In un blog che leggo regolarmente, stamane (quasi miracolosamente, perché Splinder era in una delle sue regolari fasi di manutenzione, e chiunque abbia scelto tale piattaforma era in pratica irraggiungibile) ho trovato una riflessione sul conformismo - auto conformismo, ovvero, direi io, sull'incapacità di uscire da schemi mentali, alla cui formazione e successiva cristallizzazione contribuisce anche la linguistica. E' (molto in soldoni) il concetto della mappa mentale neurolinguistica, intuita dal sovietico Vigotskij, che affermava che "il pensiero non si incarna nella parola, ma si conclude nella parola", e quindi sottintendendo un passaggio complicato e complesso del pensiero nel linguaggio esteriorizzato. Da qui parte poi il suo connazionale Lurja, psicologo che di problemi di neurolinguistica e di comunicazione verbale si è interessato a fondo, rappresentando una pietra miliare per chi si occupi di questi argomenti. Il concetto che egli elabora di mappa mentale, sottintende l’esistenza - non espressa e sovente non riconosciuta dal soggetto direttamente interessato - di alcuni assunti illogici ed errati nel pensiero pensato, ma non in quello espresso verbalmente o concretizzato nei fatti. Tali assunti sono ormai talmente radicati nel profondo di ciascuno di noi, da spingerci talvolta ad alterare concretamente la corretta percezione del mondo esterno, e di quanto da esso ci provenga, allo stesso tempo distorcendo anche la logicità del nostro modo di pensare noi stessi, il mondo esterno a noi, e i rapporti che intercorrono fra queste due componenti. Argomento del quale mi sono occupata più diffusamente in altre sedi.
Ma per tornare al tema del conformismo - lo ricordate il film “Harold e Maude” di Hal Ashby, un vecchissimo film del 1971, fosse altro che per la colonna di Cat Stevens? Il quel film, a un certo punto la saggia ottantenne Maude dice: “Io credo che molte sofferenze vengano da chi sa di essere diverso e tuttavia lascia che gli altri lo trattino come un uguale.”
Quasi come in una delle poesie più famose di Sandro Penna... "Beato chi è diverso, essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso essendo egli comune».
Le cito perché mi pareva meritassero entrambe qualche riflessione, che ognuno può fare da sé, nel loro apparente aspetto giocoso del calembour... e comunque mi riconosco in entrambe, spudoratamente, pur conoscendo molti patetici comuni convinti orgogliosamente di essere diversi. Sarà che, della mia parte comune, io almeno sono consapevole. Così vorrei usare, infine, una citazione da Leonard Cohen, poeta e cantautore, perché mi ci ritrovo molto e sintetizza, molto meglio di me, cose che mi piacerebbe riuscire a spiegare... la scrittura; l’aspetto quasi da artigiano di bottega del quale avevo già accennato qualche tempo fa; quell'opus, come l’avrebbe chiamata, singolarmente, anche Zenone protagonista dell’Opera al Nero, che amo molto; il daimon di Platone che ci governa, timido o selvaggio ... e che sono tutto ciò che abbiamo. "Di solito tendo alla tristezza. Per alcune canzoni ho impiegato diversi anni. Nessuna di essa è stata un parto facile, dopo tutto questo è il nostro lavoro. Tutto il resto va spesso in malora, in bancarotta totale, e così quel che rimane è il lavoro, ed è quello che faccio per tutto il tempo, lavorare, creare l'opus della mia vita. Il nostro lavoro è l'unico territorio che possiamo governare e rendere chiaro. Tutte le altre cose rimangono confuse e misteriose".
(Un giovane Cohen dalla voce ancora aspra, priva di quelle rotondità pastose e ricche che la caratterizzano ora, con una vecchia canzone, The partisan, per ricordare che giorno è domani, dal momento che se esiste la Repubblica, oltre che di chi votò, il merito è anche di tutti coloro che contribuirono a liberare l'Italia dalla dittatura fascista, e dalla guerra nella quale tale dittatura l'aveva trascinata...)Etichette: cose ritrovate |