07 aprile 2007
Dopo lo Tsunami

Prima di tutto voglio ringraziare ancora una volta tutti coloro che mi hanno voluto testimoniare affetto e stima, in un momento particolarmente difficile della mia vita.
L'amico Léon, come promesso, nonostante i molti impegni, ha trovato con Bucky il tempo di venirmi a trovare tutti i giorni, e mi ha portato fedelmente ogni vostra parola. Mi hanno aiutato, e sono state molto gradite.


Dopo tre episodi superficiali, questa volta la trombosi si è formata in una vena profonda: non so perché, né lo sanno i medici che mi hanno curata in questi giorni. Non sono riusciti a stabilire neppure da dove siano partiti gli emboli che mi hanno bloccato entrambe le arterie polmonari principali, e i rami delle diramazioni lobari e segmentarie, soprattutto alle base dei polmoni, dove gli alveoli iniziavano anche a riempirsi di liquido. Questo significa che da qualche parte, nel mio corpo, il sangue si è coagulato in una vena profonda, e pezzi di questo coagulo si sono staccati, hanno viaggiato nel mio sangue venoso sino ai polmoni e si sono incastrati nei vasi polmonari, impedendo al sangue di ossigenarsi; inoltre le mie basi polmonari iniziavano ad avere un edema, riempiendosi di liquido, il che significa, in pratica, che avrei potuto annegare nei miei polmoni.
Ora ho davanti a me un anno, minimo, di terapia scoagulante come prevenzione per altri episodi.
Sospetto che la Pasqua (Auguri a tutti!), coi suoi tre giorni di inutilità pratica, mi abbia aiutato a accorciare una degenza che è stata pesante: durante i giorni in ospedale ci sono stati due decessi, e comunque i reparti di medicina, così tristemente simili a cronicari per malati terminali o quasi, si sa che sono i più tristi e squallidi degli ospedali.
Questo è il terzo giorno che passo senza la mascherina dell’ossigeno: mi muovo un po’, anche come misura preventiva e per aiutare l’ossigenazione naturale del sangue, ma ovviamente mi stanco ancora in fretta.
Ci sono momenti nei quali la consapevolezza della nostra mortalità, prima o poi, mi ha trovato molto rassegnata, e pensierosa. E’ la carne che impara certe verità - poi al cervello tocca elaborarle e digerirle. Io ci sto provando da tempo, da quando la mia mortalità mi ha lasciato la prima cicatrice ben visibile, dopo quattro ore di sala operatoria, molti anni fa, e ancora non ci riesco.
Lotto con l’Angelo, vicino al pericoloso passo del Yabbok, ma non ho ancora avuto la mia benedizione. Ormai dubito la riceverò mai, e che la notte si trasformerà in giorno, e la presa dell’Angelo in abbraccio, come nella scultura di tanti artisti medievali, e in quella in alabastro di Jacob Epstein conservata alla Tate Gallery.
Diciamo che più che nella lotta dinamica e quasi spietata di Delacroix nella cappella degli Angeli in Saint-Sulpice a Parigi (quella, per capirci, che fa da template al mio blog), in questo momento mi riconosco nel senile Giacobbe, che pare attendere una vivificazione dall’Angelo sorridente e ricciuto del quadro di Pier Francesco Mazucchelli, detto il Morazzone, che si può ammirare nella quadreria dell’arcivescovado di Milano. Vorrei che l’Angelo mi portasse via, via di qua, in vortice rivivificatore, ma ciò che è possibile agli artisti, pur se parla al nostro cuore, raramente è concesso agli umani.
Pasqua è la festa della religione cristiana più importante: è la festa della resurrezione, della rinascita.
Non l’ho mai sentita così estranea.
Per questo riporto qui un brano di Thomas Merton, scrittore, saggista e monaco trappista americano,(trappisti sono monaci cistercensi riformati) sia perché sono singolarmente, ed inquietantemente simili a parole che scrissi, in un diario negli anni dell’Università, e già questo mi ha colpito molto, sia perché le continuo a sentire vere, nonostante siano passati molti anni da allora, che avrebbero potuto farmi cambiare idea, anche perché da allora ho avuto la fortuna di essere molto amata.

“La solitudine più vera non è qualcosa che sta al di fuori di te, non è un’assenza di persone e di suoni attorno a te: è un abisso che si apre nel centro della tua stessa anima. E questo abisso di solitudine è creato da una fame che non sarà mia saziata da alcuna cosa terrena. L’unica via per scoprire la solitudine è mediante la fame e la sete e il dolore e la povertà e il desiderio, e l’uomo che ha trovato la solitudine è vuoto, come se fosse stato svuotato dalla morte. E’ avanzato al di là di ogni orizzonte. Non rimane più nessuna direzione che orienti il suo viaggio. Questo è un paese il cui centro è ovunque e la circonferenza non è da nessuna parte. Non lo trovi viaggiando, ma rimanendo fermo.”

(Thomas Merton
Seeds of Contemplation
, London, 1960)


(la musica di Neil Youg è tratta da un film che amo moltissimo, Dead man, di Jim Jarmusch: un western in uno splendido bianco e nero, che con la cadenza di una tragedia greca sfrutta il mito del grande Ovest, per raccontare il viaggio di un giovane uomo verso la propria, epica morte. Un'altra Lotta con l'Angelo; un'altra benedizione che non verrà mai, anche se il funerale del protagonista, abbandonato al fiume su di una canoa, è degno di quello di un eroe mitologico, come noi non avremo mai...)

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postato da la Parda Flora alle 17:40  

 

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