13 settembre 2007 |
Enethiche |
Possiedo, di Enethiche, di Franco Pilon, la copia numero 18 della prima edizione, con una dedica pieno di affetto, coincisa con una stagione della nostra vita che ci vide abbastanza cari amici. Ora, ho scoperto che il volumetto di poesia in memoria del padre perso, all'epoca con una prefazione tenera e ricca di stima da parte di Carlo Rao, verrà ripubblicato.
E così ne parla Franco:
"Esistono periodi della nostra vita (anche assai lunghi) che sembrano volere il nostro annullamento. Quei momenti, tuttavia, non sono affatto inutili. Sono un segno divino. E’ in quei momenti che meglio sappiamo amare la vita ed è in quei momenti che dimostriamo se la meritiamo oppure no. Sovente in quei momenti sappiamo creare le nostre opere artistiche migliori, ma ne vale la pena? Domandiamoci piuttosto: al prossimo interesseranno le nostre sventure? Superare la criticità, evitare l’autolesionismo e ritornare alle nostre consuete attività come se fosse il migliore dei nostri giorni e non fosse accaduto alcunché, è il primo passo da fare per avere successo. Il considerarlo può essere di gran utilità... Occorre allora continuare a commiserarsi? Scegliere di vivere è, invece, cosa saggia. Scegliere di vivere, riconoscendo i nostri limiti, sgonfiando del tutto il nostro super ego. Poi andare a trovare chi ci sperava morti o ancora addolorati, per far loro vedere quanto si è vivi e quanto si sta bene. Per dar loro una mano quando ne avranno bisogno.
L’autore, ripensando a se stesso, oggi"
Ricordando il dolore straziante che contraddistingueva la sua vita, rischiando seriamente di piegarla per sempre, sono felice di leggerlo con questa nuova forza.
Vidi, acquetremule acque i miei occhi, l’ allumacare a luglio di Benedettini antichi come il sole che strozzavano stoppini, scucivano drappi, sacravano olisanti e pietosi dissodavano i campi mentre sentieri pietrosi rigettavano idolini di sotto, il bel colle spandea terra di pianto e a morto a morto un canto di preghiera riviveva corto. * Lucevano i miei occhi e pure vidi, poiché era omai tempo di grano e di florenza. Allora a terra lemme lemme si chinavano i frati com antere al vento e di lontano le badesse a stento toglievansi l’ odore di sudore per lietarsi di mirra e d’ incenso, imbattendosi in ataviche questio. * Altro giorno veniva e i fraticelli incrociavano gli occhi di latte (…) * Alfine v’ era chi leggeva incuriosito il Sillabo, chi slentava il cordone del saio, chi (…) * C’ era chi torturava i rami secchi con scheggine di selce color lava e dal cielo ove piovigginava piovevano gli angeli, come le prime foglie dell’ autunno, mentre più su Iddio sottovocava una triste canzone, tristemente. * Mai un Bovolo nella Calle di Vida che storni noi fra i suoi gradini tanti poi che scalzi i cammini rifacciamo e di nebbia l’ aurora di Mida. * Ed immersa nel verde la vita incominciava, altra volta, eziandìo. (…) * Or sì che si scambiavano i signi della pace – così in calce nel cantico era scritto – (…) * Erme le ciglia fitte s’ arricciavano (…) * Di quei solatii loghi son rimasti le volte dei portali, i due pozzi sotterra e sparpagliate paglie a colombera. ° Ma po’ più in qua dell’istrada per l’ Istria, Ennio, tenevi mani da Giovan Battista sono gli strali immanicati all’ asta di corniolo -. Senza Scritture ma cum calamo e folio anzitutto mettesti ogni cosa al suo posto ed anzitutto l’ historia fu bella eppoi il libro nel paniere, il libello nel pozzo, quell’ amore di troppo sotterra. Indi tu apristi gli occhi alabastrato Nelle perse stagioni dell’ autunno acciocché l’ocra era il virgulto di colori negli ori dell’ alba, nel ceruleum tramonto. ° Anche tu tu allor odoravi d’ idromele et muschio e poiché i cardi eran da rispettare e da osservare i campi carghi di flora e di semenza, i leggii secenteschi e i quadri intinti, io ognora fui raccomandato di piantar piante ognora, su semi semi, nell’assenza. ° (continua) Etichette: cose ritrovate |
postato da la Parda Flora
alle 20:05
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