13 marzo 2007
Iside (3)
Giungiamo così ai lati più oscuri, e che maggiormente hanno colpito, nei secoli, la fantasia umana circa questa peculiare divinità.
La sua saggezza e la sua magia arrivano persino in India, dove ella acquisisce il nome di Maia.
Anche Iside, come molti altri dei, comunica coi mortali attraverso il sogno, e così essa occupa un posto importante nei testi di oniromanzia.
Nell’Egitto antico, troviamo Iside, in quanto maga, coinvolta nella lotta contro il serpente Apopi, personificazione del male, che cerca di inghiottire la barca solare di Ra, per precipitare così il mondo intero nell’oscurità della morte.
Altro aspetto di Iside come maga, ancora legato a Ra, ormai Dio in declino, è legato alla sottrazione della saliva che sgocciola dalla bocca del Dio: Iside usa tale saliva per impastare col fango una serpe che morde un dito a Ra, causandogli enorme dolore; l’astuta Dea a questo punto si offre di liberarlo da tale tortura a patto che egli le riveli il suo nome segreto, che garantisce a chi lo conosca il potere assoluto. Ancora una volta ritroviamo il motivo del nome di Dio come inesauribile fonte di potere, così come, con le dovute varianti, nell’ebraismo; e anche l’impastare la saliva con il fango è un rituale “magico” che troviamo citato nei Vangeli: nell’episodio della guarigione del cieco nato (Gv 9,1-41), quando il Messia usa tale impiastro per spalmarne gli occhi del cieco, prima i dichiararlo guarito.
Dopo i molti tentativi di ingannarla, alla fine il dio, stremato, cede: ma solo Iside è la depositaria nel potente incantesimo, che il mito non riporta.
Anche questo è un motivo che riecheggerà in qualche modo familiare, molto più tardi, (attorno al XII secolo): Viviana, la signora del Lago, con l’inganno, vuoi amoroso, vuoi attraverso l’imprigionamento vero e proprio nella Torre di vento nella Foresta di Broceliande, e quindi il ricatto, otterrà così dal potentissimo mago Merlino i segreti della sua sapienza....
Ma torniamo a Iside.
Protettrice del figlio Horus, e per estensione dell’intera umanità che a lei si rivolga (come Maria, madre di Gesù) è particolarmente invocata, come già detto, contro il pericolosissimo morso di serpenti e scorpioni. A questo proposito possediamo il cosiddetto Papiro di Iside, risalente alla XX dinastia, conservato al Museo Egizio di Torino, e proveniente da Tebe. Ancora parzialmente inedito, vi troviamo il mito della morte di Osiride, e vari testi di incantesimi e magie, soprattutto, come detto, contro scorpioni e serpenti, e infine l’inganno ai danni del vecchio Ra.
Vi troviamo anche l’istruzione di trascrivere la storia su di un papiro e infine l’istruzione di immergere tale papiro in birra o vino, e berlo, come antidoto all’ofidismo.
Inoltre, nella cosiddetta stele Metternich, Iside, allieva di magia di Thot, viene rappresentata come signora degli scorpioni, rappresentata come la Dea-scorpione Seqis, e dice di se stessa: “Io sono Iside, la divina , la signora del potere, colei che detiene la magia e gli incantesimi per la protezione. Tutti i serpenti mi ascoltino.” Ma la gamma dei dolori umani ai quali la Dea può porre rimedio è vasta: ferite in battaglia, ustioni, naufragi, essa addirittura è in grado di portare alla rinascita spirituale i suoi fedeli (vedi nelle Metamorfosi di Apuleio, la ri-trasformazione di Lucio da asino ad essere umano), e addirittura, in un testo in ieratico, essa afferma chiaramente di sé: “Io richiamo in vita chi è morto”.Come amuleti venivano usati statuette della Dea, di varie dimensioni; le già citate croci ansate o nodi d’Iside, oppure il Tjet , altro nodo particolare in diaspro rosso, costruito secondo le istruzioni del Libro dei morti, che iniziano con l’invocazione: “Abbi il tuo sangue, o Iside” con presumibile riferimento al mestruo divino.(L. Kákosy)
Non per nulla un altro dei nomi della Dea è Uret-Heqau, la Grande-di-magia! E questa fama di maga e taumaturga guaritrice viene amplificata al di là dei confini dell’Egitto, a partire da Diodoro, secondo il quale ella possedeva l’elisir della vita eterna, del quale si serve per salvare i propri familiari. Col passare del tempo la magia diventerà il principale attributo della Dea, se è vero che i Longobardi cristianizzati del ducato di Benevento, distrussero il suo tempio, per erigervi al suo posto una chiesa alla sancte dei genitricis semperque Verginis Mariae , risparmiando però, all’ingresso della chiesa, due obelischi di granito rosa coperti di geroglifici che per primo l’egittologo Adolf Erman ricollegò, nel XIX secolo, alla grande Dea pagana demonizzata da Longobardi: Iside.
Secondo Elio Galasso, per i Longobardi, il suo status di sorella e sposa di Osiride risvegliava l’antico tabù dell’incesto, le sue ali vivificatrici donavano alle streghe il volo, e dalla sua sapienza la strega eredita incantesimi e magia. Infine, legata ai cicli della fertilità, essa è divinità lunare, e nella notte si nascondo i Sabba infernali e i sozzi riti che vi si compiono. E se da una parte la Iside maga diviene strega, la mater lactans , per sincretismo, viene inglobata nella Vergine Maria, e in particolare nella Madonna delle Grazie, patrona del Sannio. Allo stesso modo, i Longobardi, venendo a conoscenza di un albero legato a culti pagani, prima lo usarono per i loro riti di iniziazione, per il passaggio allo status di adulti dei loro giovani, sinché il vescovo Barbato, nella quale Vita, troviamo testimonianza dell’avvenimento, non ordinò la distruzione fisica dell’albero esecrato.
Testimonianze archeologiche di un Iseo a Benevento sono date da il ritrovamento di frammenti di statue della Dea, di Horus -falco, di Neferhotep lo scriba, del dio toro Api; è probabile che il luogo di culto si trovasse nella valle paludosa del Sabato (sabba: un caso?), a sub di Benevento.
Delle streghe di Benevento, che celebravano i loro riti orgiastici attorno al malfamato noce, che per l'appunto cresceva presso il fiume Sabato, si iniziò a parlare dal 1200, e ancora quattro secoli più tardi non si era smesso. In effetti, sulla base di tardi scritti del XVII secolo, vi fu una certa confusione, non priva di probabili errori ed invenzioni, che fuse in certo qual modo i riti militari germanici dei Longobardi, ai quali pare fosse (Vita di Barbato) legato anche il culto di un serpente, col culto pagano della Dea, tanto che alfine furono proprio i culti dei Longobardi a dare origine attorno alla sacra arbor alla leggenda del sabba del Noce di Benevento.
Ciò non toglie che a Benevento (anche se non fu tra le città testimoni di processi per stregoneria) si sia trovato il maggior numero di reperti legati alla Dea dell’intero occidente, sfregiati speso per decapitazione, parte dei quali furono seppellite dai Longobardi nelle fondamenta delle mura cittadine, soprattutto presso la cosiddetta Porta Aurea della città.

“Con lo straordinario complesso d’arte dissepolto, tornava Iside fra noi, madonna e strega scissa per sempre in due dalla storia, a rivalersi del secolare affronto subito. Troppo tardi, tuttavia per uccidere il mostro da lei stessa derivato. Perché, al raggio di ogni plenilunio, continuano a volare, verso il noce di Benevento le streghe esistite da sempre nelle regioni di frontiera fra realtà fisica e mondo dell’immaginario.” (E. Galasso)

E veniamo, infine, ai culti misterici. Secondo Erodoto, nell’origine egizia, essi si dividevano in riti ufficiali di “osirizzazione” del faraone, e riti misterici, che rievocavano il mito della Dea e della sue traversie per la salvezza dello sposo. Tuttavia, sui riti isidei, Erodoto è insolitamente restio, a differenza di altri culti .
Ad ogni modo, lo scopo del mistero è assicurare la immortalità ai fedeli, che progredivano in una sorta di gerarchia sacerdotale, molto presente nell’originale culto egiziano: i sacerdoti si rasavano i capelli in segno di lutto, e vestivano di lino “per il colore della sua infiorescenza, simile all’azzurro dell’etere che abbraccia il mondo.” (Plutarco, Iside et Osiride 4,352 c-d).
Non va dimenticato che il rito subì poi contaminazioni ellenistiche e romane, e parlare dei riti misterici a Roma è probabilmente piuttosto lontano dal riferirsi a quelli celebrati a File, nel tempio sull’isoletta irraggiungibile nilotica. Di certo Erodoto appare convinto, viste i rituali funebri comuni, che sempre si rifacevano al mito funebre di Iside e di Osiride, che gli Egiziani furono i primi a concepire l’idea di un’anima immortale, e che i Greci da essi la mutuarono.
L’apologista cristiano Minucius Felix , scrisse
Haec tamen Aegypta quondam nunc
et sacra Romanan sunt
, ovvero
Questi, un tempo egizi,
sono ora sacri riti romani
.
Indicando una ulteriore evoluzione/contaminazione del rito.
Ma torniamo ad Erodoto: secondo lo scrittore, i sacerdoti bendano gli occhi di uno di loro, lo portano ad un santuario di Demetra, e lasciano che siano i lupi a riaccompagnarlo indietro (Erodoto, II, 122, 3). Nel culto, come testimoniato da Plutarco ( Iside et Osiride , 51 [371f - 372a]), sono importanti le valenze falliche, legate alla fertilità, giacché quando Iside non riuscì a trovare il membro di Osiride, ne costruì un simulacro, che da allora è portato in processione nelle falloforie e nelle Pamilie.
Parte del rito è anche legato alla sacralizzazione della sostanza dell’acqua, che diviene oggetto di culto (ricordiamo le cisterne e le raccolte d’acqua presso gli Isei, e la situla in mano a molte rappresentazioni della Dea.)

Per chi voglia maggiori informazioni sul rito iniziatico, rimando alle Metamorfosi IX di Apuleio, che fra l’altro attesta l’aspetto oniromantico della Dea, che comparirebbe in sogno ogni notte all’iniziando. Così come le aretologie della Dea sono reperibili, sempre nelle Metamorfosi, nel libro XI.
In Erodoto, libro II, troviamo descritti i rituali dei sacrifici animali dedicati alla Dea; comunque, il testo di Plutarco rimane il più importante per la comprensione del culto ellenistico della Dea.

Per tutte le citazioni di autori classici, mi sono avvalsa, oltre al già citato “ De Iside et Osiride di Plutarco, della versioni filologiche critiche curate dalla Fondazione Lorenzo Valla, che ritengo di assoluto valore.
Su Iside ci sarebbe molto altro da dire, ma ritengo che questa possa essere una introduzione sufficientemente intrigante per chi voglia approfondire l’argomento. Gli studiosi ai quali mi sono rifatta ed ho citato, direttamente o indirettamente, sono citati fra parentesi.

A partire da essi si può ricostruire una bibliografia, che per scelta ho deciso, contrariamente alla mia opinione in merito, di non aggiungere, per non appesantire troppo una lettura che volevo soprattuto interessante.

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postato da la Parda Flora alle 16:56  

 

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