23 gennaio 2007
Informazione, politica e opinione pubblica.
Quando, fra il 1961 e il 1962 il presidente Kennedy dette inizio alla guerra in Vietnam, proseguendola crudelmente per tutto il suo mandato (1964) l’opinione pubblica americana e la stampa erano sostanzialmente indifferenti ai fatti che accadevano nel Vietnam del Sud. Anzi, a differenza di quanto venne detto più tardi, la stampa piuttosto appoggiava la guerra.
Secondo il New York Times di quegli anni, la guerra in Vietnam era la battaglia del mondo libero contro l’aggressività comunista (suona qualcosa di familiare?) nell’encomiabile volontà di proteggere il Vietnam del Sud dai mercenari sovietici. Che poi venisse impedito anche ai vietcong (guerriglieri di cittadinanza sudvietnamita, ovviamente) di rientrare in patria, questo la propaganda, complice l’informazione, lo taceva. Così si dovette arrivare all’amministrazione Johnson, a una più massiccia presenza di soldati e caduti americani, perché iniziassero nel 1965 a Boston i primi timidi segni di dissenso popolare, nei confronti della guerra e delle sue atrocità (ricordiamo solo l’uso massiccio del napalm). All’inizio, i pacifisti si riunivano in chiese, per cautelare fisicamente se stessi, una protezione che avrebbe dovuto esser assicurata anche dalla polizia, seppure non mancarono casi nei quali i poliziotti parteciparono attivamente ad azioni violente nei loro confronti.
Di tutto ciò la stampa non parlava, e se lo faceva, lo faceva in misura minima.
Si dovrà arrivare alla fine degli anni Sessanta, perché il disgusto dell’opinione popolare per la guerra in Vietnam raggiungesse livelli tali da essere considerato talmente pericoloso per la democrazia da essere codificato come “sindrome del Vietnam”. Una sindrome che scattò, all’inizio dell’Amministrazione Reagan, quando il nuovo presidente avrebbe voluto mettere in atto, in politica estera nei confronti dell’America centrale, le stesse misure adottate per il Vietnam da Kennedy. Ma l’opinione pubblica, questa volta non più indifferente, insorse.

Perché questa lunga premessa?
A parte assonanze con l’attualità, che credo di non essere la sola a percepire, volevo presentare alcune considerazioni, molto più vicine, cronologicamente e anche, perché no? geograficamente, a noi, di Noam Chomsky, che credo possa essere molto istruttivo e stimolante leggere.

L’Amministrazione Reagan (dal gennaio 1981 al gennaio 1989) ha dovuto ricorrere con un’intensità senza precedenti al terrorismo clandestino internazionale per poter sfuggire al controllo dell’opinione pubblica. In un’analisi politica stilata dal Consiglio di Sicurezza nel primo periodo dell’Amministrazione Bush, e trapelata nello stesso giorno nel quale le forze di terra americane hanno sferrato il loro attacco nel Golfo(cosiddetta prima guerra del Golfo, 1990), si conclude che i nemici “decisamente più deboli” (cioè gli obiettivi più facilmente accettabili) devono essere sconfitti “risolutamente e con rapidità” perché ogni ritardo e resistenza “intaccherebbe il sostegno politico” del quale si ammette l’esiguità. Le forme classiche di intervento non sono più utilizzabili, perché i loro presupposti interni sono venuti a mancare: basta con i marine che saccheggiano e terrorizzano per anni, come ai tempi di Wilson, o con l’aviazione americana che bombarda le campagne del Vietnam del Sud, secondo lo stile Kennedy-Johnson. Le opzioni si limitano ormai al terrorismo clandestino per mezzo di agenti stranieri - in modo tale che i mezzi di comunicazione possano fare finta di non vedere e l’opinione pubblica resti all’oscuro dei fatti - e ai colpi di mano “risoluti e rapidi” contro un nemico troppo debole per reagire, dopo un’imponente campagna tesa a dipingerlo come un demonio pronto a distruggerci.
Nonostante alcuni cambiamenti, i tratti fondamentali persistono e meritano attenzione e riflessione. Naturalmente il mutare delle circostanze porta a delle variazioni e, comunque, il mondo è di gran lunga più complesso di ogni descrizione concisa che se ne possa dare. Tuttavia, faremo un passo avanti non indifferente nella comprensione degli eventi contemporanei se li porremo in una cornice più ampia di politiche, obiettivi e interventi effettivi, le cui radici culturali e istituzionali sopravvivono per lunghi periodi di tempo”.

Tutto ciò fu scritto quasi 14 anni fa: notevole, che ve ne pare? e profetico... contribuisce, con le considerazioni di Gore Vidal a tratteggiare scenari internazionali, a noi completamente oscurati, oltremodo inquietanti.

Vorrei citare ancora una volta Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti d’America dal 1801 al 1809
«Se una nazione si aspetta di essere ignorante e libera, essa immagina quello che mai è stato e mai sarà. Il popolo non può essere sicuro senza informazione.
Quando la stampa è libera, e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro».


Mi pare che le sue parole, alla luce di ciò che ci è dato intuire o sospettare circa la reale libertà d'informazione, acquistino sfumature incredibilmente spaventose, per noi e per il nostro futuro immediato.

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postato da la Parda Flora alle 09:06  

 

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