28 gennaio 2007 |
Dieci |
Vorrei ripartire ripendendo dal conflitto arabo - israeliano, e dalla vicenda del traghetto Exodus, alla quale ho già dedicato pagine. Perdonate se ripeto cose già dette, ma mi pareva più corretto riprendere con calma le fila del discorso...
Dopo l’episodio dell’Exodus, nonostante tutti i sotto distretti della Palestina avessero una popolazione in maggioranza ebrea, la dirigenze araba invece di far forza su questi argomenti puntò a rifiutare il principio di partizione in sé, apparendo, a fonte delle recenti sofferenze patite dal popolo ebraico, portare motivazioni meschine che non potevano che alienare simpatie alla causa araba. Ma la dirigenza araba contava, nella sua strategia, sull’appoggio inglese, che in effetti aveva evidenziato con chiarezza e ufficialmente la sproporzione di territorio a scapito degli arabi. Lamentele si ebbero anche da parte ebrea, comprensibilmente in relazione alla clausola relativa a Gerusalemme: sia per motivi religiosi, sia perché i sobborghi occidentali della città erano estremamente popolosi. Tuttavia, per i leader sionisti, che avevano lavorato duramente in tal senso, la spartizione era assolutamente prioritaria: eventuali riserve sulla sua estensione dovevano necessariamente essere per il momento accantonate. Il piano proposto dall’UNSCOP venne esaminato dall’Assemblea delle Nazioni Unite, ricevendo subito il sostegno dei tre voti dell’URSS. Questo appoggio non poteva restare ininfluente sulle altre nazioni, anche se per la diplomazia orientale si trattava solo di una mossa finalizzata ad allontanare dall’area l’influenza inglese, anche se - e i sovietici lo sottolinearono - chi aveva raggiunto per primo i campi di concentramento e visto con i propri occhi la realtà della Shoa erano stati proprio i soldati dell’Armata Rossa. Tuttavia, la posizione decisiva sarebbe stata quella scelta dagli Stati Uniti, i quali però si limitarono, tramite il segretario di stato Marshall, a comunicare di “dare gran peso” alla proposta dell’UNSCOP. In realtà, tale dichiarazione poco impegnativa nascondeva le fortissime pressioni operate su Truman da parte dei leader sionisti, tanto che pare il presidente, piccato, a sia giunto a ricordare agli ebrei che le parti in causa erano due, e che molti negli Stati Uniti iniziavano a rifletterei seriamente su questo fatto. D’altra parte, per gli USA mantenere buoni rapporti coi Paesi arabi produttori di petrolio era una necessità concreta, sottolineata particolarmente dal ministro della Difesa Forrestal, quindi sostenitore delle richieste arabe. Tuttavia la capacità di pressione da parte dell’elettorato ebraico era tale da non lasciare una reale libertà di decisione a Truman, nel verosimile rischio di alienarsi le simpatie non solo di una fetta importante dell’elettorato ma anche l’appoggio di importanti uomini politici, quali il presidente del partito democratico nazionale, Hannegan, o il presidente del partito democratico di New York, Fitzpatrick. L’esito di questa lotta politica, in gran parte sotterranea, si ebbe il 10 ottobre 1947 con l’annuncio dell’appoggio degli USA al piano di spartizione dell’UNSCOP, a patto che venisse mantenuta la disponibilità alla collaborazione da parte degli inglesi, che avrebbero sovrinteso militarmente alla creazione dei due stati prima di concludere il proprio mandato, e a condizione anche che venisse ridotta la popolazione araba nei sotto distretti ebraici. Ne risultò il trasferimento di Giaffa allo stato arabo. Il piano elaborato dall’UNSCOP non era soddisfacente, soprattutto per la parte araba, e non godeva dell’approvazione di numerosi paesi facenti parte delle Nazioni Unite, tuttavia, il 25 novembre, sottoposto a voto, venne approvato con 25 voti a favore, tre contrari, 17 astenuti e due assenti. La fragilità di questa votazione parla da sé, e per i sionisti era vitale rafforzare il più possibile la propria posizione, cosa che riuscì solo in parte, quando Weizmann facendo appello alla sua vecchia amicizia con Léon Blum, ottenne il cambio del voto francese. Ripresero le pressioni sugli USA, e il 27 novembre i leader sionisti telegrafarono a Truman, chiedendogli di assicurare alla loro causa i voti di Honduras, Cina, Grecia, Haiti, Ecuador , Liberia , Paraguay e Filippine; nonostante la secca smentita dell’amministrazione Truman, è certo che pressioni, anche intimidatorie, vennero esercitate dagli Stati Uniti presso le capitali degli stati citati. In questo modo, che definire discutibile è il minimo, il 29 novembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite raggiunse finalmente i due terzi necessari, e il piano di spartizione UNSCOP venne approvato. Ma tale risultato, voluto con tutte le forze e ottenuto con tutti i mezzi disponibili, leciti o meno, dalla leadership sionista, segnò solo l’inizio della reazione araba all’innegabile torto subito. E i festeggiamenti ebraici che salutarono la votazione positiva provocò sin da subito tumulti nel mondo arabo, così come aveva previsto il portavoce della comunità araba, Jamal Husseini, che aveva avvisato le Nazioni Unite che le linee di spartizione non sarebbero state altro che linee di fuoco e sangue. Come per altro ancora possiamo constatare. Era l’annuncio, neanche tanto velato, dell’inizio di una guerra civile che non vede ancora via d’uscita. L’Alto Comitato Arabo programmò per il 2 - 4 dicembre 1947 uno sciopero generale in Palestina, con l’assicurazione all’Inghilterra, che non vi sarebbero stati episodi violenti. Ma la tensione era troppo alta per mantenere quella promessa, ammesso fosse in buona fede, e durante il primo giorno di sciopero si ebbe l’incendio di un’area commerciale a Gerusalemme. Inoltre, gli inglesi erano lungi dal voler mantenere l’impegno preso di attuare la spartizione prima della fine del proprio mandato previsto per il maggio del 1948: i militari inglesi in Palestina non avevano nessuna intenzione di sacrificare anche un altro solo uomo in una questione nella quale non ritenevano di aver più alcun interesse. Ovviamente, tale scelta non fece altro che innalzare il livello di tensione e ferocia dello stato di guerra civile, così che anche la Commissione per la Palestina, voluta dalle Nazioni Unite per costituire i due stati e la loro unione economica, fallì ancor prima di diventare realtà. Gli inglesi impedirono ai membri della Commissione di entrare in Palestina, e l’intervento dell’URSS impedì la concessione, da parte del Consiglio di sicurezza, di una scorta armata che si opponesse all’ostruzionismo anglosassone. Era la fine - quale che sia la valutazione sulla sua effettiva bontà politica - ingloriosa e colpevole, del piano di spartizione e del tentativo di risolvere diplomaticamente il problema del ritorno, dopo quasi duemila anni, degli ebrei in Palestina, tentando al contempo di rispettare anche i diritti dei numerosi abitanti arabiEtichette: storia |
postato da la Parda Flora
alle 18:57
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