30 gennaio 2008
Scrittori contro lettori?
“Senza soggettività non possiamo decifrare le sensazioni, ma senza le sensazioni non abbiamo niente per cui essere soggettivi. Per questo, mi pare, l’autore di un testo dovrebbe tenere a mente di essere anche un lettore, in modo da prendere in considerazione scrivendo, almeno nelle intenzioni, la soggettività del lettore”

La lettura del lungo post dal quale è estrapolato solo la fine, post oltretutto parte di una riflessione più articolata, sulla scrittura in ambito saggistico e non solo, poi ampliatosi alla scrittura in generale, mi ha spinto ad alcune riflessioni.
Pensare a un lettore ipotetico è uno dei primi esercizi che vengono suggeriti in tutte le scuole di scrittura creativa, che io sappia, perché rendere il lettore concreto, in qualche modo, aiuta a vincere la lotta col foglio bianco. Poi so che moltissimi scrittori, contemporanei e non, hanno affermato (e non vedo perché dovrebbero mentire) in interviste o loro libri dedicati alla riflessione sulla scrittura, questa cosa del lettore ideale come una costante. Poi magari il lettore ideale può anche essere l'editor, perché no? col quale il confronto esiste, e ben diretto e concreto.
Comunque, anche se lo scrittore, come è stato accusato, proiettasse sue caratteristiche sul lettore, non vedo il dramma. Ogni scrittore, persino l'autore di best seller commerciali, ha un suo target di riferimento: credo possa essere naturale che esso coincida col lettore ideale. La cosa diventa particolarmente evidente, direi, con la cosiddetta letteratura di genere.
E poi esistono situazioni di scrittura nelle quali se non tieni sempre ben presente chi è il tuo lettore, non arrivi proprio da nessuna parte.
Certo, il problema è un po' diverso con la produzione saggistica, mi pare. Spesso, è vero, ci si trincera dietro ai linguaggi tecnici come fossero cavalli di Frisia... e infatti, da anni ormai c'è uno sforzo generale, da parte delle amministrazioni, per abolire il “burocratichese” e rendere le comunicazioni al pubblico più semplici, comprensibili e quindi efficaci, con anche dei bei risultati conseguiti. E qui sicuramente il ragionamento di partenza è particolarmente pregnante, perché se il saggio, per suo natura, si rivolge sempre solo a una minoranza di lettori, che spesso si presume siano in possesso di competenze particolari, è nella comunicazione che si rivolge a tutti, che lo sforzo di mettersi fino in fondo nei panni del lettore, possibilmente un anziano seminalfabeta, acquista un profondo significato anche civile e politico, secondo me.
Però è anche vero che ci sono ambiti nei quali il linguaggio tecnico non è solo un vezzo accademico o di casta, è una necessità concreta: penso ad esempio a certe formule codificate del diritto, dove ogni singola parola ha un suo senso e scopo, o anche alla medicina, per la quale non è questione di cercare un termine equivalente del linguaggio comune, ma avviare una spiegazione di 20 minuti, che comunque spesso per essere capita, richiederebbe anche tutta una serie di conoscenze attinenti alla disciplina. Tuttavia, quando si scrivono pubblicazioni in questi due ambiti, il lettore è decisamente di nicchia, e perciò non trovo nulla di scandaloso che chi scriva un articolo per Lancet, non si ponga problemi di contenere l'uso di termini tecnici, e quindi esatti.
D’altra parte, anche muovendoci in territori apparentemente più neutri, come per esempio la citata storia, in uno studio, per dire, sulla gestione economica di un certo territorio da parte del proprietario fondiario, l’uso direi imprescindibile di termini come enfiteusi, livella o fedecommesso, li puoi una prima volta spiegare, ma poi immagino li si utilizzerà tranquillamente tal quali, dando per scontato un minimo di buona volontà da parte del lettore (anche perché credo sarebbe scorretto nei suoi confronti, nello sforzo di semplificare, negargli conoscenze che sono oggettivamente parte della realtà esaminata).
Poi è verissimo, è molto più facile scrivere elzeviri o saggi interi, arzigogolati e perciò d'impatto, che in realtà non vogliono dire nulla o quasi, che non scrivere con semplicità e chiarezza, pur nel rispetto della correttezza non solo dei contenuti, ma anche della forma. Per esempio, noto (anche per quel che mi riguarda, ovvio) che sovente anche commenti ai post non brillano per lo sforzo di essere semplici e immediati, linguisticamente e non, anzi.... Anche perché, oggettivamente, scrivere con semplicità è più faticoso, e credo che per molti significhi anche una sensazione di perdita di autorevolezza.

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postato da la Parda Flora alle 10:00  

 

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