10 settembre 2006
Il diavolo veste Prada
Il diavolo vestirà anche Prada: io, parda, no. Lo trovo eccessivo, talvolta decisamente volgare e quasi sempre brutto. Adatto giusto al cattivo gusto di un’americana.
Forse lo avrete capito, sto per scrivere un post frivolo, ma molto molto frivolo (e forse vi stupirò, ma giuro che non mentirò su una sola parola, liberi di crederci o no), e tanto per togliere di mezzo ogni dubbio, gli appunti li ho presi con una Montblanc Kafka, dato che colleziono penne stilografiche.
Da mesi ormai siamo importunanti dalle scemenze di Paris Hilton (“Oh, ha detto mamma, facciamo una grande festa!”), perché io non posso parlare delle mie preferenze in ambito di abiti e accessori, mi sono detta? Sono più scema di lei? Non credo, e in fondo, l’abito non farà il monaco, ma personalmente non ho mai aspirato al convento.
Ho parlato di tante cose, più o meno interessanti, più o meno allegre o tristi, perché allora, mi sono detta, non posso parlare anche del debole che ho per le ballerine dell’Artigiano di Brera o per Pollini? Quasi tutte le mie scarpe e parecchie delle mie borse e accessori in pelle sono di Pollini, ma in particolare adoro un paio di mocassini di camoscio marrone, comodissimi e traforati come mi sono sempre immaginate le scarpe del genio di Aladino, che uso soprattutto con un paio di pantaloni di Armani molto particolari, un po’ alla turca.
Poi da ... viaggiatrice stanziale, mi piace molto anche Prima Classe di Alviero Martini, e infatti ho una quantità di borse borsine, porta trucco e ammennicolini vari da viaggio suoi: quando R. era ancora il capo negozio in Montenapoleone, non mancavamo mai di fare due chiacchiere e di raccontarci dei nostri rispettivi animali domestici (nel frattempo morti entrambi, con gran dolore dei padroni).
Un’altra mia particolarità è che non amo i profumi da donna... ormai fanno profumi dolci anche da uomo! Il mio profumo preferito è quindi Navegar, muschiato e legnoso, con limone verde, pepe di Malabar e un pizzico di zenzero, dell’Artisan Parfumeur di Parigi. Non facile da trovare, ma ne vale la pena... talvolta d’estate lo alterno a Mûre et musc, sempre dell’Artisan, oppure mi concedo una deroga al legnoso, con una piccola delizia di una profumeria di Pantelleria, che inebria con l’inconfondibile e indimenticabile profumo dell’uva fragola scaldata al sole d’agosto, che mi ricorda il giardino di mia nonna e la sua pergola.
Molto maschile è anche il mio orologio: un grosso Ego in acciaio e brillanti, che credo potrebbe buttare giù un dente a un eventuale ladro.
In compenso, da donna amo i gioielli, li amo proprio, senza falsi pudori e senza grosse preferenze fra oro bianco, giallo o platino. E’ un amore che si ispira, direi, a quel certo sapore patrimoniale che spingeva i gentiluomini elisabettiani a portare sempre un pesante orecchino d’oro - estrema ratio per un debito di gioco, o un’avventura finita peggio del previsto: c’è sempre una possibilità di fuga con un paio di orecchini Damiani di brillanti addosso. Concordo quindi con Marilina che i diamanti siano buoni amici delle ragazze, ma non disprezzo il colore: gli zaffiri sul pavé di diamanti di Salvini, per esempio, per me hanno un fascino lussureggiante.
Tuttavia i gioielli che preferisco li trovo in un negozio particolare che si ispira a gioielli antichi: i cervi sciti che accompagnavano come animale totemico i morti nell’al di là, le decorazioni dell’antica oreficeria celta, i dischi solari e le onde che ornavano i pochi oggetti vichinghi ritrovati... cose così. Non credo li capisca nessuno, quando li indosso, ma a me risuonano dentro. Una volta qualcuno mi convinse a provare a ritornare alla mia vita precedente - lo presi per un gioco e accettai, così ora dovrei esser la reincarnazione di uno sciamano guerriero vissuto nel V secolo. Non che ci creda, ma a volte mi era capitato di percepire una sorta di corta spada, un po’ come uno scramasax longobardo, sbattere contro le spalle mentre camminavo, soprattutto in un bosco o in montagna, e non sto scherzando.
Così, indossando il disco solare ispirato a quello del corredo funebre di una principessa celta sepolta in Svizzera, forse mando segnali ai membri perduti della mia tribù, non avendo ancora perso del tutto la speranza di non essere l’unica sopravvissuta. Ma ancora inutilmente.
Nel vestire mi piace l’armonia dei colori, e la mia preferenza va alla tavolozza delle sfumature compresa fra il bianco e il blu, così mi capita di essere in genere mono o , al massimo, bi cromatica. Tuttavia, per le occasioni un po’ eleganti, tipo cocktail, amo usare una strana gonna lunga nera di Armani, a piccoli pois ricamati bianchi e grigi, su stoffa operata ma molto discreta, mi piace accostarci una camicia da smoking da uomo, ovviamente senza papillon ma con i gemelli, fascia da vita e una giacca nera a sette ottavi, sempre di Armani, con un collo alla Direttorio che avrebbe fatto impazzire Robespierre d’invidia...
Nero è anche il mio abito da sera di Valentino, un tubino semplice appena appena scivolato con un panneggio sui fianchi, ma con un ricamo importante alla scollatura, accompagnato da una borsetta di camoscio e pelle liscia a creare un disegno di foglie di vite e frutti, con pietre dure, sempre di Valentino.
Invece, per esser più informale, i deliziosi completi e i maglioni in cashmere di Radaelli in via Manzoni, così come in via Manzoni amo il negozio dei fratelli Ventilo, francesi (e infatti le loro cose più belle le ho trovate a Cannes) di origine magrebina, che sanno unire in un modo che amo molto l’etnicità all’eleganza: non da farci un guardaroba, sarebbe eccessivo, ma si trovano pezzi davvero incantevoli.
Per molti vestire è, oltre che una ovvia necessità, uno status symbol - non vorrei essere fraintesa, e mi rendo conto di essere oggi una Parda Flora un po’ inedita, ma anche questo è parte di me, e scegliere un abito piuttosto che un altro significa ancora giocare come da bambina a travestire la mia anima, perché diventi più visibile e quindi raggiungibile. Insomma, lancio ancora segnali di fumo.
Ecco: sarò abbastanza diavolessa anch’io? Di certo non ho i capelli bianchi di Meryl Strip, per il resto boh....

Gh’è un omm che’l parla de par luu,
suta l’umbriia de una magnolia,
el diis che l’era un sfrusaduu,
che i stèll cugnussen la sua storia,



Gh’è un omm che’l parla de par luu
e l’è un suldaa senza memoria,
un longobardo o un fedayn…
urmai fa mea differenza…



Caramadona…
semm che col cuu pugiaa in soel muur,
una speranza de luserta
e un coer crumpaa al mercaa de Lenn…

Caramadona…
cui oecc che cambien de culuur..
Semm che in soel fuund de la butèglia
come i vermi nel mescal



Gh’è un omm che’l parla de par luu
Cui medesèn ne la sacòcia,
el diis che’l voeer pioe na’ a ca’ sua
che’l g’ha i marziani in del bide’

gh’è un omm che’l pensa de tasè,
ma el canta tuta la sua vita..
un scarabeo ligaa adree al coll
e la madona del Succuurs…



Caramadona…
Semm che col cuu pugiaa in soel muur
Una paguura senza pressa
Che l’ha imparaa a beev el caffè…

Caramadona…
Cun la curona che lusiss,
fa mea scapà i nost fantasmi
senza de luur semm pioe chi sèmm


Questa Caramadona è tratta da Akuaduulza di Davide van der Sfros. Pare non c’entrare niente, e invece a parte qualche particolare di scarso rilievo potrebbe essere stata scritta per raccontare di me.Un po' come l'immagine di Etta, qui di fianco, rannichiata su se stessa e non si sa di sicuro perché...
Spero che il dialetto di lago dei miei antenati non sia al solito troppo difficile da capire, perché davvero una traduzione in italiano la ucciderebbe.
postato da la Parda Flora alle 08:47  

 

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