23 agosto 2006
Presenze diaboliche
Triora è un paesino della Liguria di Ponente. E’ abbastanza noto fra gli addetti ai lavori per un celebre processo di stregoneria che vi si tenne nel 1587, quando, ai primi di ottobre, i vicari dell’Inquisizione di Genova e del vescovo di Albenga iniziarono ad accertare strane voci che circolavano da tempo su alcune donne del villaggio.
La dinamica di questo processo a me ha sempre fatto pensare un po’ ai fatti di Salem, alla vicendsa dei benandanti analizzata da Carlo Ginzburg e anche a un altro processo famoso, quello narrato da Aldous Huxley ne I diavoli di Loudun, per lo schematismo che si ripete: accadimenti negativi in una comunità vengono attribuiti all’elemento più strano, estraneo e debole o in qualche modo vulnerabile, in genere una vecchia che pratica piccola medicina naturale e ostetricia; di qui, a cascata, per delazione, l’accusa di stregoneria si espande a macchia d’olio, anche al di là delle intenzioni originali, e in qualche modo coinvolge una intera comunità, in un fenomeno sociologico piuttosto caratteristico dei gruppi limitati. Lievemente diversa la storia di Loudun, nella quale il dramma che coinvolge molti innocenti si consuma tutto all’interno di un convento coinvolgendone il padre spirituale, ma anch’esso è pur sempre un fenomeno d’isteria collettiva che travolge e distrugge ogni ragionevolezza.
Io sono piuttosto arrabbiata con il revisionismo che il Vaticano da qualche anno ha messo in opera circa l’Inquisizione, sia quella fai-da-te, che gli storici chiamano inquisizione con la minuscola, che caratterizza l’età medievale, sia l’Inquisizione spagnola e quella Romana di epoca moderna, fra l’altro unico tribunale per così dire “federale” dell’Italia pre unitaria: il lungo braccio della chiesa, infatti, superava confini e barriere, nella sua pia opera di persecuzione di quanti non la pensassero come lei.
Gli studi sovvenzionati da Roma parlano di un totale di sole 100 vittime arse - a parte l’inattendibilità a mio avviso di tale dato, più demagogico che reale, la navicella di Pietro non avrebbe dovuto trovare giustificazione per una sola morte imposta ad un essere umano, e per di più in massima parte sulla base di confessioni estorte con la tortura. E se anche i primi giuristi a mettere in dubbio la credibilità di deposizioni estorte con tali mezzi sono proprio ecclesiastici, e del XVI secolo, il ricorso metodico alla tortura come strumento giudiziario è una realtà che ancora ci perseguita, se si pensi che ne sono stati denunciati casi anche in Italia da parte di Amnesty International, già prima che il governo Berlusconi ne “scongelasse” la definizione legale, richiedendo la reiterazione del fatto per poterne parlare in termini di reato.
Ma cosa significa tortura o tormento, al di là di aspetti granguignoleschi ai quali fiction e informazione ci hanno assuefatti? Leggere gli atti relativi a questo processo, conservati presso il mastodontico Archivio di Stato di Genova, riserva momenti di grande, profonda angoscia. In particolare, è toccante la testimonianza relativa all’interrogatorio di Franchetta Borelli, avvenuto il 19 settembre 1588 (Lettere al Senato n. 539). La voce disperata di questa donna straziata dalla sofferenza non trova eco nei suoi morbosi, percussivi, implacabili carnefici, neppure quando li accusa esplicitamente di scorrettezza. Resti almeno il suo ricordo nelle nostre coscienze, dando voce alla sua tragica storia.

Seppure lunga, riporto un ampio stralcio della deposizione di Franchetta, proprio per comunicare la natura ossessiva dell’azione inquisitoria nei suoi confronti: lo scandire le ore sul cavalletto, il ripetersi monotono e quasi indifferente delle domande del signor inquisitore e il diniego disperato ma senza incertezze della torturata, così come piattamente riportati dal notaio che trascriveva i verbali dei processi, sono più eloquenti ed orribili di mille parole.

1588 die 19 septembris in loco tormentorum
(...)
Interrogata fuit se finalmente si è risoluta in tanto tempo che ha avuto comodità di pensare dir la verità.
Respondit: Signor la verità l’ho tutta volta detta
Interrogata se tutta volta ha detto la verità che dovea sono anche vere quelle cose che cominciò a confessare et per questo finisci de dir la verità.
Respondit: io all’hora havea la febbre et non sapea quello che mi dicessi.
Tunc visa obstinatione et pertinacia dicte costitute viso etiam decreto serenissimi Senatus tunc pro iudicio iussit dictam constitutam spoliari et indui quodam palio tele albi et poni in tormento vocato del cavalletto abrasa prius de omnibus capillis capitis per chirurghum et partis pudendis per quondam mulierem vocatam ad id, que abrasa et in tormento posita posito primo orologio dixit:
Giudicame signor, aggiutame Signor Dio Grande mandame aggiuto e conforto, signor Dio mi aggiuterà, signor calatemi che la verità l'ho detta, ah signor delle false testimonianze, giudicame signor, tu che sai chi sono, che li giudici del mondo non lo possono sapere, io stringo li denti e poi diranno che rido, ahi le mie braccia, aggiutame signor, et non mi abbandonar, che non ho altro conforto che Dio, signor calatemi che se io non ho detto la verità Dio non mi accetti mai in Paradiso. Il cuor mi manca. Signor, mandami l’Angelo dal cielo che mi guardi et mi diffendi, calatemi che la verittà l’ho detta, se non mi calate adesso mi calerete morta, mi manca il fiato, Signor, mandame l’Angelo dal cielo, Christo che potete più delle false testimonie traetemi l’anima di dentro il corpo et mandatela dove deve andare, et tacuit. Et postea dixit: Il cuor mi schiatta, il Signor non mi lascerà sino a giorno perché manderà a pigliar la mia anima, Signor commissario, fattemi dar un poco di aceto o di vino et sic bibit bichierinum unum vini. Et dixit:Misericordia vi domando, misericordia mandame aggiutto e dattemi un poco da bevere. Et sic denuo illi datus alius bichierinus vini et postea dixit: Signor Commissario io vorrei prender un ovo. Et sic ei fuit datum ovum et steterat in tormento per spatium horarium quinque et nil dixit, nec se condoluti, nisi post horam undecimam quod dixit: Aggiutame chi può, et dicente domino che si può aggiutare da lei stessa, dicendo la verità, nihil respondit sed onnino tacuit. Deinde: Ahi lo mio cuore ahi la mia testa, mi volete voi un poco far callare signor commissario, et dicente domino quod dicat veritatem quia eam deponi facit, respondit: Ahi che l’ho detta signor provedeteci voi che potete signor, et tacuit. Et post horas duodecim dixit: Io sono scorticata et tacuit. Postea: Ah Dio mio il collo. Et post horas tredecim dixit: Datemi un poco d’acqua che io muoio di sete. Et interrogata se vuole del vino, respondit: Signor no che mi farà male, a digiuno. Et interrogata se vuol mangiare respondit Signor no, et sic fuit sibi data aqua ad bibendum et tacuit. Et postea: Io non gli chiarisco con gli occhi in modo che sono stroppiata degli occhi e delle mani che la mia roba tutta se n’è andata. Et dicente domino che non è tempo di raccordar la roba, ma dir la verità et haver cura dell’Anima respondit: l’Anima è la prima et di gratia fatemi un poco sligare. Et dicente domino che dichi la verità che la farà slegare et deponere respondit: Io l’ho detta, io non basto mai più a ritener l’urina, la verità l’ho detta, et se poteste veder l’animo mio. Et sicut cum steterit in tormento per horas quatuordecim fuerunt a Quilico Borrello frate suo sibi trasmissa denuo alia ova, recentia, que assorbuit et postea dixit: Delle mie braccie non me ne potrò più aggiutare, guardatemi come ho la mia lingua... io non posso più, per l’amor di Dio fatemi calare tanto che io respiri un poco. Interrogata che dichi la verità che si faria deponete et respirare a suo piacere, respondit: Signor fattemi calare che io l’ho detta, og’uno mi aggiuti se è possibile che io non posso più, mi sento schiattar il cuore, ahi Signor non mi lasciate schiattar il cuore, lasciatemi dar aggiuto signor che la verità l’ho detta, ahi qualcheduno mi aggiuti un poco, oh ben sete crudeli tutti, è possibile che nessuno mi vogli dar un cucchiaio che io mi possa cacciar nella gola. Signor datemi il fuoco alli piedi et levatemi di qui. Et dicente domino, che se non dice la verità sino che sia sul cavalletto ben si ponerà al fuoco respondit: Fattemi brusciare che quanto a me la verità l’ho detta, fatemi levare di qui che non ci posso più stare et non mi ponete più in disperatione, prendete una mazza et datemi sopra la testa, et levatemi d’affanni, la verità l’ho detta. Vergine Maria ahi fattemi slegare et fattemi dare un poco d’aggiuto. Et dicente domino quod dicat veritatem, quia non solum solvi sedetiam eam deponi faciet respondit: La verità l’ho detta ahi madre, il cuore mi schiatta, fattemi calare che la verità l’ho detta, misericordia, il cuor mi manca, ahi che a Roma il cavalletto non dura se non otto hore et io ci sono stata una notte e alquante hore di giorno, et mi fui detto, da uno di Triora, che è venuto di Roma l’altr’ieri quando io ero a Genova, et tacuit. Postea dixit: Ho freddo alli piedi. Et fuit sibi responsum quod dicat veritatem quia dominis commissarius deponi faciet respondit: Non mi tormentate più che l’ho detta, et non ho più bisogno di dirla, io moro di freddo alli miei piedi, di gratia, Signor Commissario, fattemi portar un poco di brace per ascaldarli.

Può bastare.Nè il signore Iddio, nè Cristo, nè la Vergine Maria nè, infine, la madre - l'ultima a esser implorata dai disperati - vennero in aiuto di Franchetta.
Il tormento al cavalletto di Franchetta, ch’era donna anziana (di lei si mormorava - da giovane puttana, da vecchia strega), durò in tutto 23 ore e non sortì confessione alcuna. L’obiezione di Franchetta rispetto ai tempi massimi di durata del tormento imposti da Roma è vera: si voleva in tal modo garantire soprattutto la salute del torturato.


“Anche la donna, da parte sua, deve lasciarsi convertire e riconoscere i valori singolari e di grande efficacia di amore per l’altro per cui la sua femminilità è portatrice.”
Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, già Cardinale Prefetto per la dottrina della fede e dei costumi (così prese nome nel 1965 l’Inquisizione Romana del Sant’Uffizio) nella
Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo.
postato da la Parda Flora alle 12:25  

 

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