20 novembre 2007
Altri Angeli
Leggo sovente citata, soprattutto in questi ultimi tempi, la vecchia affermazione di Cicerone che sostiene essere la Storia una maestra di vita. Non sono d’accordo, come non lo sono in genere gli storici; certo, la storia insegna delle cose, come ad esempio quale sia la sua differenza dalla memoria, parte dell’intelletto del singolo o del sentire di una collettività, e quindi filtrata e per definizione parziale. Talché, la spesso usata formula “memoria storica” così di moda è in realtà un pericoloso ossimoro, che insidiosamente ribadisce proprio il pericolo che vorrebbe stigmatizzare: la memoria, personale e psicologicamente influenzabile, può giustificatamente ammettere vuoti e distorsioni - la storia no. Il suo obiettivo, benché fallibile in quanto perseguito da esseri fallibili, è l’esatto opposto, pure nell’umile consapevolezza, come credo di aver già detto in altre occasioni, che esso è transeunte e destinato ad una auspicabile più o meno rapida obsolescenza, per la scoperta di nuove fonti, o di un nuovo modo di leggerle. La storia è un po’ come la tela di Penelope, si fa e si disfa, nel tentativo di raggiungere e comprendere eventi e soprattutto persone, per progressive approssimazioni, con il loro sentire, il loro modo di interpretare e giudicare la realtà loro contemporanea, i poteri coi quali facevano quotidianamente i conti, persino il clima e il paesaggio che li circondava - tutte cose lontanissime da noi e rispetto alle quali troppo spesso i detriti che hanno lasciato dietro di sé, gli unici testimoni per noi raggiungibili, sono troppo frammentari e parziali per consentire di ricostruire tutti i fili che formano l’ordito del disegno che cerchiamo di intuire.
Così, personalmente, a Cicerone preferisco la forse meno nota riflessione di Walter Benjamin, nel sua “Tesi di filosofia della storia” in “Angelus novus. Saggi e frammenti.”
Nulla di ciò che si è verificato va perduto per la storia (...) ma solo all’umanità redenta, tocca interamente il suo passato”, laddove, lo storico Carlo Ginzburg, proponeva di interpretare l’aggettivo “redenta” come - liberata.
Mi pare la citazione sia sufficientemente eloquente per commentarsi da sé.

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postato da la Parda Flora alle 07:57  

 

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