22 novembre 2007
...e continuiamo a parlare di storia.
Allora, viste alcune considerazioni a commento del post precedente, continuiamo pure a parlare di storia e storiografia.

Andiamo per ordine, dato che mi si chiede “Comunicativamente però non comprendo a chi è indirizzata” la riflessione su storia e memoria. A parte che a capocchia io potrei chiedere a un qualunque blogger perché oggi ha scritto, chessò, del fatto che ha mal di pancia, e potrei ottenere immagino due risposte: perché mi andava di dirlo; perché magari fra chi mi legge c’è qualcuno al quale può interessare la mia salute, e mi sembrano entrambe risposte sensate e legittime.
Così, il primo post era indirizzato ..boh, diciamo per comodità a me stessa, perché non sapevo chi potesse essere interessato a quel tipo di riflessioni, quindi era interlocutorio e buttato al vento: chi vuole se lo acchiappa.
Lo ha fatto Andrea, riportando a sua volta le considerazioni su parte del tema, di un altro storico (a me sinceramente la cosa che colpisce di più è l’interpretazione data da Ginzburg) e allora ho deciso di copi-incollare un pezzo di una lunga conversazione con alcuni docenti universitari, voluta e poi messa anche in Rete qualche tempo fa, dagli studenti della Statale di Milano. Io ricordavo delle considerazioni molto simili fatte da Merlo in occasione di una commemorazione pubblica del Giorno della Memoria della Shoa, oltre a quelle sparse nei suoi libri e nelle sue conversazioni, e in quella lezione ho trovato, dette molto meglio che da me, le cose che volevo esprimere, e che da una parte spiegano cosa sia il mestiere dello storico e quale sia la passione che lo anima, e dall’altra, credo si avventurino senza parere anche sulla valutazione dei doveri civili e sociali che ha l’intellettuale - si tenga conto che Merlo, anche se come racconta va per chiese sin da ragazzino; è uno dei maggiori esperti mondiali di storia dell’ordine francescano ed è uno spirito molto libero, è anche certamente e indiscutibilmente di sinistra.

Quindi quel secondo post nasceva idealmente dalla risposta di Andrea.

Il primo post, invece nasceva da più cose.
Un po’ perché mi pareva che del Capocomico, a partire dal post precedente, si stesse parlando anche troppo, e dato che altri, in altre sedi, continuavano a seguirne la tragicomica saga, non mi pareva grave da parte mia abbandonarlo al suo destino.
Poi c’era anche il fatto che appena in politica succede qualcosa, tipo Berlusconi che dice, dopo la morte di Biagi: poverino, mi spiace tanto, ma però non c’è mai stato nessun *mio editto “bulgaro”* per sbatterlo fuori dalla Rai! chi ha un minimo di memoria sobbalza per la sfrontatezza della bugia e inizia a lamentare l’assenza di memoria storica, che come ben spiega Merlo, è una assurdità: se è memoria, non è storia, e viceversa. Poi di solito, a ruota, si citano o il “la storia è maestra di vita” o il “chi non conosce la storia è costretto a riviverla”, dato che alla fine mediaticamente viviamo sempre nella sagra delle banalità.
Dunque, proponevo un altro possibile slogan, secondo me meno datato e più meditativo, dato che la concezione di storia è un bel po’ mutata, dalla classicità ad oggi come spiega anche Merlo, e anche da ieri a oggi, aggiungerei, se si pensi che le prime cattedre universitarie di storia in Italia sono state istituite se non ricordo male a inizio Novecento e di sicuro solo all’interno del corso di laurea di Giurisprudenza, e si occupavano quindi solo di storia delle istituzioni, cioè di quelle strutture che si sono date norme e caratteristiche giuridiche tali da garantirne la sopravvivenza nel tempo, che più o meno è una definizione accettabile: per il medioevo, ad esempio, solo impero e papato, quindi è evidente la limitatezza dell’orizzonte di una simile concezione.
Poi si è passati a fare la storia “evenemenziale”: dei re, dei potenti, dei “fatti” - quella che è stata scardinata, piacciano o no, dagli storici della scuola delle Annales francese, soprattutto la prima generazione: Bloch, probabilmente il maggior storico del Novecento, Febvre etc.
Lo studio della storia è poi stato introdotto tardi nelle scuole pubbliche, e probabilmente questo rende ragione del fatto che essa sia ancora troppo spesso una materia poco conosciuta e della quale, al di là di una serie di luoghi comuni, si faccia fatica a riconoscere la reale natura e il perché è importante.
Prendiamo la visione, dal mio punto di vista assolutamente assurda e superata, che ne dà lazybones nel suo commento: sinceramente, non c’è un saggio storico che abbia letto (ma che però in genere si trova solo nelle librerie molto grandi, e spesso solo in quelle universitarie, anche se non sempre in realtà sono testi fuori dalla portata di lettura di una persona non addetta ai lavori - e questo non perché non siano di interesse per il pubblico, ma perché non hanno pubblico al di là di quello dei cultori, amatoriali e professionali, della materia: così, senza un criterio critico, si leggono nefandezze piene di omissioni e travisamenti comprati al supermercato, e le opere serie restano privilegio di pochi, con gran dolore degli storici veri) nei quali ci siano quei toni trionfalistici e nostalgici di un passato mitico ai quali si accenna nel suo commento.
Piuttosto, si troverà un saggio di storia della mentalità che analizza il fenomeno che, in una particolare contingenza politica e sociale, come è quella nella quale viviamo, ci sia diffusa una visione così distorta della storiografia, e nel quale magari si ipotizza perché questo accada e a chi faccia comodo che accada.
Io di mio ci posso aggiungere una citazione di Carlo Ginzburg, che secondo me casca a fagiolo, perché in fondo c'è una immensa oralità anche in questa società, anche se mascherata da altre cose, dedicata proprio a questi momenti di favoleggiamento sul passato:
"Nelle società fondate sulla tradizione orale, la memoria della comunità tende involontariamente a mascherare e riassorbire i mutamenti. Alla relativa plasticità della vita materiale corrisponde cioè una accentuata immobilità dell’immagine del passato: Le cose sono sempre andate così; il mondo è quello che è. Soltanto nei periodi di acuta trasformazione sociale emerge l’immagine, generalmente mitica, di un passato diverso e migliore - un modello di perfezione, di fronte a cui il presente appare uno scadimento, una degenerazione."

Certo, se uno legge la storia d’Italia di Montanelli, non saprà mai per esempio delle porcherie, attestate inequivocabilmente da ampia documentazione, perpetrate dagli italiani nelle colonie d’Africa, e questo perché Montanelli, non essendo uno storico, era interessato a far passare sempre e comunque l’immagine preconfezionata di: “gli italiani son brava gente”, che i fatti sovente hanno smentito - gli italiani sono buoni e cattivi come lo sono tutti gli altri popoli, e le loro porcherie, anche se non fa piacere sentirlo dire, le hanno fatte come, chi più chi meno, tutti quanti.
Se però lo stesso lettore prende in mano, per dire, la storia d’Italia di Candeloro, molto oggettiva e neutra nella sua minuziosa ricostruzione storica, ha tutta un’altra panoramica dei fatti.
E dal mio punto di vista, già questo da solo giustificherebbe la necessità di una maggior conoscenza storica da parte di tutti. Se la storia fosse conosciuta non solo attraverso l’intermediazione di persone interessate a divulgarla in modo falsato o parziale, nessuno crederebbe a una stronzata storica come la Padania, per esempio, e questo sicuramente avrebbe delle ricadute sia sul presente sia sul futuro; oppure, di fronte ai gonnellini in tartan dei patrioti scozzesi di Braveheart, ci si sarebbe messi a ridere anziché inneggiare all’accuratezza della ricostruzione delle scene di battaglia del film, ben sapendo che il kilt è una invenzione nazionalista, che risale solo al Settecento, e quindi il personaggio storico di William Wallace non lo ha mai indossato. Invece, la creazione di false tradizioni, per alimentare lo spirito nazionalistico, è stata oggetto di studio storico, questo sì, e a chi la voglia affrontare riserva anche alcune inaspettate sorpresine.
In questo senso, sicuramente conoscere un po’ la storia aiuta a muoversi con più sicurezza e meno ingenuità nel presente, e a farsi prendere meno per il naso....
E’ dalle radici che nasce il frutto: io so solo che più conosci il passato, e meglio comprendi il presente.
Il che, ovvio, non consente di divinare il futuro, ma di vivere con maggior consapevolezza, questo sì, e inevitabilmente questo ha ricadute anche su quella che per brevità chiamo “costruzione del futuro”.
Poi lazybones dice: “Intendo che la storia è un bell'alibi per non andare da nessuna parte. E' un bell'alibi per non guardare il futuro con la voglia di affrontarlo creandolo ex novo”.
A parte che detta così, la creazione del futuro pare più un atto divino che umano (ex novo ovvero sine materia, per il momento, crea solo la divinità, per chi ci creda, non certo l’essere umano) ma - orrore, sì! dato che una delle lezioni più potenti, proprio nel senso della forza con la quale ti colpisce, che si ricava dalla storia, è proprio quella che chi viva guardando al passato, chi è incapace di comprendere il presente, e costruisce i propri progetti sulla colpevole e insulsa nostalgia e/o mimesi del passato, è inesorabilmente destinato al fallimento e alla sconfitta. Conoscere davvero la storia significa sapere che non puoi vivere guardando indietro; la storia della storiografia stessa ti insegna quanto il presente influisca sullo studio della storia: se lo storico non fosse profondamente interessato e consapevole del presente, e del futuro da costruire, non farebbe lo storico, perché è dalla necessità di comprendere il presente che nasce il desiderio di studiare il passato. Non è un caso che la maggior parte degli storici sia schierata politicamente, e in alcuni casi anche attivamente: non mi pare che questo sia segnale di cecità nei confronti del presente e della costruzione del futuro, anzi.
Quindi, se come previsto sussulto, è solo nel riscontrare quanto sia radicata una visione superata e antiquata della storiografia, e quanto il permanere di tale visione sia politicamente, concretamente pericoloso per il presente e per il futuro.
Senza poi tener conto che, nei dipartimenti universitari di Storia, è la storia contemporanea quella più seguita e che affascina maggiormente gli studenti, futuri insegnanti o futuri ricercatori. E la storia contemporanea comprende, è vero, lo studio dell’Ottocento e quindi ad esempio la formazione dello Stato unitario Italia nel 1861 (che aiuta a capire molto del panorama politico che si ha oggi, o almeno per me è così), ma arriva sino alla missione italiana in Iraq... e non si può certo dire che è guardare al passato essere consapevoli degli eventi dell’immediato dopo guerra che fanno sì che oggi i nostri soldati siano lì come alleati degli americani, o che giustificano il fatto che l’attuale governo non aveva il potere costituzionale di opporsi alla caserma NATO a Vicenza, caserma sulla quale si è scritto di tutto, in modo strumentale, tranne quello che andava detto, e cioè che non si trattava di discrezionalità di governi, ma che era la NAZIONE Italia ad essere vincolata da un accordo internazionale militare al quale non poteva sottrarsi senza che questo apparisse, almeno formalmente, come un atto di guerra. Anche se so ci sono persone convinte che gli accordi internazionali hanno indiscriminatamente tutti lo stesso valore della carta con la quale ci si pulisce al bagno...

Non mi dilungo ulteriormente, che già sono stata interminabile: mi pare che ciò che volevo dire sia chiarissimo, ma mi pareva, sbagliando, già chiarissimo nei precedenti interventi. Certo, a patto però di leggerlo davvero e capirlo.

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postato da la Parda Flora alle 11:03  

 

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