14 settembre 2006
Sette
In realtà, il Ministro degli Esteri inglese, il laburista Bevin, irritato dalle prese di posizione di Truman, avevano tentato di coinvolgere negli affari Palestinesi gli americani, tanto che nell’inverno 1945/46 una commissione congiunta si era recata ad esaminare le condizioni economiche, politiche e sociali della Palestina in relazione ai problemi dell’insediamento e dell’immigrazione degli ebrei nel paese e al benessere del popolo che attualmente vi viveva. Tale commissione doveva essere super partes, ma Truman fece in modo che tre dei suoi delegati fossero filo sionisti...
I lavori della Commissione furono lunghi e coscienziosi, e in Medio Oriente compresero colloqui con l’Agenzia ebraica, il governo mandatario e l’Alto comitato arabo. I risultati si ebbero nel maggio 1946: 100 000 ebrei dei campi europei avrebbero dovuto essere ammessi in Palestina, anche se solo due membri, i filo sionisti McDonald e Crum, erano disposti ad accettare che lo stato ebraico si formasse con la spartizione, mentre tutti i loro colleghi ritenevano questa una soluzione che avrebbe aggravato la situazione. Per loro la Palestina, Terra santa, non doveva diventare né uno stato ebraico,né uno stato arabo, dato che la spartizione era impraticabile, ma questa “terra speciale” doveva continuare ad esser governata da una trusteeship, cioè da una amministrazione fiduciaria.
Insomma, un risultato in grado di scontentare tutti.
Nell’estate del 1946, inoltre, Bevin pretese da Truman due divisioni di truppe per contenere i tumulti arabi all’arrivo dei 100 mila profughi ebrei, ma i capi di stato maggiore americano negarono la disponibilità di tali truppe.
Nel luglio, il primo ministro britannico Morrison si accordò con lo statunitense Grady (piano Morrison-Grady) per la creazione di province arabe ed ebraiche autonome, sotto la perdurante amministrazione fiduciaria: troppo poche per le aspettative sioniste, e dopo una serie di incontri tumultuosi, il 7 agosto Truman telegrafò a Londra il suo rifiuto.
La posizione del protettorato britannico era sempre più fragile, non solo sul piano diplomatico, ma anche su quello militare. Gli inglesi pensarono di reagire isolando Tel Aviv e le principali aree ebraiche di Gerusalemme e Haifa (operazione Agata), catturando i leader dell’Agenzia, con l’eccezione di Ben Gurion che si trovava a Parigi.
La risposta dell’Hagana non si fece attendere, con l’attacco il 22 luglio, al quartier generale del governo britannico che aveva sede presso l’hotel King David di Gerusalemme. Una intera ala dell'hotel crollò e vi furono 90 morti, nonostante l'anziano statista Wiezman, che ancora riponeva speranze nella diplomazia inglese, si fosse opposto a tale azione. Alla quale parteciparono invece il clandestino Sneh con l’Irgun (dal quale poi si dimise), e Begin.
L’attentato convinse gli inglesi che era più che mai necessario trovare una soluzione politica alla questione ebraica. Tuttavia gli arabi, guidati da Jamal Husseini, rifiutavano dal 1937 l’idea di una spartizione, sostenuti in ciò da Bevin. Meno coerenti al riguardo i sionisti, divisi fra chi la consideravano l’unica possibilità realista e chi la viveve invece come l’infrangersi di un sogno. Tanto che a Parigi, l’Agenzia ebraica vota, ma non unanimemente, di abbandonare il piano del Biltmore (che prevedeva i diritti degli ebrei su tutta la Palestina) per lavorare a una spartizione per la definizione di uno stato ebraico in una area adatta della Palestina, seguita in ciò dagli USA, che si avvicinano alle nuove elezioni (novembre) Così, il 4 ottobre Truman, incapace di sbloccare i famosi 100 mila certificati d’immigrazione, fece la cosiddetta dichiarazione di Yom Kippur, annunciando il sostegno americano alla suddivisione come miglior soluzione, “impegnando così gli Stati Uniti alla costituzione dello stato ebraico e alla spartizione come metodo più adatto a realizzarlo” (Fraser, 1989).
Ma quale poteva esser questa “zona adatta della Palestina?” Sia Ben Gurion sia gli inglesi appaiono avere idee poco chiare al riguardo, così, dopo l’ennesimo fallimento di una mediazione, nel febbraio del 1947, il problema viene deferito alla Nazioni Unite.

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