20 luglio 2007
L'ultimo spettacolo
“Un mondo che considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze e squilibri al suo interno, ma forte di un’amministrazione stabile e di un’economia integrata; all’esterno, popoli costretti a sopravvivere con risorse insufficienti, minacciati dalla fame, e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi e immigrati; e autorità di governo che debbono decidere volta per volta il comportamento da tenere verso queste emergenze, con una gamma di opzioni che va dall’allontanamento forzato all’accoglienza in massa, dalla fissazione di quote d’ingresso all’offerta di aiuti umanitari e posti di lavoro. Potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l’impero romano di fronte ai barbari, prima che si esaurisse, con conseguenze catastrofiche, la sua capacità di gestire in modo controllato la sfida dell’immigrazione”.
Non occorre andare lontano per trovar queste parole di Alessandro Barbero, docente di Storia medievale presso la sede di Vercelli dell’Università del Piemonte Orientale: aperto il libro “Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano”, primo tentativo di una trattazione organica delle strategie dell’Impero, “dall’epoca di Augusto a quella di Teodosio”, sono lì, proprio all’inizio di tutto, potremmo dire, incredibilmente attuali nella loro lucidità.
Ora, secondo me lo studio della storia non è che insegni granché, nonostante la maggior parte delle persone, quelle che la frequentano meno, probabilmente, sulla base della famosa definizione di Cicerone, siano convinte del contrario. Se la storia fosse davvero maestra di qualcosa, con tutte le nefandezze che ha collezionato in millenni, oggi noi, allievi disciplinati e lungimiranti, vivremmo nel paradiso, il che proprio non mi pare accada.
Anche i corsi e ricorsi storici, in realtà, lasciano il tempo che trovano, perché un accadimento non si presenterà mai con le stesse identiche variabili, e quindi le stesse possibilità di soluzione o evoluzione. E allora, come reagire di fronte ad un’analisi così vicina al nostro quotidiano, anche se si colloca a quasi due millenni di distanza?

"Ascolta, ti ricordi quando venne la nave del fenicio a portar via me, con tutta la voglia di cantare gli uomini, il mondo, e farne poesia? Con l'occhio azzurro io ti salutavo, con quello blu io già ti rimpiangevo; e l'albero tremava e vidi terra, i Greci, i fuochi e l'infinita guerra...
Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano, e mi mostravano la sorte come a dire: "Noi scegliamo, non c'è un dio che sia più forte". E l'ombra nera che passò ridendo ripeteva: "No..."
Ascolta, ero partito per cantare uomini grandi dietro grandi scudi, e ho visto uomini piccoli ammazzare, piccoli, goffi, disperati e nudi...

Laggiù conobbi pure un vecchio aedo che si accecò per rimaner nel sogno; con l'occhio azzurro invece ho visto e vedo, con l'occhio blu mi volto e ti ricordo...
Ma tu non mi parlavi, e le mie idee come ramarri ritiravano la testa dentro il muro quando è tardi, perché è freddo, perché è scuro, e mille solitudini e i buchi per nascondersi... Ho visto fra le lampade un amore: e lui che fece stendere sul letto l'amico con due spade dentro il cuore, e gli baciò piangendo il viso e il petto...
E son tornato per vederti andare, e mentre parti e mi saluti in fretta, fra tutte le parole che puoi dire, mi chiedi: "Me la dai una sigaretta?"
Io di Muratti, mi dispiace, non ne ho - il marciapiede per Torino, sì, lo so - ma un conto è stare a farti un po' di compagnia, altro aspettare che il treno vada via. Perché t'aiuto io ad andare non lo sai, sì, questo a chi si lascia non succede mai; ma non ti ho mai considerata roba mia, io ho le mie favole, e tu una storia tua.
Ma tu non mi parlavi, e le mie idee come ramarri ritiravano la testa dentro il muro quando è tardi, perché è freddo, perché è scuro, e mille solitudini e i buchi per nascondersi...
E non si è soli quando un altro ti ha lasciato, si è soli se qualcuno non è mai venuto... però scendendo perdo i pezzi per le scale, e chi ci passa su non sa di farmi male. Ma non venite a dirmi "Adesso lascia stare", o che la lotta deve continuare, perché se questa storia fosse una canzone con una fine mia, tu non andresti via."

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postato da la Parda Flora alle 07:48  

 

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