12 settembre 2006 |
Brutti caratteri |
Beethoven dunque, ci fu detto, era in fama di non saper scrivere una fuga, e ora si trattava di veder fin dove questa maldicenza colpisse nel segno. Più volte aveva inserito fughe nella sua musica per pianoforte, e precisamente fughe a tre voci ma (...) sapeva benissimo le regole contro le quali operava.(...) Certo erano poi venute la grande Ouverture fugata dell’op. 124, erano venute le maestose fughe del Gloria e del Credo nella Messa solenne: a riprova dunque, nonostante tutto, che anche nella battaglia con quest’angelo il grande lottatore era rimasto vittorioso, per quanto ne fosse uscito sciancato. Kretzschmar ci raccontò un aneddoto raccapricciante che ci diede un’idea paurosa e incancellabile della sacra gravità di quella battaglia e della personalità del tormentato creatore. Fu nel 1819, al colmo dell’estate, quando Beethoven nel suo ritiro di Mödling lavorava alla Messa, disperato che tutti i tempi riuscissero più lunghi del previsto, cosicché sarebbe stato impossibile finirla entro il termine stabilito, cioè per il giorno di marzo dell’anno successivo in cui l’arciduca Rodolfo doveva essere consacrato arcivescovo di Olmütz - fu allora che, un pomeriggio, due amici e seguaci andarono dal maestro e, appena entrati in casa, trovarono gravissime novità. Quella stessa mattina le sue domestiche se n’erano andate perché la notte precedente verso l’una c’era stata una scena furiosa che aveva fatto balzare dal sonno tutta la casa. Fino a tarda notte il padrone aveva lavorato al Credo, al Credo con la fuga, e non aveva voluto saperne della cena pronta sul focolare presso il quale le fantesche, in vana attesa e sopraffatte dalla natura, si erano finalmente appisolate. Quando fra le dodici e la una andò a chiedere da mangiare e trovò le domestiche addormentate e i cibi rinsecchiti e carbonizzati, il maestro fu preso da una collera violenta che sfogò senza riguardi per l’ora notturna, tanto più ch’egli stesso non udiva il proprio strepito. - Non potete vegliare un’ora con me? - andava ripetendo con voce tonante. Ma le ore erano state cinque, sei e sul far dell’alba le povere ragazze mortificate avevano preso il largo abbandonando a se stesso quel padrone bisbetico e sgarbato; e così egli era rimasto anche senza colazione, e non aveva mangiato nulla dal mezzogiorno precedente. In compenso, lavorava nella sua camera al Credo, al Credo con la fuga - e attraverso la porta chiusa i discepoli udivano come lavorava. Il sordo cantava, gridava, pestava su quel Credo - ed era una cosa tanto commovente e terribile che quei due si sentirono gelare il sangue nelle vene. Ma nel momento nel quale intimoriti stavano per allontanarsi, la porta si spalancò all’improvviso e Beethoven comparve sulla soglia - in quale atteggiamento? Nel più spaventoso! Con gli abiti negletti, i lineamenti così stralunati da incutere terrore, gli occhi penetranti, folli, assenti, li fissò dando l’impressione di essere uscito da una lotta per la vita e per la morte con tutti gli spiriti avversi del contrappunto. Sulle prime balbettò frasi sconclusionate, poi cominciò a lagnarsi e a imprecare contro quell’andazzo di casa sua, perché tutti scappavano e lo lasciavano patir la fame. Quelli tentarono di rabbonirlo, uno di loro lo aiutò a vestirsi, l’altro corse alla trattoria per far preparare un pasto ristoratore... La Messa fu compiuta solo tre anni dopo.
Dal capitolo VIII del Doctor Faustus di Thomas Mann
Akuaduulza akuaduulza ma de un duulz che nissoen el voe beev Acqua stràca e acqua sgunfia sciùscia i remuj e i gaamb di fiulìtt… Lavandèra in soe la riva cul tò ass per pugià giò i genoecc El savòn e la camìsa, sfrèga i pàgn e’l riflèss di muntàgn E quest’unda vagabunda l’è una lèngua che bagna i paròll, lèngua che rànza e lèngua redùnda, prema l’è timida e poe sbròfa tucc…
Akuaduulza akuaduulza troppa vòlta per fàss carezzà Acqua ciàra o spurcelènta, tropa vègia per tràss foe i mudaand, suta el ventru de ogni barca e sura la cràpa de ogni sàss sura el rusàri de ogni memoria…ma sura de te resterà nissoen pàss.. gnanca el suu che te frusta la schèna o la loena che pucia giò i pee, gnanca la spada de ogni tempesta riussirànn a lassàtt un disègn…
Akuaduulza akuaduulza acqua che scàpa e che poe turna indree Acqua vedru e acqua perla prunta per tucc ma che spècia nissoen Gh’èmm una fàcia de tartaruuga e gh’èmm una fàcia de pèss in carpiòn Gh’èmm una fàcia che paar roba tua e urmai te vedum senza vardàtt Quajvoen l’è scapaa da la spuzza dell’alga e poe l’è turnaa per lavàss i soe màn Quajvoen l’ha spudaa in soe la tua unda e poe le turnaa cun ‘na lacrima in pioe
Akuaduulza akuaduulza quanta acqua impienìss questi oecc Acqua negra e senza culpa, acqua santa senza resònn E passa un batèll e passa un invernu e passa una guèra e passen i pèss Passa el veent che te ròba el mantèll e passa la nèbia che sàra soe i stèll Pescaduu che te làsset la spunda ne la brèva che càgna i vestii Rèma i pee soe sta foeja che dùnda cun la canzòn che te voett mai finì. |
postato da la Parda Flora
alle 01:49
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