06 agosto 2007
Se questa è la storia che sanno a memoria...
Ricordo che qualcuno mi raccontò d’aver avuto la fortunata ventura, durante un lungo viaggio in treno, di capitare casualmente nello stesso scompartimento di Paolo Poli.
Con sorpresa, ma neppure tanta, scoprì, anziché un grande attore famoso e spocchioso, un signore anziano assai colto, che portava con grande grazia auto ironica le proprie non sempre semplici scelte di vita, molto garbato e affabile con lo sconosciuto compagno di viaggio che il caso gli aveva affiancato, e soprattutto, molto, ma molto divertente. Insomma, di questi tempi che vedono spesso la maleducazione e la stupidità come una realtà trasversale, dai nipoti ai nonni, un’autentica rarità!
Per le bizzarre associazioni mentali che a volte capita d’avere, proprio oggi m’è tornato in mente, attraverso uno stralcio del suo spettacolo del 1970, “La Vispa Teresa”, raccolta divertita e sarcastica di filastrocche e poesie per bambini che ovviamente comprende la versione di Trilussa della celebre filastrocca (ah, vorrei specificare: ho sempre detestato sadici collezionisti e tormentatori di farfalle e altri insetti: per la psicanalisi, tutta gente la cui personalità si è fissata, evolutivamente, alla fase anale, il che non è un gran risultato, mi pare), che un vecchio amico mi fece conoscere un pomeriggio d’inverno, facendomi sbellicare dalle risate.
Spero che le vicende della cresciuta, ma sempre vispa e indomita, Teresa, possano divertire anche chi per caso capiti qui e legga.
:-)


La vispa Teresa
avea tra l'erbetta
a volo sorpresa
gentil farfalletta

e tutta giuliva,
stringendola viva,
gridava a distesa:
"L'ho presa! L'ho presa!"

A lei supplicando
l'afflitta gridò:
"Vivendo, volando,
che male ti fo'?"

Tu sì mi fai male
stringendomi l'ale.
Deh, lasciami: anch'io
son figlia di Dio."


Confusa, pentita,
Teresa arrossì:
dischiuse le dita
e quella fuggì.
- . - . - . - . - . - . -
Se questa è la storia
che sanno a memoria
i bimbi di un anno,
pochissimi sanno
che cosa le avvenne
quand'era ventenne.
Un giorno di festa
la vispa Teresa
uscendo di chiesa
si alzava la vesta
per farsi vedere
le calze schiffonne
che a tutte le donne
fa molto piacere.

Armando, il pittore,
vedendola bella,
le chiese il favore
di far da modella.
Teresa arrossì,
ma disse di sì.
"Verrete?" - "Verrò:
ma badi però..."
"Parola d'onore!"
rispose il pittore.

Il giorno seguente,
Armando, l'artista,
stringendo furente
la nuova conquista
gridava a distesa:
"T'ho presa, t'ho presa!"
A lui supplicando
Teresa gridò:
"Su, su, mi fai male
la spina dorsale:
mi lasci che anch'io
son foglia di Dio...
Se ha qualche programma
ne parli alla mamma..."
A tale minaccia
Armando tremò,
dischiuse le braccia,
ma quella restò.


Perduto l'onore,
sfumata la stima,
la vispa Teresa,
più vispa di prima,
per niente pentita,
per niente confusa,
capì che l'amore
non è che una scusa.
Per circa tre lustri
fu cara a parecchi:
fra giovani e vecchi,
oscuri ed illustri,
la vispa Teresa
fu presa e ripresa.
Contenta e giuliva
s'offriva e soffriva.
(La donna che s'offre.
se apostrofa l'esse,
ha tutto interesse
a dire che soffre.)


Ma giunta ai cinquanta,
con l'anima affranta,
col viso un po' tinto,
col resto un po' finto,
per torsi d'impaccio
dai prossimi acciacchi
apriva uno spaccio
di Sali e Tabacchi.
Un giorno un cliente,
chiedendo un toscano
le porse la mano
così... casualmente.
Teresa la prese,
la strinse e gli chiese:
"Mi vuole sposare?
Farebbe un'affare!"
Ma lui, di rimando,
rispose: "No, no!...
Vivendo e fumando
che male ti fo'?

Confusa e pentita
Teresa arrossì,
Dischiuse le dita
e quello fuggì.

Ed ora Teresa,
pentita davvero,
non ha che un pensiero:
d'andarsene in chiesa.
Con l'anima stracca
si siede e stabacca,
offrendo al Signore
gli avanzi di un cuore
che batte la fiacca.
Ma, spesso, fissando
con l'occhio smarrito
la polvere gialla
che resta sul dito,
le sembra il detrito
di quella farfalla
che un giorno ghermiva
stringendola viva.

Così come allora,
Teresa risente
la voce innocente
che prega ed implora:
"Deh, lasciami! Anch'io
son figlia di Dio!"

"Fu proprio un bel caso!"
sospira Teresa,
fiutando la presa
che sale nel naso.
"Se qui non son lesta
mi scappa anche questa."
E fiuta, e rifiuta,
tossisce e sternuta:
il naso è una tromba
che squilla e rimbomba
e pare che l'eco
si butti allo spreco...
Tra un fiotto e un rimpianto,
tra un soffio e un eccì,
la vispa Teresa...
. . . . . . . . . . . . . . . .
lasciamola lì.


(1917) Trilussa

(come forse in altra occasione ho già detto, in arabo un'accettabile traduzione della non amichevole espressione "Barra, barra" potrebbe essere: và fuori dai coglioni!)

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postato da la Parda Flora alle 12:05  

 

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