30 dicembre 2007
Sordità
Come purtroppo altre volte m’è accaduto, leggo su di un blog il riflesso di un fatto di cronaca: chi abbia letto la notizia dell’omicidio-suicidio in Friuli, può trovare qualche elemento di riflessione, se non di lettura di quei fatti, qui.
Dire che le festività di Natale vedono il maggior picco di suicidi annuale, è decisamente banale, da tanto il dato è risaputo: è quando la società ti impone come un dovere la felicità, che tu senti maggiormente la tua inadeguatezza, il tuo dolore. Anche se quella attuale mi sembra una società nella quale, con buona pace di tutti, solo i beoti possono essere felici. Ma tant’è...
Per Freud la radice della depressione, che è una malattia e nella forma reattiva fra le sue cause scatenati riconosce anche il pensionamento e il lutto - e si vive come lutto anche la perdita di una parte del proprio corpo - stava nel senso di colpa, che qualche geniale psicanalista ha di recente “scoperto” si sia oggi trasformato in “senso di inadeguatezza”.
Come se nella nostra società, in qualsiasi società, non ci si sentisse in colpa quando non si rispettano più gli standard qualitativi culturalmente imposti: cambiano le richieste, non cambia il sentimento disperante di chi non ha la capacità (non la volontà, ché proprio quella è annichilita dalla malattia) di corrispondere a quelle richieste. E così inizi a sentirti spinto ai margini della vita; mentre la corrente pare trasportare gli altri verso qualcosa, tu ti senti arenato, finito, in un mondo così opprimente, grigio e cupo che, anche se ammetto di non riuscire a capirlo se non intellettualmente, nel momento finale arrivi a concepire come un gesto di pietosa liberazione il portare via con te anche le persone che ami.
Ma di questo ennesimo gesto disperato, sempre più frequente nelle pagine di cronaca locale, ciò che mi ha dato veramente da riflettere, a parte il cordoglio per chi è morto e chi lo conosceva - e per una volta forse sarebbe il caso di fare lo sforzo di cercare di capire, e non come è tanto più facile e rassicurante, giudicare - è il tipo di commenti che il ritratto, piuttosto eloquente ed efficace nel tratteggiare una caratterialità borderline e una serie di cause che possono aver condotto a quel gesto, ha raccolto.
Voglio dire, chi viva certe situazioni non è mai silenzioso: persino il suo silenzio urla, per chi lo voglia - davvero - sentire.
E allora, di fronte a generiche o colte considerazioni sul non senso della pretesa normalità - in genere, quella di chi parli - e sulla sordità della società o della gente, (sordità per altro verissima, anche se credo più da disattenzione che da reale danno organico, dato che gli esseri umani in genere allontanano e rimuovono tutto ciò che è potenziale fonte di disagio o richiesta di impegno emotivo ed empatico) verrebbe voglia di esortare ad un generale uso più regolare di cotton fioc e altri arnesi che mantengano libero e ben funzionante il meato uditivo. Così, magari, le “voci sottili” con le quali chi si stia avviando su cammini solitari e pericolosi sempre chiede aiuto, potrebbero ogni tanto essere sentite anche prima del fragoroso urlo finale, e consentirebbero di risparmiare tante generiche parole di condanna sulla società e la gente. E magari anche di evitare di finire per avere ognuno, uno di questi fantasmi disperati nei nostri ricordi personali.
Come se, in realtà, alla fin fine la gente e la società non fossimo tutti noi.

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postato da la Parda Flora alle 09:05  

 

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