide’
gh’è un omm che’l pensa de tasè, ma el canta tuta la sua vita.. un scarabeo ligaa adree al coll e la madona del Succuurs…
Caramadona… Semm che col cuu pugiaa in soel muur Una paguura senza pressa Che l’ha imparaa a beev el caffè…
Caramadona… Cun la curona che lusiss, fa mea scapà i nost fantasmi senza de luur semm pioe chi sèmm
Questa Caramadona è tratta da Akuaduulza di Davide van der Sfros. Pare non c’entrare niente, e invece a parte qualche particolare di scarso rilievo potrebbe essere stata scritta per raccontare di me.Un po' come l'immagine di Etta, qui di fianco, rannichiata su se stessa e non si sa di sicuro perché... Spero che il dialetto di lago dei miei antenati non sia al solito troppo difficile da capire, perché davvero una traduzione in italiano la ucciderebbe. |
postato da la Parda Flora
alle 08:47
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