04 settembre 2006
Sei
Vorrei iniziare l’analisi della presidenza Truman, rimarcando due dati di fatto:
il primo era che, come di consuetudine nelle elezioni americane, il vice presidente è complementare, non sovrapponibile al presidente. L’esperto di politica estera, quello che, contrariamente al pacifismo imperante negli USA come risultato psicologico della I guerra mondiale, temeva Hitler e sentiva con forza l’esigenza di partecipare autorevolmente alla siglatura dei trattati di pace era Roosvelt, che però mori nel 1945, passando il governo degli Stati Uniti a Truman, che godeva di grande appoggio al Senato.
Il secondo fatto da considerare è che Truman non solo non era esperto di politica estera, ma che nutriva, essendosi formato non con i classici studi universitari, una certa diffidenza, per non dire antipatia, per gli analisti della Casa Bianca. Ciò lo rende, se mi si scusa l’espressione forte, una sorta di cane sciolto, che preferisce scegliere affidandosi al proprio intuito e alla propria personale capacità di giudizio.
Ne risultò che di fronte alla posizione ufficiale rispetto alla questione Palestinese raggiunta principalmente con la mediazione di Henderson, Truman affermò che le sue preferenze andavano a favore delle rivendicazioni ebree. Ciò porto all’intensificarsi progressivo delle richieste sioniste sino al 1948, finendo persino con l’infastidire il sia pur silenzioso Truman. Fu però per questo tenace opera di persuasione che alla fine Clifford e Niles lo portarono alla convinzione che gli ebrei avessero diritto a un paese, per come avevano favorito la rielezione di Truman nel 1948: in tal modo Truman toglieva un vantaggio agli avversari repubblicani, ma quali erano in realtà le sue motivazioni? Certamente, i legami personali con la comunità ebraica americana e la consapevolezza dell’orrore dello sterminio perpetrato impunemente da Hitler in Europa, ma soprattutto la guida e la vicinanza di Niles, bostoniano e funzionario di fiducia nel New Deal, che dal 1945 è molto attivo in opposizione alla sorte subita dagli ebrei europei.
Possiamo quindi tranquillamente dire che la Presidenza Truman ha scarsa o nulla simpatia per le esigenze, pur esistenti, della Palestina.
Truman tentò dapprima di spingere il Congresso ad accettare un grande ingresso degli ebrei negli USA, ma di fronte al rifiuto del Congresso, iniziò a pensare alla Palestina come risorsa alternativa, mentre la posizione di Eisenhower era invecec quella che gli ebrei se ne tornassero nei rispettivi stati di origine.
Tuttavia, la condizione dei rifugiati era tale che anche Harrison, preside della facoltà di legge dell’Università della Pennsylvania alla guida di una specifica commissione, adottò la richiesta di far entrare 100 mila persone in Palestina, secondo i desideri di Truman, con certificati rilasciati dal Regno Unito.
La risposta inglese fu rapida e brutale, a sanzionarne la posizione ormai anti sionista: “fra le molte vittime di Hitler, gli ebrei non andavano considerati i primi della lista”.
Nell’arco di un anno, la posizione inglese s’era ribaltata, e ormai nulla restava ad impedire la resistenza ebrea in Palestina. Tuttavia, a parte le associazioni clandestine, per l’Agenzia ebraica non era semplice dichiarare guerra al Regno Unito da un giorno per l’altro, anche perché l’Agenzia ne sarebbe uscita inevitabilmente sminuita e delegittimata, come interlocutore giuridicamente riconosciuto. A malincuore, consapevole di queste conseguenze, Ben Gurion e i suoi dettero infine ordine il 1° ottobre 1945 all’Hagana di dare via alla rivolta armata, prendendo successivamente accordi, problematici ma efficaci, con le altre due associazioni clandestine emerse dall’ala destra dell’Agenzia. La notte fra il 31 ottobre e il 1 novembre 1945, le truppe dell’Hagana attaccarono i battelli della polizia inglese, affondandone due a Haifa e uno a Giaffa; inoltre, veniva messa fuori uso la rete ferroviaria e vennero danneggiate varie locomotive nello scalo merci di Lydda. Di fronte a questo attacco l’Inghilterra mostrò i muscoli, anche al di là delle proprie possibilità e le truppe di polizia e i soldati inglesi in Palestina raggiunsero il totale di 100 mila, anche se i recenti ricordi della Shoa impedivano comunque reazioni eccessivamente dure. Inoltre, l’appoggio dell’yishuv (ovvero la comunità ebraica residente in Palestina) sostenne con forza la resistenza. La posizione inglese si faceva sempre più insostenibile; nel febbraio del 1946 vennero colpiti tre aeroporti per un danno di ben circa due milioni di sterline.
Noniostante i primi morti, la guerriglia continuava, sinché fra il 16 e il 17 giugno, le forze ebraiche distrussero dieci degli undici ponti che collegavano la Palestina al Medio Oriente, ottenendone così l’isolamento temporaneo.

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postato da la Parda Flora alle 16:29  

 

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