20 marzo 2007
Perché nei blog si scrivono tante cose stupide?
“Perché devo avere una faccia così sgradevole?” si chiede (il mio padrone) avvicinando lo specchio a una decina di centimetri dagli occhi. (...)
Non capisco bene se stia ancora studiando segni lasciti dal vaiolo o facendo la gara con lo specchio a chi distoglie gli occhi per ultimo. Poiché ha sempre mille fantasie in testa, si potrebbe pensare che guardarsi lo induca a darsi libero sfogo. Niente affatto. Se vogliamo interpretare il frivolo comportamento del mio padrone nello spirito zen, spiegarlo in un’ottica filosofica, potremo dire che fa tante smorfie davanti a uno specchio solo per riuscire a conoscersi veramente. Ogni studio che gli esseri umani conducono è una ricerca su se stessi. Il cielo e la terra, i monti e i fiumi, la luna e il sole e le costellazioni tutte non sono che i modi diversi per designare se stessi. Se si rinuncia all’Io, non si troveranno altre materie di studio. E se l’uomo potesse uscire dalla propria individualità, nello stesso momento il suo Io sparirebbe. L’unico studio possibile è quello di se stessi, non si può studiare un’altra persona. Non è concepibile, anche se c’è chi vorrebbe farlo, e chi vorrebbe essere oggetto di studio da parte di altri. Ecco perché da sempre gli eroi sono diventati tali con le loro sole forze. Se potessimo capire il nostro animo tramite qualcun altro, gli potremmo far mangiare della carne al posto nostro per sapere se è tenera è dura. Tutte le attività cui ci dedichiamo quotidianamente - ascoltare trattati giuridici il mattino, sermoni buddisti la sera, passare la notte nello studio a leggere fasci di testi alla luce di una lampada - sono soltanto mezzi per aprire il nostro spirito all’illuminazione senza far ricorso ad altri. Tuttavia il nostro Io non è presente nella legge che ci spiegano, nella via che ci illustrano, nei cumuli di libri mangiati dai topi. Se vi è presente, è solo uno spettro. E’ vero però che in certi casi uno spettro è superiore a un essere senz’anima, e non è detto che inseguendo un’ombra non si possa incontrare la sostanza. Perché la maggior parte delle ombre non se ne distacca. Se il gingillarsi con lo specchio del mio padrone ha questo senso, allora penso che lui sia degno di stima. Che valga molto più di tutti quegli studiosi che si vantano di aver letto tutto Epitteto.
Lo specchio è uno strumento che esalta la vanità, è vero, ma al tempo stesso sterilizza l’orgoglio. Non c’è oggetto che istighi maggiormente gli stupidi ad abbellire il loro aspetto esteriore. In due casi su tre, è la causa dei danni che un orgoglioso privo di mezzi arreca a se stesso o ad altri fin dai tempi antichi. L’inventore dello specchio avrà la coscienza sporca, così come si macchiò di una grave colpa quel medico che al tempo della rivoluzione francese ebbe la fantasia di inventare una macchina per decapitare la gente.
Tuttavia, quando si è scontenti di sé, quando si è in preda allo scoraggiamento, non c’è rimedio più efficace che guardarsi allo specchio: si ha una immediata e chiara percezione del bello e del brutto. Ci si meraviglia di aver vissuto fino a quel momento mostrando al mondo quella faccia. E quest’improvvisa consapevolezza è un momento prezioso nella vita di una persona.
Nulla è più utile ad un essere umano della percezione della propria stupidità. Davanti a uno stupido che sa di esserlo, tutti coloro che hanno un’alta opinione di sé dovrebbero scusarsi e abbassare la testa per la vergogna. Anche se lo stupido in questione si compiace di disprezzasi e di ridere di sé. Il padrone forse non ha la saggezza di riconoscere la propria follia, però è capace di considerare oggettivamente i segni lasciati sul suo volto dal vaiolo. Ammettendo di essere brutto ha già fatto il primo passo verso la comprensione della propria grettezza spirituale. E’ un uomo in cui si può sperare. Può darsi che la lezione che gli ha impartito il filosofo stia dando i suoi frutti.
(...)
Il padrone apprezza incondizionatamente tutto ciò che non capisce. Non è certo il solo a comportarsi così. Ciò che non comprendiamo contiene un elemento che sfugge alla nostra valutazione, e sottraendosi al nostro disprezzo acquisisce un’aura di nobiltà. Per questo motivo gli uomini di mondo fingono di aver capito ciò che è loro oscuro, e gli studiosi espongono argomenti semplici in maniera astrusa...
Da sempre ammirare qualcosa di enigmatico facendo mostra di capire è cosa piacevolissima...

"Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho.", 1905
Natsume Sōseki

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postato da la Parda Flora alle 16:58  

 

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