06 ottobre 2006
I sentieri della notte
Ecco qua, termineranno le strade oscure, e allora sarà l’alba. E l’alba sarà bellissima, come mai è stata, e sarà tua, viandante della notte, che nell’oscurità hai vagato, che sei inciampato e caduto a terra infinite volte, che hai temuto l’inferno e le sue creature in ogni fruscio del silenzio, tu viandante, che sai dopo quante volte le tenebre potranno finalmente tornare a trionfare sulla luce e trasfigurare di sé ogni cosa, ma sei stato seduto solo con le ginocchia rannicchiate, ad ascoltare il vento o i jin sollevare onde nel deserto - non fa differenza. Tu sai che il mondo si fa e disfa ogni attimo, e ti attacchi tenace al granello di vita che puoi, che il mondo ti ha donato e rapido passa davanti a te, perché sai che non ce ne sarà un altro che oltrepassi la notte, come la lampada appesa alla casa dell’orco, perché nessuno ha mai detto che raggiungerai l’alba indenne. Potresti uccider per sbaglio i tuoi fratelli - ormai i trucchi li conosce persino lui, Jack l’orco zannuto del quale ti raccontava Brigit, che abita la palude e non si lascia ingannare. E i tuoi fratelli nell’oscurità paiono tutti uguali, anche se non lo sono, lungo i sentieri della notte.
Chi non conosce i sentieri oscuri della notte, e i suoi malefici abitatori, non potrà riveder l’alba e si perderà come l’inesperto viandante si perde nelle paludi. Ma anche se conosce tali sentieri, per averli percorsi mille e mille volte, si siederà ugualmente con il cuore in gola, a guadare i liquidi occhi della sua morte pronta a inghiottirlo, mentre le mani gli si torceranno, come i visceri, per la paura. Allora spierà ogni minimo chiarore nel cielo, e si chiederà quanto manca all’alba, e se la vedrà mai più, sui prati umidi di rugiada di una foresta o fra le rocce riarse di una città dove non era mai stato prima, viandante, elemosinando amore, per sé e i fratelli, e la notte e suoi sentieri dannati e l’alba che fra un po’ finirà, per lasciar posto al giorno e alle sue pene.
E chi i sentieri scuri li conosce? Costui piange, perché sa che non potrà mai più stare accanto ad un altro essere umano senza ricordare, e patire. Così la maggior parte della gente dorme sogni opachi, ed è fortunata, e ignora i sentieri sanguinosi che portano al disfacimento e alla morte, dopo aver brillato per un breve, unico attimo. La maggior parte vive le sue vite quiete, e non si fa domande, né si dà risposte, mentre io sto qui seduto di fronte al fantasma di Hanno, e gli chiedo perdono, chiedo perdono ai suoi occhi azzurri di montagne, perché non ho pagato fino in fondo il mio debito di sangue, anche se so che non me lo rimprovererebbe mai, non me lo avrebbe mai chiesto. Ma Hanno non rivedrà mai suo padre e i suoi fratelli, le sue foreste e il veloce balzare dei cervi fra gli alberi, la danza dei galli cedroni che si corteggiano, quando cacciava di frodo. E tutto questo per me, perché passati i suoi quaranta giorni, egli decise che io avevo bisogno del suo aiuto, io il templare orgoglioso come una serpe, tornato dal viaggio nella terra dei morti.
Sogno ancora Hanno, la sua fedeltà che somigliava tanto ad amicizia, se solo la vita ce lo avesse concesso, e mi manca. Lo vedo gemere, e il pus esce dalle sue ferite, e dagli occhi e dalle orecchie, e io non so cosa fare, non riesco neppure a spostarlo per dargli sollievo, mentre questa odiata nave dondola la sua ninna nanna infernale. Hanno sa che non tornerà mai alla sua casa: a volte, nonostante tutto, nel sonno lo vedo piangere, e allora so che ricorda i rastrelli di legno e i fiori d’arnica e la fiasca di acqua di vite forte che suo padre e i suoi fratelli si scambiavano prima che il sole scottasse troppo, nel raccogliere il fieno invernale per le bestie del loro signore. Anche ai cervi donava fieno, il senior, e un poco di sale, così da poterli cacciare, coi suoi ospiti, con il loro bel manto invernale, e ornare con le loro corna fronzute la sala dei suoi cavalieri e imbandire il banchetto di Natale.
Ma ora mi stringe la mano, Hanno, con occhi ormai ciechi mi chiama Johan, e mi chiede come sarà la croce sulla sua tomba. Io ammutolisco...bella sarà, Hanno, gli dico, la più bella di tutte, e intanto penso che non arriveremo a toccare terra prima che la febbre se lo sia divorato intero.
Stolidamente mi chiedo: ogni morte è così? noi permettiamo che ogni morte sia così? Quanto sono sciocco, dopo aver ucciso tanto...
Vorrei piangere, ma a noi serpi non è concesso.

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postato da la Parda Flora alle 12:45  

 

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