12 novembre 2007
Del sonno (a modo mio)
Per molto tempo, mi sono coricata presto. A volte, non appena spenta la luce, mi si chiudevano gli occhi così subito che neppure potevo dire a me stessa: “M’addormento”. E, una mezz’ora dopo, il pensiero che dovevo ormai cercare sonno mi ridestava; volevo posare il libro, sembrandomi averlo ancora fra le mani, e spegnere la luce; dormendo avevo seguitato le mie riflessioni su quel che avevo appena letto, ma queste riflessioni avevano preso una forma un po’ speciale; mi sembrava di essere io stessa l’argomento del libro: una chiesa, un quartetto, la rivalità fra Francesco I e Carlo V. La convinzione sopravviveva per qualche attimo al mio risveglio, e non offendeva la mia ragione, ma mi pesava sugli occhi (e sull’anima) come scaglie, ed impediva loro di rendersi conto che la luce non era più accesa, e non era mattina, ma ancora c’era giorno al quale sopravvivere. Poi cominciava a diventarmi inintelligibile, come i ricordi di una esistenza anteriore dopo la metempsicosi; il contenuto del libro, o dei sogni, si staccavano da me, ero libera di pensarci o non pensarci, ma più spesso no, purtroppo; subito recuperavo la vista ed ero assai stupita di trovare un’oscurità dolce e rilassante per i miei occhi, ma nella quale la luce implacabile del giorno continuava a filtrare, senza lasciare riposo all’animo mio, al quale essa appariva come una cosa senza causa, incomprensibile e crudele, come una cosa, paradossalmente, oscura. Mi domandavo che ora potesse essere; sentivo il rombo degli aerei, che, più o meno lontano, come il grido di un uccello nella foresta, mi descriveva la distesa di case attorno a me come un deserto, dal quale il viaggiatore sogna solo di allontanarsi in fretta e per sempre; e la strada che percorre gli resterà impressa nel ricordo dall’eccitazione che gli danno dei luoghi nuovi, degli atti insoliti, i recenti discorsi, la fuga dall’assenza a se stessi e l’addio sotto un lampione estraneo, che lo seguono ancora nel silenzio della notte che verrà, a Dio piacendo, e la prossima dolcezza del sonno.
E quanto è strano quando un altro, tanto diverso da te, parla di te, senza conoscerti e senza lasciarti scampo.

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postato da la Parda Flora alle 13:04  

 

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