29 giugno 2007
Osservazione n.1
Ieri mattina, davanti alla finestra della cucina c‘erano quattro merli. Diconsi quattro!
Giovinastri sbruffoncelli, giovani teddy boy in giubbotto nero, passeggiano dondolando un po’ sul muretto della recinzione, zampettando spavaldi. Essi sanno - almeno così credo, guardandoli radunarsi con aria da bulletti proprio qui davanti - che Smilla dedica parte della mattina al bird watching, non potendo più praticare direttamente la nobile arte venatoria.
Non inganni la sua aria rotondetta: è un’ottima cacciatrice. Evidentemente, nella sua vita precedente, che mi è sconosciuta, ha avuto un rapporto sufficientemente lungo e proficuo con la madre. Così, con tecnica degna di un guerrigliero viet-cong si appostava in giardino sotto i cespugli, in paziente attesa di poter depositare un gentile omaggio di piccioni e merli sul mio zerbino. Ora invece si deve accontentare di lanciare buffi gridolini di eccitazione, mentre le trema il mento nello spiare gli uccelli sfacciati fuori dalla finestra.
Li ascolta zirlare, e sbatte ritmicamente la coda, per sfogare almeno un po’ la tensione muscolare che s’intuisce vibrare sotto la sua pelliccia da soriano.
Anche il signor P. osserva incuriosito e interessato, ma con maggior distacco: il suo sguardo azzurro sul mondo, infinitamente fiducioso e attento, è quello di un giovane privilegiato che non ha mai provato la vita di strada. Non c’è malizia in lui, o urgenza predatoria, solo una curiosità innata che si riversa sugli spavaldi uccelli neri che s’affollano in giardino. Si sporge, e Smilla lo rimette al suo posto di giovincello con una zampata e uno sbuffo degno d’un serpente: il posto in prima fila è per lei. Intanto il caldo entra in cucina e io vorrei che i miei giovani esploratori se ne andassero a dormire. Smilla sbadiglia, e abbassa le orecchie appiattendole sulla testa da tigre che si ritrova, il signor P. invece fa schioccare i denti - clack - come una tagliola, e s’avvia verso la sua cuccia, con andamento regale, probabilmente ereditato dal bisnonno bostoniano. S’accuccia, bisticcia un po’ con la sua coda piumosa, quasi essa non gli appartenesse, e dopo averla ridotta a più miti consigli, si copre gli occhi con le zampe e s’appresta a pisolare, con appena un accenno d’occhiaie sul musetto bianco.
Smilla no. S’avvia timidamente alla porta e tenta di farsi aprire, ma dopo che è stata aggredita ed ha avuto un mese di convalescenza dopo un piccolo intervento chirurgico, resta in casa. Ascolta le voci degli uccelli sugli alberi del giardino e muove le orecchie come un radar. Poi pigramente, senza neppure una gran fatica, sale sul mio tavolo e mi chiama per uno scambio di coccole. Stringe gli occhi, struscia il suo nasone biscottato da tigre contro il mio viso, lancia versetti gentili di amicizia. Tutta la sua mimica è volta a ribadire che siamo membri dello stesso clan, così stringe gli occhi e appoggia il muso contro il mio viso e ronfa, con forza. Talvolta mi lecca, con impegno e vigore. E’ arrivata a casa mia già adulta: non so quali siano state le sue esperienze precedenti. So però che ha un carattere dolce e tranquillo, e ogni giorno pare attaccarsi sempre più alla sua famiglia adottiva: mi sale addosso per essere tenuta in braccio, ronfa sonora, dimostra fiducia e affetto, mi parla spesso, a modo suo, ovvio. Ci sono momenti nei quali questo suo bisogno di contatto e rassicurazione è commovente. I suoi baffi, un po’ bianchi un po’ neri, fremono e i suoi occhi verde foglia mi scrutano amorevoli.
La vicinanza con il signor P. le ha fatto ritrovare piccole gesti infantili, manie da cucciolo: bisticciano rincorrendosi per casa, poi fanno pace e lei gli ispeziona rudemente orecchie ed occhi, assicurandosi che tutto sia pulito e in ordine. Se il signor P. si spazientisce, gli tira uno scapaccione, e poi riprende imperterrita il suo ruolo di mamma (o forse zia) adottiva, leccandolo con vigore; lui chiude gli occhi, immobile, di fronte a questo segnale che Smilla lo riconosce far parte del suo clan familiare e lo accetta. Talvolta però l’entusiasmo giovanile del signor P.sfiancherebbe anche la pazienza più profonda, così volano urla e ciuffi di pelo, fra sbuffi esasperati e grida di battaglia.
Di solito è il signor P. a uscire perdente da questi scontri, e si placa acciambellandosi a dormire: allora io mi ritrovo con un gatto appoggiato a una gamba e un altro appoggiato all’altra, e inizio la mia notte nel “sacco a pelo”. Pazientemente mi raggomitolo anch’io e cerco d’immaginare i loro pensieri: così ci addormentiamo, in attesa di un nuovo giorno.

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postato da la Parda Flora alle 12:36  

 

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