25 aprile 2007 |
Flow my tears (Lachrimae) - Sognando il 25 aprile... |
E’ bizzarro come a volte le cose si rincorrano, nella realtà, in modo più perfetto e commovente che nella miglior finzione. Se uno dei punti più amati e conosciuti di “Se questo è un uomo” è, credo di non sbagliare, quello nel quale il chimico e futuro scrittore Primo Levi si sforza di rammemorare per il Pikolo (il francese Jean, il più giovane degli internati con lui), per passare il tempo e ammazzare un po’ la fatica, mentre tornano dalla mensa con i pesanti cinquanta chili di rancio alla cisterna alla quale stanno lavorando, e godono del privilegio di un po’ di tempo per parlare liberamente fra loro, il canto XXVI dell’Inferno dantesco, combattendo con le difficoltà di lingua e memoria, nello sforzo d’illustrare al giovane compagno di prigionia il conosciutissimo passo della narrazione che Ulisse fa del suo ultimo viaggio, quando si getta oltre le colonne d’Ercole, verso l’ignoto (visto che fatti non fummo a viver come bruti, anche se pare molti lo abbiano scordato). A me è accaduto, invece, che un vecchio partigiano raccontasse anni fa di come vi fu chi, in montagna, alla macchia, si portò un altro sommo poeta: Shakespeare. E ai compagni riuniti, per brevi attimi magici, accostando l’esilio ingiusto e violento del Duca legittimo e dei suoi fedeli nella foresta di Arden alla loro faticosa e pericolosa scelta di libertà, sacrificio e spesso di morte, recitò questo mongolo tratto dal secondo atto di As You Like It. - Come A VOI piace (come dire che l’Autore prendeva criticamente anche qualche distanza da certi atteggiamenti alla moda, ma questo è un altro discorso....)
Miei compagni e fratelli in esilio, l’abitudine a questi luoghi non ha reso la vita più dolce che nel lusso dorato? Non sono questi boschi più sicuri della corte piena d’invidie? Non sentiamo il mutar delle stagioni, come Adamo il peccato, e all’artiglio del gelo e alla ruvida sferza del vento invernale, quando soffia e m’addenta il corpo fino a farmi rattrappire per il freddo, rido e dico: “Questa non è adulazione. Questi sono consiglieri che mi persuadono concretamente di ciò ch’io sono”. L’avversità mi si mostra dolce, come il rospo che brutto e velenoso reca in capo una gemma preziosa. La nostra vita, non costretta in pubblico, sente gli alberi che parlano, i ruscelli che narrano, i discorsi delle pietre e la bontà d’ogni cosa.
(qualche analogia con il famosissimo "Fischia il vento"...e lascio all'intuito di ciascuno immaginare quale potesse essere per quegli uomini la gemma preziosa da sottrarre al capo del repellente rospo)
Per chi invece abbia scordato il racconto di Primo Levi:
“ Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. … Chi è Dante. Che cosa è la Commedia: Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia. Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato: Lo maggior corno della fiamma antica Cominciò a crollarsi mormorando, Pur come quella cui vento affatica. Indi, la cima in qua e in là menando Come fosse la lingua che parlasse Mise fuori la voce, e disse: Quando...
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”. E dopo “Quando”? Il nulla. Un buco nella memoria. “Prima che sì Enea la nominasse”. Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: “…la pietà Del vecchio padre, ne ‘I debito amore Che doveva Penelope far lieta…” sarà poi esatto?
…Ma misi me per l’alto mare aperto.
Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuoi dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. Siamo arrivati al Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori della trincea. Mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare. ”Mare aperto”. “Mare aperto”. So che rima con “diserto”: “...quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto”, ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:
…Acciò che l’uom più oltre non si metta.
“Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia un’osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
Li miei compagni fec’io si acuti - e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuoi dire questo “acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. “...Lo lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna idea, “keine Ahnung” come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
- Ça ne fait rien, vas-y tout de meme -
…Quando mi apparve una montagna, bruna Per la distanza, e parvemi alta tanto Che mai veduta non ne avevo alcuna.
Sì, sì, “alta tanto”, non “molto alta”, proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano... le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino! Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda. Darei la zuppa di oggi per saper saldare “non ne avevo alcuna” col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: “...la terra lagrimosa diede vento...” no, è un’altra cosa. E’ tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque, Alla quarta levar la poppa in suso E la prora ire in giù, come altrui piacque
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...
Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. - Kraut und Ruben? -Kraut und Ruben. - Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: - Choux et navets -. - Kaposzta és répak.
Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.”
«Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato.» Primo Levi
(quando non sopportate più il musicista elisabettiano John Dowland, basta andare in fondo a destra, e bloccare la musica.) :-)Etichette: cose ritrovate |
postato da la Parda Flora
alle 09:28
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