14 gennaio 2008 |
Another brick in the wall...(Un attimo di riflessione) |
Mentre la campagna elettorale americana impazza (si fa per dire) perché non proviamo a riflettere che forse Al Qaeda è tanto comoda, ma non è necessarimente come il prezzemolo? E' solo una ipotesi di lavoro, ma - io dico - perchè no?
Al-Qaeda in soccorso all'amministrazione Bush di M. K. Bhadrakumar
Le Cassandre americane prevedono quasi unanimemente che il Pakistan non sopravviverà. In verità, è difficile essere ottimisti. Rimettere ordine in questi tempi difficili va ben oltre le capacità dell'attuale amministrazione statunitense. L'unico elemento positivo sembra essere il fatto che tra un anno alla Casa Bianca arriverà un'altra squadra e sarà possibile ripartire da zero. Sono disposti ad ammetterlo perfino gli esperti più entusiasti della comunità di sicurezza degli Stati Uniti. Un commentatore di Stratfor, un think-tank vicinissimo alle agenzie di sicurezza, dice: "In questo finale di partita tutto quello che gli americani vogliono è lo status quo in Pakistan. È il massimo che possono ottenere. E da come sta girando la fortuna degli Stati Uniti potrebbero non ottenere neanche quello".
Non è esattamente una questione di "fortuna". In parole povere, nell'inverno del 2001 a Passo Khyber l'amministrazione Bush ha fatto il passo più lungo della gamba. Oggi non ha alcun piano B. Al massimo la Casa Bianca può sperare che il capo dell'esercito pakistano, il Generale Ashfaq Kiani, "possa diventare il nuovo uomo di Washington in Pakistan" (per citare Stratfor). Vale a dire: diamo la colpa dell'assassinio di Benazir Bhutto ad al-Qaeda, andiamo avanti come prima e aspettiamo che passino 12 mesi.
Ma soldati in gamba come Kiani non possono essere tanto stupidi, no? Il clima a Washington è ora dominato da tre tipi di Cassandra. Innanzitutto ci sono gli ADB - "Amici di Benazir". La gente dei media, dei think-tank e del governo stregata da Bhutto (grazie al suo irresistibile fascino personale o alla scaltra opera della sua squadra di pubbliche relazioni) non può concepire un Pakistan senza di lei.
Poi ci sono le legioni americane di esperti in Asia Meridionale, che appartengono a un'epoca precedente e non hanno accettato che l'amministrazione con il suo programma neo-conservatore abbia ignorato i loro consigli sulla linea politica da adottare con il Pakistan dopo il 2001. Si sentono vendicati dal fatto che la linea politica adottata si sia rivelata un tale fallimento. E poi c'è la tribù degli esperti di terrorismo, che negli ultimi anni si sono moltiplicati e che sono specializzati nella politica del terrore, tanto che alcuni di loro sembrano credere che il nemico fantasma abbia proporzioni cosmiche.
Gli Stati Uniti rimescolano le carte dell'Iran Ma non ci sono solo le Cassandre. L'ombra dell'assassinio di Bhutto sulla sicurezza regionale ha varie sfumature. Ecco come si fanno già sentire in Iran. Molto rapidamente, quasi dal giorno alla notte, il Pakistan ha preso il posto dell'Iran sullo schermo radar dell'amministrazione Bush. Israele può non gradire quello che sta succedendo, ma il vice presidente Dick Cheney e i suoi non hanno la minima possibilità di resuscitare lo spauracchio dell'Iran in quel che resta del mandato dell'amministrazione.
L'amministrazione Bush non può ignorare che la crisi che cova in Pakistan e in Afghanistan potrebbe rivelarsi molto più grave di tutti i programmi nucleari iraniani e dell'appoggio dell'Iran ad Hamas in Palestina, a Hezbollah in Libano, alla milizia sciita irachena in Iraq, per non parlare della sfida politica rappresentata dalla crescente influenza iraniana nella regione.
Per la prima volta da quando ha esposto la teoria dell'"asse del male", esattamente sei anni fa, - mettendo insieme Iraq, Iran e Corea del Nord - l'amministrazione Bush è costretta a guardare all'Iran mantenendo il senso delle proporzioni. Le politiche dure mirate a destabilizzare il regime iraniano appaiono del tutto irresponsabili nelle mutate circostanze. Un'opzione militare è fuori questione. Cambio di regime a Teheran? Ridicolo.
Ma la "questione iraniana" come tale può non svanire dal Medio Oriente, anche se la retorica - statunitense e iraniana - è sensibilmente calata nelle ultime settimane. Parte del problema è costituito dal fatto che il prossimo marzo in Iran si terranno delle elezioni parlamentari aspramente contestate. Ciononostante, le relazioni Iran-USA sono destinate a mutare corso. L'offerta del segretario di stato Condoleezza Rice di incontrare la sua controparte iraniana Manuchehr Mottaki "in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, ovunque" lo dimostra. A Teheran c'è un cauto ottimismo sulla quarta serie di incontri tra i due paesi sulla cooperazione per la stabilizzazione dell'Iraq.
Una settimana fa Rice ha detto: "Non abbiamo amici permanenti... abbiamo una politica pronta a metter fine allo scontro o al conflitto con qualsiasi paese disposto a venirci incontro in quei termini". Mottaki ha risposto prontamente: "Si può preparare il terreno". Ha valutato positivamente "l'atteggiamento più logico e rispettoso" di Washington nei confronti di Teheran, reso possibile - ha insistito - dal fatto che "[le autorità statunitensi] sono giunte a comprendere meglio il ruolo cruciale dell'Iran nella regione e la sua determinazione a ottenere il riconoscimento dei propri legittimi diritti [di arricchire uranio]."
Gli iraniani sono pragmatici, e dopo l'assassinio di Bhutto devono aver ormai stimato che gli sviluppi in Pakistan non lasciano all'amministrazione Bush altra scelta se non quella di cercare sinceramente di normalizzare le relazioni con Teheran.
Essere o non essere... L'Iran può ancora una volta dimostrarsi utile, come accadde nel 2001, per le necessità logistiche della "guerra al terrore" di Washington in Afghanistan. Si può supporre che l'Iran potrebbe costituire una rotta sostitutiva se si ostruissero le linee di rifornimento alle forze NATO in Afghanistan via Pakistan. La NATO e gli Stati Uniti non potrebbero avere un alleato più realistico dell'Iran per stabilizzare l'Afghanistan. La collaborazione dell'Iran tornerà utile per ostacolare la marcia dei Taliban in direzione nord, verso la regione di Amu Darya, e nella stabilizzazione dell'Afghanistan occidentale, dove le forze NATO si troveranno minacciate.
L'alternativa per Washington sarebbe di strisciare a Mosca per chiedere corridoi aerei e terrestri verso l'Afghanistan. Sembra che la NATO abbia tastato il terreno al vertice dei ministri degli esteri di Russia e NATO a Bruxelles, il 7 dicembre scorso. Dopo l'incontro, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato: "Abbiamo discusso la situazione in Afghanistan. Gli interessi vitali in materia di sicurezza della Russia e dei paesi della NATO qui coincidono, sia per la minaccia della droga, sia per la persistente minaccia del terrorismo. Vanno combattute unendo le forze".
Lavrov ha aggiunto: "Stiamo [la Russia e la NATO] anche considerando altre opzioni di collaborazione, particolarmente nel supporto logistico all'International Security Assistance Force e nell'equipaggiamento dell'Esercito Nazionale Afgano. Credo che sotto questo aspetto ci sia un buono spazio di manovra in cui trovare forme accettabili di interazione".
In un lungo saggio sulla politica estera russa pubblicato una settimana dopo dalla rivista Ekspert, Lavrov ha dato l'impressione di tornare alle discussioni di Bruxelles facendo un'interessante rivelazione: "Stiamo [a Mosca] anche assistendo a barlumi di spostamenti qualitativi negli Stati Uniti e in Europa nell'analisi della fase attuale degli sviluppi mondiali, anche se per ora solo al livello della comunità degli specialisti. È al contempo ovvio che i nostri partner pensano che il processo di elaborazione sia cominciato. Una delle conclusioni è il riconoscimento del carattere fondamentalmente non ostile della politica estera russa".
Con l'assassinio di Bhutto Washington deve ora affrettare il "processo di elaborazione". Va presa una decisione importante. Sia l'Iran, sia la Russia sarebbero partner ragionevoli nella "guerra al terrore" in Afghanistan. Ma nessuno dei due risponderebbe a un impegno selettivo di Washington. L'amministrazione Bush avrà bisogno dello shakespeariano Shylock per soppesare il vantaggio relativo di ingaggiare l'Iran o Mosca. È qui che il prossimo viaggio di Bush in Israele, nei territori palestinesi e tra gli alleati del Golfo Persico potrebbe tornare utile.
Una cosa è già chiara. La questione nucleare iraniana non se uscirà di scena. Ultimamente può avere avuto una svolta positiva, ma, come ha notato il cinese People's Daily, questo è lungi dall'essere un epilogo. Gli Stati Uniti "dovranno far fermentare nuovi piani ed elaborare nuove strategie in merito alla questione nucleare iraniana sia durante che dopo l'amministrazione Bush... L'Iran potrebbe trarre vantaggio dalla disparità tra le potenze mondiali: potrebbe cercare di ottenere un clima internazionale e una posizione strategica più favorevoli. In conclusione, le parti interessate nella questione iraniana stanno attualmente considerando i propri interessi in rapporto alle condizioni attuali in preparazione di una nuova tornata di confronti strategici".
Punto interrogativo sulla strategia globale degli Stati Uniti Ma Mosca pone delle difficoltà ancor più fondamentali. Nella fase preparatoria dell'incontro di Bruxelles, in esaurienti commenti riportati dai media, un portavoce del ministero degli esteri russo a Mosca ha sottolineato a dicembre che i rapporti di Mosca con l'alleanza atlantica erano caratterizzati "sia da successi che da complicazioni". Ha detto che il lavoro che li attendeva non sarebbe stato facile.
Tra le aree problematiche, ha elencato le "implicazioni legali internazionali" della trasformazione della NATO come organizzazione politica globale fuori dal controllo delle Nazioni Unite; le strutture militari della NATO che "si avvicinano ai nostri confini"; gli ulteriori piani di allargamento della NATO; le divergenze sul Trattato CFE sulle Forze Armate Convenzionali in Europa; e "lo sviluppo di un terzo sistema di difesa anti-missile globale degli Stati Uniti in Europa e il suo coordinamento con la ricerca e lo sviluppo in materia di difesa anti-missile nell'ambito della NATO".
In altre parole, nello scenario post-Bhutto, è necessario che Washington riveda i propri piani in vista del prossimo summit della NATO a Bucarest, in aprile. La terza fase dei piani di allargamento della NATO era tra i principali punti di discussione a Bucarest. Adesso il Pakistan e l'Afghanistan li faranno inevitabilmente passare in secondo piano.
Washington andrà avanti con i vecchi piani perché la NATO appoggi l'ingresso di Ucraina e Georgia? Nell'attuale situazione di crisi in Afghanistan e in Pakistan, può l'amministrazione Bush permettersi di contrariare il Cremlino? Come ha ammonito un portavoce russo: "Noi [Mosca] siamo convinti che il processo di allargamento della NATO non abbia alcuna attinenza con la modernizzazione dell'alleanza stessa o con la necessità di garantire la sicurezza dell'Europa. Anzi, è un grave fattore di provocazione, che porterà ad altre divisioni e abbasserà il livello di fiducia reciproca".
Il Cremlino si è espresso chiaramente, non sarà soddisfatto neanche se gli Stati Uniti e l'Europa non insisteranno sull'indipendenza del Kosovo, o procederanno al dispiegamento della NATO nella repubblica separatista ponendosi fuori dal contesto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Lavrov ha sottolineato che "La cosa principale è tentare di lavorare insieme su una base di reciproco rispetto, e di rispetto per le altrui analisi delle minacce oggi a noi comuni". Ha enfatizzato il fatto che al summit di Bucarest, se la NATO dovesse andare avanti con la sua politica di allargamento parallelamente alla trasformazione dell'alleanza "[a Mosca] siamo convinti che ciò non contribuirebbe a rafforzare la nostra sicurezza comune o a combattere le comuni minacce". Il monito implicito è che la collaborazione nella "guerra al terrore" potrebbe avere come condizione la rinuncia da parte di Washington alla politica di contenimento nei confronti della Russia.
È ovvio che sia Mosca che Teheran ora giudicano che la crisi in Afghanistan e in Pakistan influisca direttamente sulle strategie globali statunitensi. Se la NATO fallisse in Afghanistan, sul futuro dell'alleanza sorgerebbe un grande punto interrogativo. Come osservava un rapporto compilato in ottobre dal Congressional Research Service degli Stati Uniti, la missione della NATO in Afghanistan è "un test della volontà politica e delle capacità militari dell'alleanza". Ma non è tutto. Quello che i think-tank americani oscurano è che a essere in dubbio è la capacità stessa degli Stati Uniti di mantenere il proprio ruolo di leader dell'alleanza atlantica nell'era post-Guerra Fredda.
Sia Mosca che Teheran hanno da guadagnare da un mondo multipolare in cui la loro influenza regionale possa avere un ruolo maggiore. Se Washington fallisce nella sua strategia post-Guerra Fredda, che consiste nel potenziare la NATO improvvisando ed esagerando l'importanza di un nemico (come al-Qaeda), la strada verso il multipolarismo si appianerà in misura consistente. È significativo che Teheran e Mosca si rifiutino di caratterizzare l'assassinio di Bhutto come opera di al-Qaeda.
La reazione di Pechino è stata ugualmente cauta. Un portavoce del ministero degli esteri cinese ha inizialmente condannato l'assassinio di Bhutto come "atto di terrorismo". Ma il vice ministro degli esteri He Yafei, che il giorno successivo ha fatto visita all'ambasciata del Pakistan per firmare il libro delle condoglianze, non ha neanche nominato il terrorismo, limitandosi a esprimere la speranza che il popolo pakistano "riuscisse a superare l'attuale difficoltà quanto prima, salvaguardando la stabilità sociale e lo sviluppo del paese".
I commentatori cinesi hanno osservato che "la situazione in Afghanistan si è dimostrata molto più complessa del previsto" e che per la NATO era diventato difficile "coprire la posizione imbarazzante delle truppe nel paese". Lo scorso anno un articolo del People's Daily osservava che la sconfitta in Afghanistan, unita al deterioramento dei rapporti della NATO con la Russia e al fallimento dei tentativi compiuti a Bruxelles per assicurarsi un punto d'appoggio nell'Asia Centrale, ha impedito all'alleanza di realizzare il proprio obiettivo in base al quale il 2007 sarebbe dovuto essere l'anno della "trasformazione".
Secondo l'articolo, "l'influsso degli Stati Uniti nella NATO è diminuito e il ruolo transatlantico degli Stati Uniti sta diventando incerto. Si era sperato che il cambiamento di vertici in Germania, Francia e Gran Bretagna potesse iniettare nuova vitalità nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa. Ma è ancora difficile capire se la nuova 'troika' possa portare alla situazione ottimisticamente prevista da Washington".
I tre paesi - Russia, Cina e Iran - condividono apertamente l'interesse a verificare che la Shanghai Cooperation Organization e la Collective Security Treaty Organization abbiano un ruolo significativo nella stabilizzazione della situazione afghana. Nessuno dei tre paesi ha gradito il monopolio degli Stati Uniti (o della NATO) sulla soluzione del conflitto in una regione così importante per la loro sicurezza, anche se appoggiano la "guerra al terrore" in Afghanistan in quanto tale.
Chiaramente con l'assassinio di Bhutto e con il Pakistan sull'orlo dell'abisso, l'amministrazione Bush si trova di fronte alla possibilità che la strategia globale attorno alla "guerra al terrore" e all'"islamofascismo" vada a monte. Una facile via d'uscita consisterebbe nel convincere il Generale Kiani a diventare il "nuovo uomo di Washington in Pakistan", così che la caccia ad al-Qaeda possa continuare.
M. K. Bhadrakumar ha lavorato come diplomatico di carriera nell'Indian Foreign Service per più di 29 anni, ricoprendo posti come quelli di ambasciatore in Uzbekistan (1996-98) e in Turchia (1998-2001).
Articolo originale pubblicato il 4 gennaio 2008 traduzione originale qui con molte grazie all'autrice per la generosa condivisione.Etichette: forse, storia (contemporanea) |
postato da la Parda Flora
alle 16:27
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