12 luglio 2007
Paradise?
Amica mia carissima, sorella dell'anima,
sono pochi giorni che è passato il terzo anniversario della tua morte. Cerco parole nuove per un dolore che non riesce ancora a sopirsi nonostante il tempo, ma non le trovo: ho innaffiato il tuo alberello verde e rigoglioso, sai, quello nel grande vaso sulla tua tomba, e ho carezzato per un attimo le sue foglie, pensando fossi tu, e ho sentito un dolore così forte, un vuoto così grande... ogni primavera tremo all’idea non germogli più, e invece, il piccolo miracolo si ripete, e tu sei un pochino meno lontana... A volte anzi ti sento proprio vicina vicina, ma questa volta invece ho provato la voglia di venire io da te, a trovarti (c’è mancato poco) - e tu sapessi quante parole non dette se ne stanno dietro i denti, ché solo a te le potevo dire!
Cerco parole nuove, ma ritrovo solo le stesse di sempre, come allora, come un anno fa: tu che stavi male da mesi, sempre peggio; il tentativo di cambiare cure, lo sforzo di starti il più vicina possibile, sapendo che te ne stavi andando per sempre, che il tuo momento era arrivato. Eppure, il giorno prima di entrare in coma, hai ancora avuto la forza di stringermi e dirmi il tuo affetto.
Sai, qualche mese fa ho conosciuto sulla mia pelle, quella tua orribile fame d’aria, quella grande stanchezza che ti si leggeva negli occhi, secondo dopo secondo, mentre la malattia ti consumava. Ho conosciuto per qualche attimo quella strana terra di nessuno, nella quale passeggi senza sapere bene neppure tu che fare: restare? oppure andartene? ché a volte sembra così riposante l’idea di lasciarsi andare: lo sa bene il medico del pronto soccorso che mi ha prestato le prime cure.
Io continuo a ricordarti così...
Già quel pomeriggio i tuoi begli occhi erano diventati acquosi, assenti, distanti: io ti parlavo, ti parlavo affastellando tutto quello che volevo tu potessi portare con te, di questi lunghi anni di amicizia, a volte lieti e a volte disperati, nei quali c’eri stata sempre. Io parlavo parlavo, ma chissà se tu mi sentivi? Eri già in coma.
Verso le 11 lo sfinimento delle molti notti in bianco mi ha sopraffatta, appoggiata a un ricovero di fortuna, crollata per la stanchezza e il sonno: poi, alle tre, sveglia di colpo, quasi una voce mi avesse chiamato - ecco che te n’eri andata, silenziosa e discreta come sei sempre stata. Sola.
Nessuno dovrebbe morire solo, e questa colpa me la porterò a lungo con me, anche se è stata probabilmente questione di minuti... tu avevi solo me!
A chi la racconti, una sofferenza che ti strazia l’anima, alle tre del mattino? Unica saresti stata tu, come molte volte avevi fatto, ma non c’eri già più.
Così mi ricordo raggomitolata, a lamentarmi, lamentarmi come un animale, dove non dessi fastidio ad altri, perché il mio non era piangere umano, era dolore che cercava voce.

Sono passati tre anni da allora, tre anni - amatissima amica, amica mia - e ancora se ti penso non riesco a non piangere. Nessun altro potrà mai essere quello che sei stata tu: grazie di esserci stata, e di avermi voluto così bene.

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postato da la Parda Flora alle 11:19  

 

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