Cerco un senso alla mia vita. Forse lo attendo - attendo che una qualche epifania, della quale però inizio a disperare, visti gli anni passati, mi mostri il senso della mia vita. Il momento nel quale ci sono stata più vicina fu, credo, molti anni fa, distesa sul prato dietro casa, all’ombra di un pero troppo piccolo per poter dare ancora frutti, in compagnia del mio gatto bianco e nero, il mio compagno di giochi prediletto. Guardavamo insieme le nuvole come aruspici, anche se naturalmente non lo sapevamo, e per un breve sfolgorante attimo io sentii che qualcosa si apriva, si disvelava in quelle rune celesti in perenne movimento. Ma poi l’attimo passò, e restai sola con un gatto soffice stretto fra le braccia. Nonostante chi mi conosce bene sappia che sono una persona ironica, che ama molto ridere, e lo fa con il cuore, il dolore di quest’attesa spesso mi schianta. Vedo l’inutilità del tempo che passa, vedo l’inutilità della mia vita, rispetto a quell’unico attimo con il gatto stretto fra le braccia, vedo il silenzio diventare gelo. Forse, nella nostra attesa, attendiamo Dio, ovvero attendiamo un senso che vada oltre la piatta logica della biologia. la speranza di non essere ridotti a nulla, la risposta e il senso delle prove superate - la malattia, il dolore, i lutti, lo strappo straziante di coloro che amiamo e non avremo più - Come un viaggio del quale non si conosca la destinazione e del quale ogni notte si tracci un nuovo tratto di cammino. Distruggendo e ricominciando, caparbiamente. E forse il senso della mia vita è proprio qui. Dicevano i vichinghi
Solo lo stupido pensa che vivrà per sempre se eviterà la battaglia. Ma la vecchiaia non gli dà tregua, anche se le lance gliela danno.Etichette: comunicazioni di servizio, diario, extra vagantes |